Domenica 18-10-20 XXIX dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
Vi scrivo con nel cuore una grande di tristezza per la generale situazione sanitaria.
Situazione sanitaria che ci impone di annullare il nostro incontro di formazione programmato per il pomeriggio del sabato 24 ottobre tenuto anche conto della indisponibilità di Don Giuseppe a essere presente in quel momento.
Speriamo di poterlo tenere in un’altra data considerata la disponibilità di Don Galvagno, che saluta tutti con amicizia e affetto, a guidarci alla lettura del Pentateuco sia a Novembre che a Dicembre.
Resta confermata, per ora, la Santa Messa del 3 novembre 2020, primo martedì del mese. Ci sarà anche l’impegno civilistico della nostra assemblea Amcor (14 novembre) che non avevamo potuto tenere prima dell’estate per la chiusura per legge di tutte le attività.
Anche in queste difficili circostanze, come in ogni momento della nostra vita, la Parola di Dio ci parla al presente indicandoci il cammino di conversione. Il Salmo di questa domenica, infatti, ci invita al canto di lode a Dio ed è dominato dal senso universale della potenza grande e misericordiosa del Signore rivolta a tutti i popoli della terra.
“ Cantate al Signore un canto nuovo, / cantate al Signore uomini di tutta la terra. /
In mezzo alle genti narrate la Sua gloria, / a tutti i popoli dite le sue meraviglie. “ (Sal 96/95 1 e 3)
Con questo rinnovato spirito rivolto al Signore che, nel Salmo, ci invita al canto di lode e, nella lettera di Paolo, ci ricorda di rendere “sempre grazie a Dio” (1 Ts 1,2) ci apriamo alle letture di questa domenica guidati dalle parole e dalla fede di Don Giuseppe, padre e maestro.
Un grande abbraccio a tutti.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
18 – 10 – 2020 : XXIX dom. A
Anche se tu non mi conosci
Letture: Is 45, 1.4-6; 1Ts 1, 1-5b; Mt 22, 15–21 – Continua la lettura di Matteo, che racconta di Gesù alle prese con i suoi avversari, negli ambienti del tempio di Gerusalemme. Pur di far cascare Gesù, si uniscono aderenti a partiti diversi, come i farisei e gli erodiani. Sono sorprendenti i contesti della prima e seconda lettura: il profeta Isaia descrive la vocazione del re persiano Ciro, chiamato a ridare la libertà agli ebrei, che erano stati deportati dagli invasori, prima assiri e poi babilonesi. Nella seconda lettura ci viene incontro lo scritto più antico del Nuovo Testamento: la prima delle due lettere che San Paolo inviò (attorno all’anno 50) ai cristiani di Tessalonica, “fratelli amati da Dio”.
Qualche insegnamento dalle letture – E’ commovente, quando apriamo la prima ai Tessalonicesi, il pensiero che un uomo incaricato da Dio, Paolo, è mosso dallo Spirito Santo a continuare i messaggi del Signore (per la prima volta dopo la morte e risurrezione di Gesù) per il suo popolo, cioè – nell’intenzione di Gesù stesso – per tutti gli uomini, di tutti i tempi. Egli loda i suoi cristiani per “l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza” (le tre grandi virtù, mettendo la carità prima della speranza). A Tessalonica si stanno raccogliendo i frutti della semina effettuata dalla parola dell’apostolo “con la potenza dello Spirito Santo”. Sono tutte cose che non si vedono, ma hanno trasformato tante vite e rinnovato il corso della storia. Oggi lo Spirito non è meno presente e noi lo preghiamo di dare efficacia e fiducia alla parola di nuovi testimoni. Sentiamoci presenti come destinatari dell’annuncio, chiamati anche noi a impegnarci nella sua diffusione.
A Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio – L’autorità politica è quella che detiene una delle più pesanti forme di potere. E il potere è così esposto alla tentazione del sopruso e della violenza. Ma la Scrittura (con la penna, qui, del profeta Isaia) non ha remore a riconoscere la funzione provvidenziale del potere. Anche quando la stessa persona che lo detiene non è consapevole del disegno di Dio, di cui egli è semplice strumento (“sebbene tu non mi conosca”). Non sappiamo nemmeno se Ciro sia stato buono (allora ammazzare i nemici o presunti nemici era uno… sport non meno praticato di adesso), in quale modo e misura; però il bene bisogna chiamarlo con il suo nome, e riconoscerlo quando e dove c’è. Ma tutto quello che fanno, piccoli e grandi, poveri e ricchi, non è che strumento al servizio di una sovranità misteriosa e unica: “Io sono il Signore, non ce n’è altri”. Pure io sono oggetto di favori del Signore, anche se non conosco la natura degli strumenti di cui si serve. Oggi gli chiedo maggiore consapevolezza della sua continua, misteriosa, opera di salvezza.
La situazione di Gesù, come la descrive Matteo, si inserisce su una problematica analoga: i romani hanno tolto la libertà agli ebrei e pretendono di riscuotere tasse a più non posso. Che cosa devono fare quei sudditi spremuti? In giro si sentono tante risposte, da quelle “lealiste” (i romani hanno sempre ragione, sono i più forti!) a quelle della ribellione di vario tipo. Pronunciarsi sulla liceità dei balzelli (o sul programma di resistenza anche armata) è comunque un rischio. Gesù non ha mai programmato o giustificato il ricorso alle armi; alla domanda dei suoi avversari risponde con un criterio comunque di giustizia di base: a ognuno il suo. E’ sul principio di autorità che si deve riflettere. Oltre, Gesù non va (non si pronuncia sulla liceità dell’occupazione romana), costringendo gli avversari a ricorrere ai principi fondamentali della convivenza e senza aprire nessuno spiraglio alla violenza. Non è incominciando dalla violenza che si risolvono le contese e Gesù stesso da quell’autorità romana la violenza l’ha accettata e subita, in sommo grado. Ma la parola di quel momento di diatriba rimane nei secoli – purtroppo spesso non ascoltata o interpretata male. Per quanto sia importante anche l’esercizio del potere di Cesare, la vera, ultima sovranità è quella che risiede nelle mani di Dio.
Nella storia della cristianità questa risposta di Gesù è stata “tirata” in tanti sensi, in favore dell’autorità della Chiesa o dei poteri terreni di ogni tipo. Non era intenzione di Gesù entrare in una simile discussione, ma un orientamento di serena visione di autonomia (che non esclude parziali interdipendenze) è lecitamente deducibile da questa diatriba. E’ innegabile solo la presenza di un ordine, che riconosca il primato di Dio. Senza entrare però in discussione sulla natura e le condizioni del giusto diritto e potere di Cesare. Gesù non ha scritto un testo di etica politica.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti