Domenica 23-8-20 XXI dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
le Letture di questa domenica 23 agosto sono particolarmente ricche. Don Giuseppe ci accompagna, dal libro di Isaia (“le chiavi della casa di Davide”) al Vangelo di Matteo (“le chiavi del Regno dei Cieli”), a cogliere il valore della promessa fatta da Gesù a Pietro dopo la sua professione di fede: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”.
Intarsiato tra la prima lettura e il Vangelo troviamo il testo tratto dalla lettera ai Romani di Paolo che riporta un grandioso inno di lode a Dio (“O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio!”) che ci insegna la vera dimensione del cristiano che è l’abbandono in Dio.
La Chiesa in questa dimensione di fede, ci invita a pregare il Salmo 138 (137): “… eccelso è il Signore e guarda verso l’umile… Signore, il tuo amore è per sempre: / non abbandonare l’opera delle Tue mani.”
Questo spirito di fiducia, di fede che cresce nell’abbandono, ci aiuti e ci guidi in questo periodo così difficile.
Un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
23 – 8 – 2020 : XXI dom. A
Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente
Letture:Is 22, 19-23; Rm 11, 33-36; Mt 16, 13-20 – L’oracolo profetico dal libro di Isaia ha un particolare che anticipa un aspetto della profezia del vangelo: “Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide”. Gesù infatti promette a Pietro che gli darà “le chiavi del regno dei cieli”. La ‘confessione’ di Pietro è ricchissima di interesse, in particolare per la formulazione ampia (specialmente per la risposta di Gesù) che ce ne dà Matteo. Della Lettera ai Romani leggiamo la splendida lode con cui Paolo conclude la sezione dedicata al “mistero di Israele”.
Qualche insegnamento dalle letture: partiamo proprio da quella dossologia (= lode) di cui si parlava ora: “O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio!” San Paolo ha riflettuto a lungo per venire a capo del mistero della resistenza opposta dalla maggioranza del popolo ebraico all’annuncio della salvezza in Cristo; i molti ragionamenti sono serviti per chiarimenti parziali, che evidentemente hanno lasciato anche lui nella pena di constatare la loro ridotta efficacia. Lo sguardo si innalza allora alla sede della grazia, per erompere in un inno di lode confidente, altissima: “Chi mai è stato suo consigliere? … A lui la gloria nei secoli”. E’ raggiunta così l’altissima sfera in cui la creatura umana rinuncia a chiedere il perché. Non lo comprenderei e penserei di avere anch’io un parere da far valere. Ma “chi mai è stato suo consigliere?” Il vero rapporto religioso per il cristiano è proprio quello di una lode senza perché, di pieno abbandono.
La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo? Mentre guardiamo con ammirazione Pietro, in mezzo ai discepoli, portiamo subito l’attenzione su noi stessi, perché la ‘gente’ è l’umanità dei secoli, in primo luogo la mia persona. La scena della “confessione di Pietro” porta il lettore a interessarsi prevalentemente a Pietro: è lui che pronuncia le parole determinanti e inattese, che anticipano ogni manifestazione di fede cristiana. La reazione di Gesù porta a interpretare proprio in questo modo. In realtà la parte fondamentale della scena è costituita da quanto Pietro ‘confessa’, per autentica ispirazione divina, forse senza rendersene pienamente conto. Ed è tanto commovente vedere che nella bocca di un uomo (per di più senza specifica cultura) fiorisca un’espressione che, senza esagerazione, entra nel mistero trinitario. E non importa che la sua stessa comprensione si sia arrestata all’orlo del mistero: quella proclamazione da Gesù è stata pienamente accettata; anzi è stata rafforzata nella concessione a Pietro, da parte dello stesso Gesù, di incarichi e poteri unici, che non hanno riscontri nell’esperienza di alcuna organizzazione del tempo – di quello e di ogni altro. Gesù ha voluto che la manifestazione del suo mistero fosse inserita e incorniciata in una dichiarazione unica: il mistero del Cristo, Figlio del Dio vivente, è rivelato e deposto nel seno di una realtà umana, che oltrepassa i confini umani, per partecipare alla condizione di Gesù stesso, il Figlio del Padre celeste. Quante componenti ha questa rivelazione: la realtà della Chiesa, radicata e difesa nella famiglia stessa di Dio, la lotta che contro il piano di Dio è scatenata costantemente dalle forze demoniache, la presenza di Gesù, che è ‘la pietra di Pietro’ e che regge quella Chiesa anche attraverso lo strumento del servizio di Pietro.
La vicenda non finisce qui, perché domenica prossima la lettura evangelica ci farà vedere l’altro aspetto della figura di Pietro, che nella sua irruenza vorrà impedire a Gesù di essere il Cristo sofferente e si sentirà chiamare ‘Satana’, ostacolo infernale sul cammino del Maestro. Sappiamo però che Gesù non caccerà Pietro dalla sua sequela: proprio quando commetterà l’errore di rinnegare il suo Maestro – e nel momento in cui questi aveva maggiormente bisogno del suo sostegno – Gesù gli darà la massima prova della riconciliazione amorosa affidandogli le sue pecore, i suoi agnelli. Allora sarà lui a diventare capocordata nell’annuncio e nella testimonianza della vita.
Dalla prima Lettera di Pietro sentiamo la testimonianza che ha dato proprio quel Pietro che aveva meritato il titolo di satana=tentatore:
Cristo patì per voi, / lasciandovi un esempio,/ perché ne seguiate le orme:/ egli non commise peccato/ e non si trovò inganno sulla sua bocca;/ insultato, non rispondeva con insulti,/ maltrattato, non minacciava vendetta,/ ma si affidava a colui/ che giudica con Giustizia./ Egli portò i nostri peccati nel suo corpo/ su legno della croce,/ perché, non vivendo più per il peccato,/ vivessimo per la giustizia;/ dalle sue piaghe siete stati guariti./ Eravate erranti come pecore,/ ma ora siete stati ricondotti/ al pastore e custode delle vostre anime (1Pt 2, 21-25).
Vostro don Giuseppe Ghiberti