Domenica 27-9-20 XXVI dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
Don Giuseppe ci aiuta a far scendere nel nostro cuore, a fare nostro, il “si” a Dio come Gesù disse il suo “si” al Padre. Non dobbiamo dunque essere come i potenti che rispondono a Dio con un “si” solo formale che è un “no” del cuore, ma dobbiamo essere come gli ultimi, consapevoli di essere bisognosi di misericordia, che cambiano, attraverso la conversione, il loro “no” iniziale a Dio in un “si” consapevole e radicale.
Il Salmo che la Liturgia ci offre questa settimana ci accompagna su questa strada.
“Buono e retto è il Signore, / indica ai peccatori la via giusta; / guida i poveri secondo giustizia, / insegna ai poveri la sua via.” (Salmo 25(24), 8-9). Quanto abbiamo bisogno di questa indicazione di Dio e della Grazia per poterla seguire.
E’ interessante notare che questo Salmo si compone di 22 versetti, quante sono cioè le lettere dell’alfabeto ebraico. Nell’antica Mishnàh (la tradizione orale della Torah prudentemente messa per iscritto agli inizi del terzo secolo dopo Cristo) si dice che Dio, al crepuscolo del primo sabato, abbia creato le lettere dell’alfabeto e la scrittura. Questa scelta di Dio pone le premesse per la composizione in futuro delle parole, parole attraverso le quali verrà comunicata l’alleanza di Dio con il suo popolo. Di qui il nostro rispetto per la “Parola”, Lògos, Verbum, sacramento di salvezza. E la Parola di Dio la si ascolta in silenzio, viene pronunciata nel silenzio.
Così il nostro “si”, che nasce dalla conversione, diventa parola di salvezza, cammino di verità.
Con Don Giuseppe e tutto il Consiglio Vi saluto fraternamente.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
27 – 9 – 2020 : XXVI dom. A
Svuotò se stesso… obbediente fino alla morte
Letture:Ez 18, 25-28; Fil 2, 1-11; Mt 21, 28-32 Procedono le due letture dal Nuovo Testamento (la Lettera ai cristiani di Filippi e il primo vangelo, di Matteo), mentre la lettura dall’Antico Testamento, tratta dal profeta Ezechiele, introduce la tematica del vangelo, affermando che il malvagio che si converte viene salvato.
Qualche insegnamento dalle letture: Dedichiamo una prima attenzione allo splendido brano di Filippesi. San Paolo raccomanda ai suoi cristiani, convertiti da non più di dieci anni, una regola di comportamento facile a dire e non a praticare: “Ciascuno non cerchi l’interesse proprio ma anche quello degli altri”. Sono cose presto dette, ma con risvolti molto impegnativi: “consideri gli altri superiori a se stesso”! Per questo porta l’argomento dell’esempio di Gesù, come lui si è comportato, e sfrutta una composizione che ha già una storia precedente e che ci dice quanta profondità di comprensione del mistero di Gesù il Padre avesse concesso alle comunità cristiane della primissima ora. E’ qualcosa di enorme: Gesù ha messo da parte tutta la manifestazione della sua realtà divina (l'”essere come Dio”): “Svuotò se stesso”, giungendo al colmo dell’autoannientamento, “fino alla morte di croce”. Il motivo non viene esplicitato, ma siamo nel contesto della preferenza data al fratello, dunque in un discorso di ubbidienza al Padre e amore purissimo per i fratelli. Sì, perché sopra ogni nostro evento c’è la volontà benevola del Padre: è accaduto appunto per Gesù, nella sua umanità che il Padre ha esaltata, costituendola sovrana su ogni creatura. L’incarnazione, la redenzione acquistano così, alla luce e nel seno della Trinità, la pienezza del loro significato, dando a tutta la nostra storia, anche alla nostra povertà, un significato sublime. Certo questo ha significato per Gesù l’abbassamento più radicale e doloroso, che porta il nome della croce.
Svuotò se stesso… obbediente fino alla morte – Il passaggio al vangelo sembra volerci appesantire le ali, con quel gioco di sì e di no, in bocca a due fratelli poco entusiasmanti. Quasi ci verrebbe da dire che la miniparabola non è completa: oltre ai due figli che dicono uno “sì” e poi “no” e l’altro che dice prima “no” e poi “sì” ci sarà pure il caso di chi dice due bei “sì” o due brutti “no”. Ma a Gesù servono solo quelli che agiscono come i suoi interlocutori di quel momento: si tratta dei “pubblicani e delle prostitute” che dal loro primo “no” passano al “sì” dell’adesione di fede sincera a Gesù, e poi ci sono invece “i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo”, che “hanno visto queste cose” e poi non si sono “nemmeno pentiti così da credergli”. E questo è un fatto che si ripete in ogni epoca della storia, da quella grande alla mia, piccola. Non sappiamo per quale strada passa la nostra vicenda, come tanto meno sappiamo interpretare i segni della storia, anche solo di quella che stiamo vivendo oggi, ma sappiamo che egli è presente nella nostra vicenda, solidale con la nostra povertà e sofferenza.
La scelta liturgica delle letture oggi ci permette proprio di completare la casistica della parabola: in realtà il sì di un Figlio c’è stato, fin dall’origine dell’Incarnazione, in risposta al mandato ricevuto dal Padre, e poi in misura somma, totale, con la sua passione e morte. E questo sì della sua sofferenza mortale ha portato il frutto sommo, quello della redenzione del mondo, della salvezza per tutti i fratelli, della mia salvezza. E a lui, Gesù, Figlio incarnato, la piena partecipazione alla gloria della Trinità santa.
Ci viene spontaneo, nevvero, ripetere spesso la preghiera che abbiamo recitato poco fa: “il tuo Spirito ci renda docili alla tua parola e ci doni gli stessi sentimenti che sono in Cristo Gesù”. Egli ha dimostrato che “è veramente figlio di Dio chi fa la volontà del Padre”.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti