Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 1^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
cominciamo con questo primo scritto, del carissimo amico e socio Bruno Barberis, una serie di riflessioni mensili sul “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa”.
Apriamo, dunque, un ulteriore capitolo di approfondimenti per crescere, personalmente e come Associazione, nel nostro cammino di fede.
Don Giuseppe settimanalmente ci fa gustare la Parola di Dio e in tante occasioni ci apre alla spiritualità sindonica, gli incontri di formazione biblica ci aiutano ad un ascolto più consapevole della Sacra Scrittura, le esperienze dei mistici ci fanno sentire fortemente la presenza del Signore nella vita di tante persone. La S. Messa è il centro del nostro cammino di fede. La carità dà sostanza e testimonia il nostro desiderio del Signore.
Bruno ci accompagnerà in questo nuovo percorso, con la sua grande preparazione e la sua matura spiritualità, permettendoci di discernere meglio e quindi vivere più intensamente e consapevolmente l’incontro con il Signore nella Eucaristia.
L’Eucaristia è un mistero centrale nella vita della Chiesa e, dunque, poterne cogliere le radici, le origini, in questo primo scritto, ci permetterà, con i successivi, di capirne meglio il divenire storico e farne nostro più approfonditamente il significato liturgico e, così, comprenderne meglio il contenuto sacramentale e teologico.
Questo percorso è finalizzato ad una partecipazione sempre più viva alla celebrazione della S. Messa, sostegno essenziale del nostro cammino di fede.
Grazie di tutto cuore carissimo Bruno, contiamo di poter sviluppare anche con incontri diretti con Te questo tema al quale teniamo tantissimo.
Con Don Giuseppe e tutto il Consiglio Vi invio i saluti più cari nell’unione di amicizia e preghiera.
Contardo Codegone
Potete trovare questi articoli di Bruno anche nella sezione:
INIZIATIVE – Approfondimenti -Significato, struttura e storia del rito della S. Messa o cliccando direttamente sul link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/significato-struttura-e-storia-del-rito-della-s-messa/
Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
1.1. Le origini
La celebrazione eucaristica ha le sue radici nell’Ultima Cena di Gesù. Ancora oggi noi cristiani condividiamo il pane spezzato e beviamo al calice del vino, dopo che il prete che presiede la celebrazione ha ripetuto le parole dette da Gesù in quella cena: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi»; «Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati»; «Fate questo in memoria di me».
L’Ultima Cena di Gesù fu un banchetto pasquale ebraico, preparato con cura da Gesù e dai suoi discepoli (Mc 14, 12-17). Però il racconto che troviamo nei vangeli sinottici (Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; Lc 22, 14-20) non è la cronaca dettagliata di quello che avvenne quella sera, ma ne è la sintesi scritta con un linguaggio celebrativo, è un testo liturgico che già si adoperava nelle prime comunità cristiane per la Messa, esattamente come continuiamo a fare noi oggi. San Paolo, scrivendo nell’anno 56 ai Corinzi (quindi alcuni anni prima della comparsa dei vangeli sinottici), ha inserito nella sua prima lettera lo stesso racconto che compare nei vangeli sinottici, formulato nello stesso modo, con solo qualche piccola variante. Evidentemente Paolo lo aveva già insegnato a voce (il suo soggiorno a Corinto risale agli anni 50-52) e lo aveva a sua volta imparato ancora prima; si tratta quindi di un testo fissato nei suoi elementi essenziali probabilmente già negli anni 30-40, tramandato prima oralmente, poi messo per iscritto, tradotto dall’ebraico-aramaico in greco e conservato in modo fedelissimo nelle varie comunità cristiane. Tanto è vero che sono stati narrati insieme, uno dopo l’altro, i due gesti del pane e del vino che nella cena ebraica erano invece separati da vari altri riti e preghiere.
Per chiarezza, riporto per esteso i quattro racconti che possediamo dell’Ultima Cena di Gesù.
Vangelo secondo Matteo: «Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo”. Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati. Io vi dico che d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio”» (Mt 26, 26-29).
Vangelo secondo Marco: «E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”» (Mc 14, 22-25).
Vangelo secondo Luca: «Quando venne l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio”. Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”» (Lc 22, 14-20).
Prima lettera di Paolo ai Corinzi: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”» (1Cor 11, 23-25).
Le quattro pericopi concordano perfettamente nel tenore generale del racconto, ma evidenziano alcune differenze che caratterizzano due distinte tradizioni: la tradizione in uso nella Chiesa di Antiochia (Paolo e Luca), che è la più antica, e la tradizione in uso negli ambienti palestinesi (Marco e Matteo).
È quindi evidente che le narrazioni evangeliche dell’Ultima Cena, anche se inserite nel contesto della Pasqua giudaica, intendono chiaramente mostrare che si tratta della Pasqua di Gesù: non vi è infatti nessun accenno ai riti e alle preghiere giudaiche, ma tutta l’attenzione è concentrata sui riti nuovi ed originali compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate. Il racconto dell’Ultima Cena dei vangeli sinottici e di Paolo sembra proprio voler esprimere il passaggio dal rito giudaico alla liturgia cristiana: nelle comunità cristiane l’Eucaristia ha ormai sostituito il rito della Pasqua giudaica. Il memoriale eucaristico, dunque, non attualizza l’Ultima Cena come fatto storico, ma ciò che essa simboleggia e anticipa, cioè il dono della salvezza scaturita dalla morte e risurrezione di Gesù. Le azioni compiute da Gesù durante l’Ultima Cena appaiono ormai chiaramente come un’anticipazione in parole ed opere del mistero della sua passione, morte e risurrezione che ebbe inizio proprio con quella cena.
Quei gesti compiuti da Gesù e le parole da lui usate per spiegare quei doni segnarono profondamente i discepoli. È probabile però che essi in quel momento non avessero compreso il senso profondo di quello che stava accadendo; ma dopo l’esperienza degli incontri con il Cristo risorto, la memoria storica si arricchì di una nuova comprensione e diede origine alla celebrazione eucaristica della comunità cristiana, come memoriale della Pasqua di Cristo, del suo mistero di morte e risurrezione.
La chiamiamo “Ultima Cena”, ma in realtà non fu l’ultima. Gli apostoli erano stati abituati per anni a mangiare con lui; dapprima pensarono che quella era stata l’ultima volta che avevano mangiato con lui, ma poi dovettero ricredersi, perché iniziarono nuovi incontri con Gesù, quelli con il Risorto. Infatti la sera stessa della sua resurrezione Gesù spezza il pane ai due discepoli incontrati sulla strada di Emmaus (Lc 24, 30), poi a Gerusalemme mangia con i dieci apostoli quello che era avanzato del loro pasto (Lc 24, 41-43); poco tempo dopo dirà agli apostoli sulla riva del lago di Galilea: «Venite a mangiare» (Gv 21, 9-13) e li lascerà per ascendere al cielo e tornare al Padre proprio dopo essersi seduto a tavola con loro (At 1, 4-9).
E quando non lo videro più, gli apostoli continuarono a riunirsi e a mangiare insieme con il Cristo risorto ripetendo quei gesti e quelle parole che gli avevano visto fare e dire durante l’Ultima Cena della sua vita terrena. È da allora che il ricordo dell’Ultima Cena, che aveva anticipato il sacrificio della croce, si è indissolubilmente unito a quello dei pasti consumati con il Risorto. Ma il loro ricordo deve essere andato anche a tutti gli altri conviti che avevano accompagnato la vita pubblica di Gesù: il banchetto di Cana (Gv 2, 1-11) e quelli dei pani e dei pesci moltiplicati nel deserto (Mc 6, 34-44; 8, 1-9), i pasti consumati con i peccatori (Mc 2, 15; Lc 15, 2), il banchetto a casa di Simone, il fariseo (Lc 7, 36), il pasto nella casa della suocera di Pietro a Cafàrnao (Mc 1, 31) e i conviti in casa degli amici Marta, Maria e Lazzaro a Betània (Lc 10, 38; Gv 12, 1-2).
Diversi sono i vocaboli che vennero successivamente usati per indicare la celebrazione della cena: San Paolo parla della “cena del Signore” (1Cor 11, 20), San Luca la chiama “frazione del pane” (At 2, 42), verso il 110 Sant’Ignazio di Antiochia nella Lettera agli Smirnesi la chiama “eucaristia”, vocabolo che corrisponde al verbo greco eucharistein che significa “rendere grazie” e che esprime quanto fatto (e detto) da Gesù nell’Ultima Cena; anche nella Didachè − un testo di autore anonimo risalente all’inizio del secondo secolo, che contiene un insieme di istruzioni e regole delle prime comunità cristiane − viene chiamata “eucaristia” (Didachè 9, 1).