Domenica 09-8-2020 – XIX dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
Don Giuseppe è ora a Monaco, in Germania, ove rimarrà fino a circa metà del corrente mese di agosto. Ormai da lunghi anni questo è un impegno al quale Don Giuseppe desidera rimanere fedele. Prima di partire ha voluto lasciarci il suo scritto in preparazione alle letture di domenica 9 agosto.
Debbo dirVi che sono rimasto colpito e commosso dal commento finale di Don Giuseppe al Vangelo di Matteo. Il testo riporta l’invito di Gesù a Pietro, “Vieni”, e il tentativo di Pietro di camminare sulle acque, il suo dubbio (“Signore, se sei Tu…), la sua paura di fronte alla tempesta, il suo grido: “Signore, salvami!”, l’intervento di Gesù che gli tende la mano.
Don Giuseppe chiude il suo sapiente commento con queste parole piene di tenerezza:
“Ma allora, Pietro caro, tanto sicuro non sei: proprio come capita non di rado a me. E anche a me il Signore dice: “Vieni !”. Possa essere questa la parola che mi dirai quando, nell’ultima traversata, mi sentirò intralciato dalle onde di tutte le incorrispondenze accumulate durante la navigazione di mia vita.”
Non vorrei aggiungere altro, ma negli occhi e nel cuore ho la devastazione della città di Beirut (Libano) dovuta a queste terribili esplosioni che, mentre Vi scrivo, hanno già causato centinaia tra morti e dispersi, migliaia di feriti e una città semidistrutta, come bombardata, presagio di guerra.
Abbiamo da poco ricordato Padre Vartan e il nostro pellegrinaggio in Libano del 2010. Uniamoci un momento in preghiera per tutto quel popolo, per le comunità cristiane e, in particolare, per la comunità armena che allora ci accolse fraternamente, con il suo Patriarca, nella sua chiesa nel centro di Beirut, con il peso della sua storia, con il suo sguardo rivolto al futuro.
Il Salmo di oggi ci dice: “Ascolterò cosa dice Dio, il Signore: / egli annuncia la pace…” (Sal 85,9). Invochiamo, dunque, il Dio della pace, dell’amore, della giustizia, della misericordia perché ascolti il grido disperato di quanti lo invocano, perché il male non prevalga.
Preghiamo Nostra Signora del Libano (ve ne riporto l’immagine al fondo di questa e-mail) che, da Harissa, apre le sue grandi braccia su questa città martoriata perché consoli i suoi figli, ne asciughi le lacrime, ridoni speranza.
Un abbraccio a tutti.
Contardo Codegone
![](http://www.amcor-amicichieseoriente.org/wp-content/uploads/2020/08/Harissa.jpg)
Settimanale AMCOR
09 – 8 – 2020: XIX dom. A
Coraggio, sono io, non abbiate paura
Letture:1Re 19, 9a.11-13a; Rm 9, 1-5; Mt 14, 22-33 – nella Lettera ai Romani San Paolo affronta il problema della salvezza del popolo ebraico, il suo popolo, amatissimo, e la sua riflessione si prolungherà per tre capitoli. Nel racconto del vangelo di Matteo incontriamo uno dei cosiddetti miracoli sulla natura, perché Gesù domina la tempesta sul lago e impedisce a Pietro di affondare. La vicenda vissuta da Elia (raccontata dal primo libro dei Re) sulle falde del monte Oreb richiama anch’essa l’intervento delle forze della natura (venti violenti o leggeri) come strumenti dei messaggi di Dio.
Qualche insegnamento dalle letture: Dio manifesta la sua natura superiore a ogni possibilità di comprensione umana ed Elia esprime la sua totale sottomissione (“si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna”), e così si rende disponibile alla rivelazione che seguirà. In una situazione vagamente analoga (il furore della tempesta sul lago, narrata da Matteo) l’intervento di Gesù esercita un potere sovrano sia sulle onde sia sulla gravità del corpo di Pietro, che si sente affondare. Di Paolo sentiamo l’espressione dei sentimenti di solidarietà intensa verso il suo popolo: il popolo ebraico è l’erede delle promesse, è discendenza nella linea degli ‘amici’ di Dio, i patriarchi, e soprattutto da esso “proviene Cristo secondo la carne”, anche se Egli è “sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”. Siamo agli inizi di una lunga riflessione, ma avvertiamo già l’accoratezza di un affetto che non sa come esprimere la propria solidarietà verso quel popolo a cui l’apostolo sente di appartenere e di essere unito con i legami più profondi del cuore. Risuona addirittura un’espressione che è un vero sproposito: “Vorrei esser io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli”.
Coraggio, sono io, non abbiate paura – Elia era fuggito dal Nord (Acab e Gezabele lo volevano morto) e aveva camminato per quaranta giorni e quaranta notti nel deserto, giungendo fino all’Oreb (la cui identificazione non è sicura). Nel momento in cui voleva finalmente prendere riposo, il Signore si fece sentire. Ma, a differenza di altre volte, il Signore unì la sua presenza non a dimostrazioni di forza per incutere terrore ma al “sussurro di una brezza leggera”. Elia comprende il segno e si accinge al dialogo con il Signore. La continuazione, qui omessa, riporta l’incarico che Dio dà a Elia, di ritornare al Nord per dare a nuovi personaggi investiture regali sui regni di Aram e di Israele. E’ una vicenda del tutto eccezionale quella di Elia, totalmente dedito alla causa del suo Dio e confidente unico dei suoi pensieri. Forse il confronto più interessante si può fare con Mosè: a una divergenza quasi totale nelle condizioni del suo operato, quasi totalmente solitario (mentre Mosè è sempre immerso nel suo popolo), è unita una somiglianza unica nel suo rapporto con Dio, tanto che nella storia della spiritualità ebraica e cristiana il modello del colloquio confidente e ubbidiente, a tu per tu, con Dio, è legato in particolare proprio a Mosè e ad Elia: parlavano come amici e si comportavano come servi ubbidienti. Nel giorno della trasfigurazione di Gesù sono proprio questi due giganti dell’Antico Testamento gli interlocutori nel dialogo col Figlio (cf Mt 17, 3-4 e specialmente Lc 9, 30-33).
L’esperienza dei discepoli, in particolare di Pietro, durante la tempesta sul lago ha somiglianze con quanto abbiamo visto con Elia. La forza degli eventi potrebbe essere di impedimento al rapporto dei discepoli con Gesù durante l’uragano, ma l’intervento miracoloso ha efficacia rivelatoria e suscita la confessione: “Davvero tu sei Figlio di Dio”. Così termina un momento un po’ singolare, che mostra Gesù nel pieno possesso della sua sovranità, nell’amabilità della sua partecipazione: “Coraggio”, e a Pietro: “Vieni”.
Concludiamo solo con un sorriso per farci coraggio: Gesù ha appena detto: “Coraggio, sono io, non abbiate paura” e Pietro gli risponde: “Signore, se sei tu…”. Ma allora, Pietro caro, tanto sicuro non sei: proprio come capita non di rado a me. E anche a me il Signore dice: “Vieni!”. Possa essere questa la parola che mi dirai quando, nell’ultima traversata, mi sentirò intralciato dalle onde di tutte le incorrispondenze accumulate durante la navigazione di mia vita.
Vostro don Giuseppe Ghiberti