Domenica 16-8-2020 – XX dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
Don Giuseppe ci guida con amore e sapiente pazienza alla comprensione della Parola di Dio come offertaci dalla Liturgia domenicale del 16 agosto.
Delle Letture di oggi e dell’approfondimento di Don Giuseppe, in particolare, mi hanno colpito tre elementi.
Il primo riguarda il testo di Matteo che ci dice: “Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e Sidone.” (Mt 15,21). Siamo stati proprio dieci anni fa in quelle terre, vicine a Beirut, capitale del Libano. Città ora devastata e che affidiamo alla misericordia del Signore e all’aiuto della Madonna rappresentata nella grande statua di Harissa (20 Km da Beirut).
Il secondo è racchiuso nel grido della donna cananéa (sirofenicia non ebrea): “Pietà di me, Signore, figlio di Davide!” (Mt 15,22). Richiesta disperata di perdono e di aiuto. Un grido che mi sembra condensare la preghiera dei Salmi. Anche nel Salmo di oggi preghiamo: “Dio abbia pietà di noi e ci benedica” (Sal 67,2).
Il terzo è nel testo di Isaia: “… perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli.” (Is 56,7)
Che ricchezza nella Parola di Dio, che messaggio universale racchiuso in quel grido, nella consapevolezza che la casa del Signore è la casa di preghiera per tutti i popoli. Abbiamo bisogno di questa apertura, di questi orizzonti nei quali possa crescere il nostro cammino di fede, trovi spazio la nostra supplica e possiamo accogliere la benedizione del Signore.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara e tutto il Consiglio Vi invio i saluti più cari.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
16 – 8 – 2020: XX dom. A
I doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili
Letture: Is 56, 1.6-7; Rm 11, 13-15.29-32; Mt 15, 21-28 – Avviandosi alla fine della riflessione sul mistero del suo popolo, degli Ebrei, Paolo esprime (nella Lettera ai Romani) la speranza della loro riconciliazione. Ed enuncia il principio fondamentale della speranza: “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Dal libro del profeta Isaia raccogliamo una dichiarazione che sembra voler completare, ma come rovescio della medaglia, le dichiarazioni di Paolo: “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli”, quindi anche i pagani. Il racconto evangelico ci narra un episodio accaduto (in una delle poche uscite di Gesù dal territorio ebraico) fuori dei confini tradizionali della Galilea, “nelle parti di Tiro e Sidone”, dove avviene l’incontro con una donna non ebrea e Gesù le guarisce la figlia, per la sua “grande fede”.
Qualche insegnamento dalle letture: Abbiamo già notato una singolare continuità nell’insegnamento delle tre letture bibliche della liturgia eucaristica di oggi. Dio vuole veramente tutti gli uomini salvi, senza distinzione per la loro provenienza o discendenza, anche se ognuno ha la sua storia e il suo cammino. Questa volontà si annida nel segreto di Dio ed è primaria e superiore a ogni possibile ostacolo: non la rende inefficace la resistenza opposta a lungo dal popolo di Gesù e di Paolo, neppure la impedisce la provenienza della mamma sirofenicia da un popolo che non abbia per padre Abramo. Pone solo una condizione per divenire efficace: la fede. Che, certo, non è una condizione semplice.
Dio… misericordioso verso tutti: La fede è consapevole e cocciuta nella povera mamma di Tiro. Ha un obiettivo, la salvezza della figlia, e gli condiziona ogni pensiero e sentimento. Non si permette nemmeno di offendersi. E ha una convinzione, fornita e sostenuta dalla speranza: quel maestro può ridarle la figlia sana. Si adatta allora alla qualifica di cagnolino, chiede solo una briciola del potere di Gesù, e ottiene. Ma sono due che ottengono: Gesù ottiene la sua fede e lei la guarigione della figlia. Anche noi dobbiamo interrogarci se siamo disposti a fare lo stesso cammino: ho tanto bisogno del tuo aiuto, Signore, e sono contento (qualcuno dirà solo, a denti stretti: sono disponibile, faccio il possibile…) di darti tutta la mia fiducia, di dare la precedenza al tuo criterio, alla tua decisione. Anche perché so che tu mi vuoi molto più bene di quanto me ne voglia io – e vedi molto più lontano di me!
D’altra parte lui aveva detto, per bocca di Isaia: “i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare,… la mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutti i popoli”. Sono parole consolanti, ma anche piene di mistero: solo il mio altare, la mia casa? Altri altari o case non vanno bene? Non radicalmente diverso è il caso e il cammino di quanti per Paolo sono quelli “del mio sangue”.
Una grande speranza suscita la sua affermazione: “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili”. Paolo accentua questa affermazione in funzione della unicità della vocazione di Israele. Certo la storia cristiana, purtroppo, non l’ha tenuto in giusto conto ed è un dono di Dio il cammino che la Chiesa oggi sta facendo per riscoprire questa verità vitale. Ma il caso del popolo ebraico, che è certamente singolarissimo e bisognoso oggi di particolare attenzione, non è unico. Nei confronti della mamma non ebrea a cui Gesù ha guarito la figlia, quel principio ha lo stesso valore: certo, alle stesse condizioni, di adesione alla salvezza portata da Gesù. Proprio questa adesione fiduciosa è stato il titolo offerto da quella mamma a Gesù: una fede più istintiva che elaborata, prodotto di necessità, ma fede vera, maturata nel grande abbandono a quel “Signore, Figlio di Davide”, a cui si rivolgeva ricca solo di povertà, impotenza, necessità – e anche disperata fiducia. Anche certi momenti di disperazione sono germogli di grazia.
Vostro don Giuseppe Ghiberti