Domenica V di Pasqua A 10 maggio 2020
Cari soci e amici dell’Amcor,
mi ha sempre colpito San Pietro che, nella sua prima lettera che leggeremo domenica, ci dice: “Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.”
E’ questa chiamata “alla sua luce meravigliosa” che trovo tante volte così difficile da vivere nel quotidiano. Eppure è la nostra vocazione a uscire “dalle tenebre” che periodicamente oscurano il nostro cammino.
Preghiamo insieme questa domenica perché possiamo vivere e condividere questa nostra “chiamata” con intensità e gioia.
Un abbraccio.
Contardo
Settimanale AMCOR
10 – 5 – 2020 Dom. V di Pasqua A
Vado a prepararvi un posto
Letture: Atti 6, 1-7; 1Pt 2, 4-9; Gv 14, 1-12 – Il tempo pasquale ci ha fatto il regalo, all’inizio, di letture evangeliche direttamente legate agli avvenimenti pasquali. Ora la liturgia progressivamente ci prepara a quello che è comunque il culmine del mistero pasquale: il dono dello Spirito (nella Pentecoste). Sappiamo già che lo Spirito è la presenza di Gesù quando Gesù è assente ed è stato Gesù stesso a farne la promessa, per prepararci alla sua venuta e poi per concedercelo. La realizzazione di questa promessa avviene non solo al futuro ma già al presente, ed è la realtà della Chiesa, con i suoi carismi variamente distribuiti, la sede in cui questi doni raggiungono i singoli credenti.
Qualche insegnamento dalle letture: tutti gli evangelisti prestano attenzione alla realtà della vita di quanti, durante l’attesa di Gesù, devono fare i conti con un quotidiano alle prese con difficoltà continue. Giovanni semina questi insegnamenti già nel corso del suo intero racconto, ma in particolare quando Gesù si confida con i discepoli, al temine della sua attività pubblica, nei cosiddetti ‘discorsi d’addio’. Le letture liturgiche di oggi ci offrono una serie di questi insegnamenti. Nel vangelo, all’inizio dei “discorsi d’addio”,Gesù pronuncia la famosa frase: “Io sono la via, la verità, la vita”. Negli Atti degli Apostoli la comunità primitiva dei cristiani si arricchisce di un servizio prezioso: quello dei sette, che possiamo chiamare ‘protodiaconi’, e che eseguiranno servizi preziosi alla comunità stessa, di natura più pratica ma non meno indispensabile. San Pietro nella sua Lettera ci parla del servizio che ognuno di noi, discepoli credenti, deve svolgere, come componente di quel ‘sacerdozio regale’ affidato a “voi che credete”: perché il privilegio non è imposizione ma proposta di collaborazione.
Vado a prepararvi un posto:
San Giovanni ha scritto i discorsi di addio più famosi di tutta la Bibbia. Siamo alla fine del pasto tanto significativo dell’ultima cena; Giuda è appena uscito dal cenacolo e Gesù, davanti agli apostoli sempre più smarriti, apre il suo cuore per fare confidenze sempre più trepidanti. Se vogliamo leggerli con una certa continuità, prendiamo prima il capitolo 14 (magari incominciando dalla fine del cap. 13, subito dopo la partenza di Giuda: 13,31-38), poi il 15 e 16 e alla fine il 17. I primi due blocchi riportano un dialogo di Gesù con i discepoli, il terzo un dialogo direttamente con Dio (è la più lunga preghiera di Gesù che noi conosciamo). Ma di vero dialogo (con partecipazione attiva degli interlocutori) si può parlare solo per il nostro brano; poi sarà Gesù che procede da solo nelle sue confidenze e raccomandazioni agli apostoli, riguardanti un futuro che a loro deve sembrare sempre più sorprendente e inquietante. E noi, come lettori, non siamo semplici comparse, perché il vangelo, e Gesù che parla, vogliono coinvolgere noi come furono coinvolti allora gli apostoli – anche se probabilmente non capiremo più di loro.
Quando si dice addio a una persona è perché ci si lascia, e Gesù ha introdotto questo tema subito dopo la partenza di Giuda, alla fine della cena (13,33), e ora lo riprende con l’esortazione “non sia turbato il vostro cuore” (14,1). E subito è enunciato un motivo consolatorio: Gesù va nella misteriosa casa del Padre suo, dove ci sono molti posti e lui ne prepara uno per noi, che aspetteremo finché Gesù ritorna per venirci a prendere con lui (v. 3). Certo, per arrivarci bisogna conoscere la via, ma Gesù dice che la conosciamo. Si fa in fretta a dirlo, ma Tommaso – che sarà magari noioso ma non è sprovveduto – obietta: “non sappiamo dove vai”. Nella risposta di Gesù arriva il momento culmine: “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”. E così è chiaro: il ‘dove’, in cui Gesù è andato per prepararci un posto è il Padre stesso. E la strada per giungere in quel luogo è proprio Gesù.
Ma al sentire la reazione degli apostoli non si direbbe che la cosa risultasse chiara. Infatti Filippo – uno dalla domanda facile – domanda proprio: “Mostraci il Padre e ci basta” e Gesù ribatte: “Chi ha visto me ha visto il Padre… Io sono nel Padre e il Padre è in me”. Non è evidentemente finito il discorso, se Gesù sente la necesità di tagliare corto: “Se non altro, credetelo per le opere stesse”. Sembra che siamo planati in modo poco glorioso, ma non è così, perché tutto il discorso ci sta aprendo scenari d’orizzonte infinito. Poco per volta si avverte la presenza di una misteriosa ma reale “famiglia divina”: qui abbiamo sentito parlare continuamente di Padre e Figlio e non c’è nessun dubbio che il Figlio è Gesù stesso; fra poco (al v. 16) sentiremo parlare di un’altra misteriosa persona, il Paraclito, e al v. 26 Gesù chiarirà che il Paraclito è “lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome”.
Vogliamo riprendere il filo del discorso di Gesù, che in questo caso impegna molto la nostra riflessione. In un clima di addio Gesù consola i suoi apostoli: la separazione mette le premesse per un ricongiungimento pieno di gioia. Gesù nella casa del Padre prende con sé gli apostoli e là si comporrà una famiglia composta da tre Persone e da una quantità incalcolabile di amici, che hanno negli apostoli i loro capofila. Il discorso lo sentiremo sviluppato nelle prossime domeniche, ma intanto ci gustiamo tutta la gioia nel sapere che Gesù, di presso il Padre, è impegnato a fare i nostri interessi e ci prepara un posto. Non lamentiamoci perché questo discorso non è chiaro: accontentiamoci di quanto ci lascia intuire: la nostra esistenza è destinata a fiorire in modo glorioso e definitivo in comunione di visione di affetto con i membri di quella santa e ineffabile Famiglia divina. Ci dà gioia pensare che quei Tre ospitano la presenza più esaltante della natura umana, grazie a quel mistero impenetrabile ma reale del Figlio, che è Figlio eterno del padre e contemporaneamente figlio vero, amabilissimo, della nostra famiglia umana.
Prendiamoci pure la testa tra le mani, perché il Mistero è troppo grande per noi – ma verità; e prendiamo anche il nostro cuore, che sta godendo una gioia inesprimibile per il dono grande che ci viene fatto, di essere veri figli nel Figlio.
Vostro don Giuseppe Ghiberti