San Giuseppe – Riflessioni di Don Giuseppe
Cari soci e amici dell’Amcor,
in questo anno dedicato a San Giuseppe, il nostro carissimo padre e maestro Don Giuseppe ci ha già inviato un suo scritto il 19 marzo giorno dedicato a questo grande santo. Oggi riprende la riflessione su San Giuseppe che concluderemo la prossima settimana in atteggiamento di preghiera. Affascina la figura di questo grande santo per la sua onestà, il suo rigore, ma anche per la sua apertura. Mi ha sempre colpito in San Giuseppe questa capacità di essere aperto al volere di Dio, con attenzione e senza tentennamenti. Don Giuseppe ci guida tra gli elementi che la Parola di Dio ci lascia sulla vita di San Giuseppe. Sono scarni, ma illuminanti. Mi viene spontaneo chiedere al Signore di poter avere la stessa apertura verso il Divino che ebbe San Giuseppe.
Insieme a Don Giuseppe e tutto il Consiglio vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
SAN GIUSEPPE
La storia delle vicende della vita di San Giuseppe è stata già accostata in un intervento precedente. La riprendiamo, attingendo a quel tesoro che possiamo trovare nella ricca semplicità dei vangeli.
Ci piacerebbe tanto sapere un po’ di notizie sulla famiglia di Giuseppe. Unica fonte sono i vangeli di Matteo e di Luca, che ci danno i nomi degli ascendenti della famiglia di Gesù. Ma dobbiamo accontentarci di alcuni nomi: il papà si chiamava Giacobbe, figlio di Mattan (secondo Matteo), però secondo Luca Giuseppe è figlio di Levi e nipote di Mattat; ma è comprensibile che le liste degli antenati non siano complete e che possano seguire vie parallele. Importante è l’accordo indubbio sulla presenza, nella lista, del re Davide, che permetterà a tutta la famiglia di qualificarsi come discendente da Davide. E dopo di lui ci fu una lunga serie di re e poi di capipopolo, a partire dal tempo della prigionia a Babilonia. La famiglia ritorna dall’esilio nell’attuale Palestina, ma non si stabilisce stabilmente a Gerusalemme. Infatti troviamo Giuseppe accasato nel Nord, a Nazaret. E sembra che lì avessero una posizione non di rilievo ma modestamente dignitosa. Ne fa testimonianza la professione, non di contadino ma di fabbro-carradore. L’istruzione dev’essere stata quella trasmessa in casa e in sinagoga, semplice ma non trascurata. La modesta realtà di Nazaret fa pensare che altre possibilità questa famiglia non abbia avuto; ciononostante il giovane uomo si presentava solidamente preparato alla vita.
Penso che sia necessario partire dal presupposto che il matrimonio tra Giuseppe e Maria non sia stato contratto (prima della benedizione solenne) con una procedura di eccezione. Era dunque chiaro a tutti che quei due sarebbero diventati sposi normali dopo la grande cerimonia nuziale. Per Maria però, di cui conosciamo troppo poco l’eccezionale ricchezza interiore presente fin dai primissimi anni, pensò il Signore a trovare la strada che chiarisse la portata specifica di quella unione. Lo stato d’animo di Giuseppe non lo conosciamo, anche se dal comportamento successivo dobbiamo pensarlo sereno e disponibile a seguire la volontà del Signore, sempre. Non immaginava una maternità inattesa nella sua sposa; e fu proprio quello che avvenne.
Giuseppe in questa circostanza si presenta commovente. Gli eventi fanno pensare a una colpa di Maria. Solo Giuseppe avrebbe potuto pensare la sua sposa senza colpa, se egli stesso avesse già fatto uso dei diritti del matrimonio; ma questo non era accaduto. Che cosa sarebbe accaduto allora quando la maternità fosse divenuta palese e Giuseppe avesse detto: non si tratta di mio figlio? Il problema si pose, ma egli non voleva consegnare Maria nelle mani di una legge che sarebbe stata inesorabile: l’infedele non è soltanto disonorata, ma deve morire.
Giuseppe non compì quel passo e il Signore gli diede, in una rivelazione, la luce necessaria per comprendere e accettare il piano di Dio. Fu l’illuminazione più determinante della sua vita ed egli l’accolse senza ‘ma’ e “perché?” e Gesù divenne suo figlio, figlio di Davide, partecipe della condizione umana, salvatore di quanti hanno bisogno di pace e non sanno dove trovarla.
Allora ha inizio un quotidiano del tutto comune, che poteva solo far dire alla gente: “Guarda che coppia d’oro!” Il Signore ha ritenuto di non farci sentire nemmeno una parola di quest’uomo tanto esemplare e amabile quanto attento alle sue persone care. E i primi anni richiesero una capacità di azione superiore a ogni immaginazione. Poco prima del parto occorre partire per Betlemme, per motivi di anagrafe: un viaggio di oltre cento kilometri, senza avere nessuna sicurezza per un alloggiamento decoroso. E proprio allora si concludono i giorni della puerpera e Giuseppe riesce a offrire a Maria solo la compagnia di miti animali domestici. Mentre racconto, mi vengono i brividi: sta venendo al mondo il Figlio di Dio e gli esseri umani che lo accolgono sono i più perfetti che la storia intera poteva offrire – ma anche i più tribolati. Difatti Giuseppe deve subito rendersi conto che non si può ancora pensare al ritorno a Nazaret. Forse egli non ha mai visto Erode (lo chiameranno “il grande”, ma tolse la vita a tanti uomini e donne del suo tempo, pur avendo dato vita a tanti monumenti), ma dovette fuggire in Egitto fino alla morte del tiranno. Trascorsero due anni e giunse di nuovo la voce dell’Angelo per dirgli di tornare al suo paese in Galilea.
E a Nazaret si svolse il periodo più tranquillo di questo amico di Dio, che noi invidiamo tanto per quei due esseri che il buon Dio gli aveva affidato. La nostra fantasia non si stanca di immaginare Maria alle prese con panni da lavare, vivande da preparare, discorsi incantevoli scambiati sulla bontà di Dio, attenti alle grandi verità di una storia che attendeva la redenzione. Giuseppe esercitava la potestà paterna, trasmettendo a Gesù le conoscenze basilari sia della tradizione religiosa del suo popolo sia del suo mestiere. E’ questo il momento per noi di un’invidia non piccola: un uomo maturo lavora tenendo d’occhio il suo ragazzo che cresce, imparando come si usano gli strumenti del mestiere. Così alla fine il lavoro non è più solo del papà ma anche “nostro”. E con il lavoro diventa familiare un rapporto che accomuna le due paternità, di Dio e di Giuseppe. Possiamo solo immaginare, ma con buona probabilità di essere nel vero, il godimento spirituale di Giuseppe, che insegna imparando, nella consapevolezza che il bimbo, ragazzo, giovane uomo che cresce alla sua ombra è il Dio dell’Alleanza, l’atteso del suo popolo, il redentore dell’umanità tutta. Chi sa se era più contento Gesù, all’ombra protettrice di Giuseppe, o Giuseppe, nella consapevolezza del tesoro che la fiducia del Padre gli aveva affidato, facendolo partecipe della paternità eterna di Dio?
Come sarà avvenuto, per Giuseppe, il distacco da questa vita? Anche questo è rimasto avvolto nel mistero. Certo è che ha preceduto la vita pubblica di Gesù, perché della mamma, Maria, all’epoca della predicazione di suo figlio nei vangeli si parla come viva, mentre Giuseppe, il fabbro o/e falegname è colui che qualifica lo “status civile” di suo figlio, ma ormai non ha più interventi in nessuno degli ambienti nei quali il figlio si muove. La tradizione cristiana ha espresso visivamente il ricordo della morte di Giuseppe con il motivo espresso in numerosi dipinti dell’anziano padre che giace nel letto, assistito alle due parti da Maria (rappresentata con atteggiamento profondamente addolorato) e da Gesù, che indica il cielo a un padre che sta lasciando la terra.
La tradizione della pietà cristiana, in un crescendo significativo, ha preso coscienza della funzione che non si è spenta, ma ancora perdura, di questo amico di Dio, del Figlio suo e dello Spirito che lo sostiene, nell’assistere, aiutare e consigliare chi tribola nel buio dell’insicurezza. E’ bello quanto in questi ultimi secoli è avvenuto anche nelle nostre terre: il ricorso di credenti e dubbiosi, singoli e comunità (religiose e civili) a quel sostegno – il “patrocinio” – che ha conservato anche nel titolo il ricordo dell’aiuto paterno che questo amico di Dio esercita per la Chiesa e anche per tutta la famiglia umana.
Terminiamo con questa bella preghiera che chiude la Lettera apostolica “Patris Corde”, conclusione suggerita dal Papa stesso e suggerita a noi anche per la sua attualità e facilità
Vostro don Giuseppe Ghiberti
Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.
O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male. Amen.