Domenica 21-6-2020 – XII dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
abbiamo cominciato questo nostro incontro settimanale con la Parola di Dio, spiegata da Don Giuseppe, con le letture della domenica 22 marzo 2020 (domenica IV^ di Quaresima), tre mesi fa (… mi sembrano tre anni).
Eravamo in pieno “confinamento” nelle nostre case, cominciato da una diecina di giorni, e senza sapere che cosa ci poteva attendere.
Il Vangelo era quello di Giovanni (Gv 9, 1-41) che narra il cammino verso la luce di un poveretto nato cieco.
Come parla al nostro presente la Parola di Dio! Capisco che ero cieco e spaventato mentre il Signore mi diceva, mi dice: apri gli occhi, non temere.
Il Vangelo di questa domenica ci ripete: “… non abbiate paura…” e Don Giuseppe ci invita ad abbandonare ai piedi di Gesù tutta la nostra debolezza e a non dubitare di Lui.
Vi è, dunque, un cammino di comprensione della Parola di Dio sotto il profilo storico, esegetico, teologico, e, insieme, vi è un percorso di abbandono e di fiducia che è interiore, che è contemplazione.
Nelle tante difficoltà del presente, di ogni presente, sentire la vicinanza del Signore, nel silenzio, ci dà la forza anche per essere annunciatori della Sua Parola nella nostra vita, con la nostra vita.
Un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
21 – 6 – 2020: XII dom. A
Letture: Ger 20, 10-13; Rm 5, 12-15; Mt 10, 26-33 – Rientriamo nella successione degli episodi narrati da Matteo, il nostro evangelista dell’anno A. Riallacciamo il filo della narrazione: Matteo aveva iniziato il suo racconto evangelico presentando una sua lista di antenati di Gesù, conclusa con Giuseppe, uomo giusto, sposo di Maria; poi dopo la nascita di Gesù ci aveva narrato la venuta dei magi e la fuga in Egitto della “santa Famiglia”, che faceva poi ritorno in “terra d’Israele”, a Nazaret. Dopo un numero imprecisato di anni (ma attorno ai 30) Gesù va al Giordano e riceve il battesimo dal Battista; subito dopo, nel deserto è affrontato dal tentatore e lo sconfigge. Dà inizio allora alla sua predicazione, nel Nord della terra d’Israele, e chiama i primi discepoli. Con il suo stile sistematico Matteo raccoglie temi importanti della predicazione di Gesù, alternandoli con i miracoli. La prima grande predica è il discorso della montagna (capp. 5-7); seguono due capitoli di miracoli (cc. 8-9) e un secondo discorso, che illustra ai dodici discepoli (chiamati anche “apostoli”: 10,1-2) la missione che viene loro affidata. Il brano evangelico di oggi si inserisce qui, alla fine di questo discorso.
Qualche insegnamento dalle letture: il clima delle letture odierne è molto impegnativo, anche un po’ cupo: il profeta Geremia non suscita simpatie nel suo ambiente e viene fatto oggetto di reazioni persecutorie da parte di persone malvage, che vorrebbero però presentarsi come amici. Ma il profeta confida nel Signore, da cui implora aiuto e questa volta sembra avere ottenuto successo (“ha liberato la vita del povero”).
Scrivendo la grande Lettera ai cristiani di Roma, san Paolo enuncia un principio che illustra la situazione universale dell’uomo: “in tutti gli uomini si è propagata la morte, perché tutti hanno peccato”. Ciò è accaduto per la legge della solidarietà che vige tra tutti noi (“per la caduta di uno solo tutti morirono”). Per nostra somma fortuna la stessa legge vale in positivo: “molto di più la grazia di Dio, e il dono concesso in grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza su tutti”. E’ questo il fondamento di ogni nostra fiducia e del nostro impegno di fedeltà al dono ricevuto in modo totalmente gratuito.
In questo clima si svolge la missione che Gesù affida ai discepoli (secondo il racconto che leggiamo nel vangelo di Matteo)
Non abbiate paura: Immaginando Gesù che lascia la sua casa a Nazaret per iniziare la vita pubblica, lo dobbiamo subito pensare intento a scegliersi dei discepoli. Tutti gli evangelisti sono concordi nel dirci che Gesù non è stato un predicatore solitario (anche il Battista aveva avuto discepoli), e i suoi discepoli li tiene con sé, li ammaestra. Ha sempre in vista il progetto di farli partecipi del suo impegno: lui è un messaggero del Padre, itinerante, e anche i suoi discepoli sono sempre con lui. Più ancora, egli li manda a fare quello che sta facendo lui: “annunciare”. Ci sono due momenti di invio: durante la vita pubblica di Gesù e dopo la sua risurrezione e ascensione al cielo; e sarà quella definitiva, per la Chiesa dei secoli. Viene subito da domandarci: che cosa faceva Gesù nel tempo in cui rimase solo perché i discepoli erano partiti in missione? Penso che li abbia seguiti con il suo affetto, la sua preghiera potente e anche con la sua trepidazione: sapeva che non era una missione facile e che non mancavano i rischi. Gli evangelisti ci diranno che quella missione ebbe successo, ma lo sguardo di Gesù andava lontano e, mentre preparava i suoi discepoli al piccolo apprendistato, guardava già a un futuro non prossimo. Soltanto, le prospettive sono diverse e per la missione breve non c’è bisogno di … forniture previe, mentre più tardi il Maestro dirà che sarà necessario portare con sé bisaccia e borsa, per affrontare difficoltà che non si allentano (Lc 22,38).
“Non abbiate paura” è l’incoraggiamento che Gesù ripete tre volte. Aveva detto bensì “siate prudenti”, perché gli ostacoli saranno numerosi e terribili (può andarne di mezzo anche la vita), ma è garantita al testimone di Gesù la solidarietà di Gesù stesso “davanti al Padre mio”. All’improvviso la prospettiva s’è allargata: dal momento presente si passa a quello in cui compariremo davanti al Padre che è nei cieli. Saremo allora accompagnati dal nostro dolce Redentore, che assumerà lui la funzione di difensore per coloro che hanno avuto a cuore la causa del loro Maestro.
Ora momento di Gesù “storico” è terminato, ma stiamo vivendo il momento il momento che è altrettanto di Gesù, dei secoli, e siamo responsabili dell’atteggiamento che prendiamo nelle situazioni nelle quali il Signore ci chiama a vivere, al presente. A questo momento, alla sua situazione, siamo tutti mandati. Gesù ci esorta a non spaventarci: il male è accattivante, la nostra debolezza grande; solo una fede invocata e coltivata ci suggerisce i criteri validi – sopra ogni apparenza – per una scelta continua, che dia sempre la preferenza a quel Signore che ha dato tutto a noi, non ha tenuto niente per sé.
Ai suoi piedi mettiamo con abbandono tutta la nostra debolezza, che ci causa tanta paura. Lui si fida di noi; noi non dobbiamo fargli il torto di dubitare di Lui.
Concludiamo con una riflessione molto semplice di Padre Pio, Santo: Ricordati che una madre insegna sui primi tempi al proprio bambino a camminare, sostenendolo; questi però in seguito deve camminare da sé; tu quindi devi ragionare con la tua testa.
Vostro don Giuseppe Ghiberti