Domenica 14-6-2020 Corpus Domini e Venerdì 19-6-20 Sacratissimo Cuore di Gesù
Cari soci e amici dell’Amcor,
Domenica 14 giugno è la festa del Corpus Domini, festa che è cara a tutti noi per i ricordi che fa affiorare (come le processioni per le vie dei paesi o delle città) e per il suo profondo significato teologico. Giovanni, nel Prologo, afferma: “E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14)”. Il Verbo, cioè il Logos, la Parola di Dio, la Sapienza di Dio, si è fatta carne, cioè debolezza, condividendo la nostra fragilità, e immettendo il tempo nell’eternità per cui ora il tempo, anche il nostro tempo personale, scorre verso l’eternità.
Don Giuseppe ci accompagna anche questa domenica nell’ascolto della Parola di Dio e ci prepara ad accogliere sempre meglio il mistero dell’ Eucaristia nella nostra vita. Don giuseppe, inoltre, ci guida alla celebrazione della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che si festeggerà venerdì 19 giugno 2020. Egli ci aiuta a comprendere meglio il significato odierno della parola “cuore”, quel cuore da cui sono usciti sangue ed acqua prezzo della nostra salvezza.
Ora permettetemi un appunto personale. E’ proprio vero che con gli amici, come in famiglia, più si è vicini e si dialoga più parole vengono spontaneamente dal cuore, più ci sono esperienze che si desiderano condividere.
Esattamente quattro anni fa, il 14 giugno del 2016, eravamo pellegrini in Terra Santa proprio a Gerusalemme. Ho trovato queste mie foto ricordo (un po’ bruttine…) tra le tante che vorrei condividere con Voi per rivivere quei momenti intensi e significativi. Eravamo insieme, in quel giorno, sulla “Spianata del Tempio”, eravamo ospiti a “Casa Nova” nel centro di Gerusalemme, in preghiera nel “Cenacolo” e in coda per entrare nel Santo Sepolcro.
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Concludendo desidero ringraziare di cuore quanti, soci e amici, ci hanno scritto in questi giorni, più di 50 messaggi, per dire quanto ci siamo sentiti uniti dai versetti quotidiani dei Salmi nel periodo Pasquale, dal “Settimanale” di Don Giuseppe, dalle preghiere gli uni per gli altri, dal sentimento di amicizia che la lontananza fisica ha reso più forte, dall’immagine della Sindone che ci accompagna.
Patrizia ha raccolto tutti questi messaggi, li abbiamo riletti, colpiti e commossi, e, con Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella e tutto il Consiglio Vi ringraziamo per l’affetto e per aver dimostrato il senso della nostra associazione che anche nella sua denominazione ha proprio la parola “amici”.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
Domenica 14 – 6 – 2020 Corpus Domini
La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda
Venerdì 19 – 6 – 2020
Solennità del Sacratissimo cuore di Gesù
Letture: Dt 8,2-3.14b-16a; 1 Co 10, 16-17; Gv 6, 51-58 – La pedagogia della Chiesa ci fa percorrere nel corso dell’anno il ciclo liturgico dei misteri principali della fede, alternati dalla presentazione di insegnamenti tratti dall’intera Sacra Scrittura, specialmente dai racconti evangelici. Nel mese di giugno sta concludendosi quello che possiamo chiamare il ciclo cristologico (riguardante più diretta-mente Gesù): ecco allora le due grandi feste del Corpus Domini (oggi) e del Sacro Cuore di Gesù (venerdì prossimo).
Qualche insegnamento dalle Letture: il nostro rapporto con il Signore ha una storia lunga quanto quella dell’umanità, perché quell’uomo che Lui ha creato per puro amore Lui non l’ha mai abbandonato. Una particolare storia di questo amore ci viene narrata dalla Bibbia, composta dall’Antico e dal Nuovo Testamento. Queste due parti narrano, con varia prospettiva, all’inizio la vicenda della preparazione alla venuta di Gesù (nell’Antico Testamento); per giungere poi al suo culmine (nel Nuovo Testamento), quando ci fanno incontrare direttamente Gesù. Dalla sua vicenda (narrata nei vangeli) è inseparabile il cammino dei primi cristiani, discepoli di Gesù, membri della Chiesa, che nel desiderio di Gesù è destinata ad abbracciare tutta l’umanità. L’esperienza di Gesù è stata in tutto quella di un uomo: Egli ha voluto accettare pienamente anche la morte. La vittoria che lui ha riportato sulla morte, con la sua risurrezione, è garanzia e anticipo di quella che ogni essere umano è destinato a conseguire. Ma in attesa della nostra risurrezione che cosa dovrà accadere?
Il cammino della Chiesa è la via privilegiata che il Signore ha voluto scegliere per i suoi fratelli; l’appartenenza alla Chiesa si realizza in modi e gradazioni diverse, che solo l’amore paterno di Dio conosce. Noi siamo privilegiati e lo dobbiamo riconoscere, non per gloriarcene (non ne abbiamo nessun motivo), ma per sentirci impegnati, mente e cuore, a corrispondere a una situazione di predilezione. Componente somma del nostro privilegio è un dono tutto eccezionale, che porta a compimento esperienze vissute nell’Antico Testamento: l’Eucaristia.
Oggi la prima lettura, dal Deuteronomio, ricorda le cure che il Signore ha avuto per il suo popolo durante il cammino verso la Terra promessa: “Ti ho fatto provare la fame e poi ti ho nutrito di manna, che tu non conoscevi”. E allora “non dimenticare il Signore tuo Dio,…che nel deserto ti ha nutrito di manna, sconosciuta ai tuoi padri”. San Paolo, una trentina d’anni dopo la morte e risurrezione di Gesù, celebra assieme alle sue comunità un rito con un “calice della benedizione” e un “pane che noi spezziamo” e afferma solennemente che quella è “comunione con il sangue di Cristo… comunione con il corpo di Cristo” (lo leggiamo nella seconda Lettura, da uno scritto inviato ai cristiani di Corinto). San Paolo non sognava, perché si riferiva a un rito che celebravano già i primissimi cristiani, prima ancora che lui diventasse discepolo di Gesù (pregavano nel tempio e “spezzavano il pane nelle case”, cioè celebravano l’Eucaristia: Atti 2,46). E anche i primi cristiani non sognavano, per-ché sapevano di muoversi secondo un programma perseguito tenacemente da Gesù stesso.
Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre: La tenacia di Gesù in questo insegnamento ha tutte le caratteristiche di un fiume carsico: il tema del dono che lui vuol fare, ai suoi fratelli, della sua “carne” e del suo “sangue”, egli lo lancia all’inizio, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani (è il brano evangelico di oggi). Poi scompare e saranno gli altri tre vangeli che riprenderanno il discorso al termine della vita, quando scoccherà l’ora della grande sofferenza e della morte, nel rituale della cena pasquale. Allora quella primitiva parola si attualizza, quando Gesù inserisce nell’inat-tesa interruzione del pasto le parole ‘consacratorie’ che la Chiesa da sempre pronuncia nel momento culminante di ogni santa Messa: “Preso del pane, avendo reso grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: ‘questo è il mio corpo che è dato per voi…'” (Lc 22, 19-20). Nella lettura evangelica di oggi risentiamo le parole accorate di Gesù davanti a una folla sempre più delusa per quanto lui non aveva dato e per quanto affermava di volere dare: del pane moltiplicato il giorno precedente Gesù non fa il bis e in compenso promette di dare un altro pane, che è disceso dal cielo, che è Lui stesso, che è dato per la vita del mondo.
Ma come si fa a credere a un discorso tanto assurdo? Tutti i presenti a quel dialogo prendono Gesù per pazzo e solo Pietro ha la chiarezza e il coraggio di proclamare: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”. Anche noi siamo invitati a fare nostre queste parole e a seguire l’esempio degli Apostoli e della Chiesa di tutti tempi. Perché la parola di Gesù non lascia scampo: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita”. C’è indubbiamente il pericolo di ubbidire solo superficialmente a questa ingiunzione e san Paolo, nel capi-tolo successivo a quello della seconda lettura di oggi, ci dà un richiamo terribile: “Chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore mangia e beve la propria condanna” (1 Co 11,29). Come per ogni realtà di questa vita, anche le più sante, è possibile stravolgere il corso dei doni del Signore, ma è proprio obiettivo della festa di oggi confermarci nel senso della nostra miseria e della fiducia in Colui che nel senso più pieno è “Dio con noi”.
Mi permetto di copiare uno stralcio di predica dell’allora Cardinal Ratzinger, perché ci infervori nella partecipazione al grande dono dei Sacramenti: fede, comunione col Signore e con i fratelli:
Un pezzo di creatura – acqua, pane, vino… – acquista la capacità di diventare portatore della sua presenza. Mentre lo riceviamo, veniamo introdotti in un nuovo ambiente, nella comunione con Lui, con tutti i santi del cielo e della terra, nella comunione con il Dio vivente. Per questo il sacramento è adorazione e l’adorazione centro dell’essere cristiani, stare davanti al Dio vivente, comunione con lui; ma perché Dio è il creatore, perciò la comunione col Padre, il Figlio e lo Spirito Santo è anche comunione tra noi tutti. Adorarlo, ricevere i sacramenti significa essere tratti fuori dal nostro isolamento e diventare, nei santi sacramenti, comunione viva della Chiesa. Significa non che ogni singolo crede per sé, ma che noi, tutti insieme, diventiamo corpo vivente di Cristo. (J. Ratzinger, Mona-co, Ascensione 1987, per la “Messa d’oro” del Prälat Konrad Miller).
Solennità del
SACRATISSIMO CUORE DI GESU’
(Venerdì, 19 – 6 – 2020)
Venerdì prossimo celebriamo la Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. E’ la conclusione di tutti i misteri della vita di Gesù contemplati nel corso dell’anno. E’ anche la conclusione di un lungo cammino di sensibilizzazione a ciò che Gesù è stato e continua a essere nella storia dell’umanità, della Chiesa, di ognuno di noi suoi fratelli. La Festa è abbastanza recente, perché anche l’uso delle parole evolve nel tempo e “cuore” è diventato particolarmente significativo soprattutto dopo il rinascimento. Per noi dire “cuore” è dire il massimo dell’affetto, della comprensione misericordiosa, della volontà di intervento soccorritore, nella dimenticanza di sé e nello sforzo di soccorso per ogni genere di necessità della persona amata. Non per niente, e da sempre, si pensa spontaneamente al cuore della mamma. Tutto questo si trova realizzato in massimo grado nel mistero di Dio: uno dei suoi titoli più naturali è “Dio onnipotente e misericordioso”. Non abbiamo proprio difficoltà a dimostrare la presenza di questa qualità in Dio, nella SS. Trinità, nel Figlio incarnato, fatto uomo e crocifisso per amore nostro, solo per amore.
La Santa Messa è il luogo in cui questa realtà è particolarmente evidenziata. Quest’anno (an-no A, primo nella serie delle tre annate) per l’Antico Testamento leggiamo alcune espressioni famose del Deuteronomio (7, 6-11): l’amore di Dio per il popolo ebraico non è mosso da interesse alcuno, ma solo “perché il Signore vi ama”; egli “mantiene la bontà per mille generazioni”. Certo si deve anche accettare che egli “ripaga direttamente coloro che lo odiano”.
Nel Nuovo Testamento la rivelazione dell’amore di Dio raggiunge il suo apice. Nella prima Lettera di San Giovanni (seconda lettura di oggi: 1 Gv 4, 7-16) troviamo due volte l’esplicita dichiarazione, quasi definizione: “Dio è amore”. E’ così importante esserne intimamente convinti, non dimenticarlo mai: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”. E guardate quanto è infinitamente generoso l’amore di Dio per noi: lui non richiede direttamente il contraccambio, bensì in primo luogo l’amore per i nostri fratelli: “Se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”. Questo bra-no della prima Lettera di Giovanni dobbiamo proprio scriverlo nel nostro cuore, per non dimenticarlo mai.
Il brano del Vangelo (Mt 11, 25-30) ci dice quali sono le preferenze del cuore di Dio nel fare le sue confidenze: non per i ricchi e i sapienti ma per i poveri e i piccoli. Addirittura la tenerezza di Dio si dimostra con chi non ha la forza di andare avanti nella vita o di difendersi dai prepotenti: Gesù li consola, assicurando che si mette anche lui sotto lo stesso loro giogo, si carica degli stessi pesi degli stanchi e degli oppressi. Mentre ascolto queste parole, però, mi viene da pensare che una volta Gesù ha accettato che ci fosse un altro a porsi sotto il suo giogo, quando Simone di Cirene fu costretto a portare (chi sa con quanto poco entusiasmo!) la croce (o almeno il suo braccio trasversale) di Gesù. Penso che il cuore di Gesù si sia rifatto con un particolare amore per la sua famiglia, che doveva far parte delle prime comunità cristiane (San Marco – 15, 21 – ricorda il nome dei suoi figli, Alessandro e Rufo, che dovevano essere noti anche ai suoi lettori). L’ultimo dono del cuore di Gesù è sgorgato addirittura dal suo cuore senza vita, come racconta Giovanni (Gv 19,34). La vita umana è ormai estinta, ma la pienezza d’amore di Gesù trova la possibilità ancora di inviarci (nel sangue e nell’acqua che sgorgano dalla ferita inferta al suo costato) i simboli efficaci del Battesimo e dell’Eucaristia. Sono i sacramenti che maggiormente ci fanno partecipare ai doni di quel cuore: i doni che introducono nella Chiesa, nella famiglia di Dio, regali di quel cuore che ha tanto amato che non poteva amare di più.
Ci accommiatiamo lasciandoci ispirare da un pensiero di San Bernardo: dal costato trafitto di Gesù “uscì sangue ed acqua, prezzo della nostra salvezza. Lo sgorgare da una simile sorgente, cioè dal segreto del cuore, dà ai sacramenti della Chiesa la capacità di conferire la vita eterna ed è, per coloro che già vivono in Cristo, bevanda di fonte viva ‘che zampilla per la vita eterna’ (Gv 4, 14)”.
Vostro don Giuseppe Ghiberti