Domenica 13-9-20 XXIV dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
“nessuno di noi vive per se stesso…. viviamo per il Signore” è il messaggio di Paolo, forte e incisivo come sempre. Riassume e apre orizzonti che racchiudono il senso della nostra vita, il senso del nostro chiedere perdono e perdonare sempre.
Don Giuseppe ci porta subito a guardare all’essenziale, a farlo nostro, a capire il senso del convertirci, del volere il cammino giusto.
Riprenderemo i nostri incontri con la S. Messa del primo martedì di ottobre (6 ottobre), ore 18,00, presso la Chiesa del SS: Sudario (Via San Domenico 28 Torino). Ricominciare con la preghiera ai piedi dell’altare, di fronte all’immagine della S. Sindone, è confermare il nostro desiderio di “vivere per il Signore”.
Anche il Salmo di oggi ci invita alla preghiera: “Benedici il Signore, anima mia, / quanto è in me benedica il suo santo nome.” (Sal 103/102,1)
Con Don Giuseppe e tutto il Consiglio, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
13 – 9 – 2020 : XXIV dom. A
Fino a settanta volte sette
Letture: Sir 27, 30 – 38, 7; Rm 14, 7-9; Mt 18, 21-35 – Non possiamo vivere isolati e la compagnia del nostro prossimo è aiuto e anche provocazione. Il Signore conosce tutto e dispone quanto porta aiuto e quanto causa difficoltà. La presenza del fratello è presenza del Signore, ma può essere anche strumento del nemico, che si serve del fratello per far da inciampo al fratello. Le difficoltà della presenza del fratello accanto a noi sono prese in considerazione, oggi, nel brano del Siracide, un autore della fine dell’Antico Testamento, e del vangelo di Matteo nel suo insegnamento alla futura comunità dei credenti in Gesù. La Lettera ai Romani, che ci accompagna in queste settimane, ci richiama al grande principio che deve guidare ogni orientamento delle nostre decisioni: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”.
Qualche insegnamento dalle letture: E’ molto reciso e severo il Siracide nel condannare “rancore e ira”, e altrettanto per la “vendetta”. Dunque “perdona l’offesa al tuo prossimo”, se vuoi “ottenere il perdono di Dio”; ricorda “l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Gesù a sua volta, nei consigli che Matteo ha raccolto per le comunità dei credenti, gioca sulla sproporzione che corre tra il perdono di Dio per ognuno di noi e quello che possiamo concedere noi al fratello. San Paolo conclude la grande lettera ai Romani con insegnamenti sul comportamento che deve proporsi il credente nella vita quotidiana; e sono prospettive di infinito: “Nessuno di noi vive per se stesso… viviamo per il Signore”. In vita e in morte siamo del Signore,…che “è ritornato alla vita per essere il Signore dei morti e dei vivi”. Se sono del Signore, dunque non mi appartengo, dunque la motivazione e la forza di tutto quanto sono e faccio è lui. Nient’altro mi deve interessare o ha diritto di prevalere. Ma allora perché, Signore, nella mia vita tutto questo non si vede, non è efficace? Se non vivo adesso per te, come potrò morire per te?
Fino a settanta volte sette
Qualche volta il racconto evangelico fa sorridere: immaginiamo Pietro che si avvicina a Gesù per fargli la famosa domanda: va bene perdonare sette volte al fratello che ha mancato contro di me? Pensa già di esagerare, ma Gesù gli toglie l’illusione: non sette ma settanta volte! E dice sul serio, perché il modello che dobbiamo guardare è nientemeno che il Padre e questi non esita a perdonare a ognuno di noi infinitamente di più, nei nostri debiti. Il che vuol dire che i debiti ci sono e che ci fanno perdere l’amicizia del Padre: non gli daremo mai vera soddisfazione dei nostri torti. Da soli la sua amicizia non siamo in grado di riconquistarla; ma lui cancella il debito, tutto! Il discorso può sembrarci un po’ enfatico o astratto, ma ha nel comportamento di Gesù riscontri convincenti e commoventi. Pensiamo a quella parola “Amico!” con cui Gesù accoglie Giuda che viene per consegnarlo nelle mani della soldataglia ostile. Gesù dà peso a ogni parola e quell'”Amico” gli nasce dal cuore ed è un vero tentativo di ricuperare con l’amore e il perdono l’amico traviato. Non riesce a ricuperarlo in quel momento, ma penso proprio che il suo cuore non l’abbia abbandonato neppure nel momento in cui pose fine tragicamente alla sua vita. Sarebbe bastata un’ombra di fiducia, come ebbe – non molte ore dopo – il povero delinquente crocifisso, che agonizzava accanto a Gesù. Riconobbe i suoi torti e l’innocenza di Gesù e nella risposta di Gesù non ci fu nemmeno un’ombra di rimprovero, ma soltanto un arrivederci presto – in paradiso!
Ma tutta questa bontà del Signore richiede almeno uno sforzo di imitazione, perché Gesù esige che la bontà del Padre e sua si diffonda. Eppure proprio questo non viene da sé: troviamo sempre una scusa per essere severi ed esigenti con fratello e molto indulgenti con noi stessi. Invece qui l’esempio e l’insegnamento di Gesù ci dicono di non fare calcoli: ho ricevuto tutto senza misura e gratis, anche tante volte il perdono: devo adottare lo stesso sistema. Devo proprio abbandonare la risposta “ma io”, “ma lui”, e pensare solo a quell’altro “Lui”, che ha perso i conti dei miei torti. Il mio preteso desiderio e proposito dell’imitazione incomincia a essere serio solo quando mi oriento allo stesso modo.
Certo, è una delle battaglie più impegnative e costanti di ogni giorno. Ma io non chiedo sovente “Rimetti a noi i nostri debiti COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”?
Vostro Don Giuseppe Ghiberti