Domenica 5-7-2020 – XIV dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
siamo entrati nel mese di luglio. Tradizionalmente per i soci e amici dell’Amcor questo è un periodo nel quale gli incontri sono legati ad amicizie personali perché la nostra attività si fermava per riprendere a settembre/ottobre. Siamo invece, in questo particolare periodo della nostra storia, ancora collegati tra noi da un filo vivo, intessuto della Parola di Dio. Don Giuseppe sarà la voce orante e di vera “sapienza” che ci accompagnerà settimanalmente anche in questa estate.
Gesù oggi ci ripete: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro (Mt 11,29). Nel nostro quotidiano, fatto di gioie e di fatica, abbiamo un ristoro, sappiamo dove dissetarci. L’Amcor ci aiuterà a sentirci uniti nella preghiera ed anche nella speranza di poter riprendere, più avanti, il nostro cammino insieme di amicizia e di fede.
Un augurio affettuoso di un sereno periodo estivo anche da parte di Don Giuseppe e di tutto il Consiglio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
5 – 7 – 2020 : XIV dom. A
Letture: Zc 9, 9-10; Rm 8, 9-11.13; Mt 11, 25-30 – Il profeta Zaccaria ci ha lasciato un libro di non rilevante lunghezza ma carico di messaggi consolanti e impegnativi: “Esulta, figlia di Sion… a te viene il tuo re”. Le Lettera ai Romani, che ci accompagna in queste domeniche, si sofferma a più riprese sul capitolo 8, centrale nel descrivere il dono dello Spirito operante nel credente. La lettura evangelica ci è offerta ancora da Matteo, che ha due parole: una lode toccante alla preferenza del Padre per i piccoli e un invito di Gesù per chi è stanco e oppresso e troverà aiuto in Lui.
Qualche insegnamento dalle letture: Tra la prima e la terza lettura corre una continuità di tematica: il re umile, re della pace è in totale armonia con il Padre, che egli conosce in modo unico. San Paolo illustra per i credenti di Roma le meraviglie che opera lo Spirito. La prima è avere “risuscitato Cristo dai morti” e ad essa consegue che “colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi”. E’ una specie di ‘concentrato’ di discorso sulla santissima Trinità: beneficiari ne sono l’umanità di Gesù e la nostra umanità e la manifestazione per eccellenza è la risurrezione: di Gesù e – per essa, con essa – anche la nostra. Si comprende allora la raccomandazione accorata di Paolo a “non vivere secondo i desideri carnali”. La “carne” è un termine con molti significati, ma in questo caso indica proprio l’aspetto negativo della nostra realtà, in contrasto col piano di Dio, succube alla forza del male, destinata perciò alla morte eterna. E’ così bella invece la prospettiva positiva: “Se invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete”. Anche per il “corpo” si danno più sensi e in questo caso vale quello negativo, che rifiuta l’intervento e l’esempio di Gesù.
Mandati dal Padre come Gesù: dal modo come Gesù termina il suo discorso ai discepoli che manda in “avanscoperta” o primo assaggio di quella che sarà la modalità concreta della missione cristiana (quella primitiva ma anche – in prospettiva – quella dei secoli della vita della Chiesa), si direbbe che ai “missionari” debba accadere di tutto un po’, con difficoltà in casa e fuori casa, di fronte a pochi e a molti. Effettivamente già gli Atti degli Apostoli descrivono una difficoltà continua incontrata dall’opera di evangelizzazione. Qualche confidenza nelle Lettere di Paolo rincara la dose, nel riassumere la sua esperienza apostolica, tanto tribolata: “molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte… i quaranta colpi meno uno, tre volte battuto con le verghe… una volta lapidato… percoli di fiumi, pericoli di briganti… da parte di falsi fratelli…” (2 Co 11, 21-27).
Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli: Quel Gesù che, qualche capitolo fa, proclamava ‘beati’ i miti e quanti sono disposti ad accettare sofferenza, torti, disprezzo e violenza per amore e imitazione sua ora ringrazia il Padre per la preferenza che Egli dà a questi ‘piccoli’. E questo, contro tutte le apparenze, è un privilegio, frutto della benevolenza del Padre; ed è la via attraverso la quale passa la conoscenza di Gesù. Non di rado la rivelazione di Gesù fa venire il capogiro, ma sempre avvertiamo che le cose che lui dice le vive lui per primo. Infatti nel brano evangelico di oggi sentiamo che Egli rivolge a noi l’invito a … regalargli tutta la nostra stanchezza assieme a tutte le nostre sofferenze, fisiche e morali. Lui attinge il ristoro che ci promette, certo, dalla sua onnipotenza, che si manifesta però non nella severità. Ne avrebbe il diritto, ma non ne vuol fare uso. Il posto che si sceglie è un altro: sotto il nostro giogo. Veramente egli lo chiama “il mio giogo”, ma perché lo fa suo portando Lui la maggior parte del peso. Ricordiamo certamente come erano fatti i gioghi per le bestie da soma che lavoravano nei nostri campi: c’era il giogo per una sola bestia, cavallo, mulo, bue o mucca; e c’era molto spesso il giogo per due, che univano le loro forze. Gesù è ‘l’altro’, accanto a noi, ed è lui che fa lo sforzo di gran lunga più grande. Allora si capisce che per l’altro, cioè noi, “il mio giogo è leggero”: la fatica più grande la fa lui! E se a noi a volte viene da dire: “ma, Signore caro, non ne posso più. Non riesco proprio a chiamarlo leggero, questo peso”, pensiamo a quanto indicibilmente grande deve essere per Gesù la sofferenza che lui sopporta. E’ vero che, per la legge del tempo, a cui Gesù ha voluto sottoporsi, ora Gesù fisicamente ha cessato di tribolare (la risurrezione l’ha sottratto a questa condizione di soggezione alla sofferenza), ma la sua forza continua ad agire nella nostra sofferenza – e poi anche la nostra è destinata a sfociare nell’eternità che conosce solo beatitudine. E’ la grande consolazione che ci dà la fede, di cui hanno vissuto tutti i santi. Ma per questo modo di sentire e di vivere quanto bisogno abbiamo dello Spirito. Lui ci invita a camminare – e non si stacca mai da noi.
Propongo, in conclusione, un detto che piaceva molto a un vescovo amico, figlio delle nostre terre, mons. Piero Rossano: Viandante, non c’è cammino – si fa cammino nell’andare (Antonio Machado)
Vostro don Giuseppe Ghiberti