Domenica 11-7-2021 – XV Tempo Ordinario B – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
a volte mi pare di brancolare nel buio, affaccendato e frastornato dai problemi quotidiani della vita. La Parola di Dio di questa domenica ci dice che, anche in momenti come questi, Dio si fa sentire, ci riempie della sua presenza. Così è stato per il profeta Amos, semplice “mandriano” e coltivatore di “piante di sicomoro”.
Don Giuseppe, aprendoci la lettera agli Efesini, ricorda che Paolo, nel “sublime inno di lode” che apre la lettera, “canta il progetto della salvezza realizzato dalla Trinità santissima di Dio…”. Siamo dunque in un progetto di salvezza perché abbiamo “ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, …” (Ef 1,13)
Di fronte a questo quadro di abbondanza di grazia, di disegno salvifico in Cristo, Don Giuseppe, caro padre e maestro, come sempre non si tira indietro di fronte alle domande pressanti del nostro cuore, non semplifica, non banalizza: “ … è possibile una minima verifica positiva di quella totalità della creazione ricondotta a Cristo unico capo? Non è possibile; …”. E allora, cosa fare? Don Giuseppe ci accompagna ancora un passo avanti e, con grande umiltà, ci dice: “Penso che dobbiamo chiedere al Signore il dono di non uscire dal contesto della nostra fede.”
Dobbiamo abbandonarci al Signore, restare in ascolto, tenace e paziente, della sua Parola.
E la sua Parola, attraverso il Salmo, ci invita a cantare:
“Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: / egli annuncia la pace /
per il suo popolo, per i suoi fedeli. / Sì, la sua salvezza è vicina a chi lo teme,
perché la sua gloria abiti la nostra terra.” (Sal 85/84 9-10)
In questa direzione di abbandono al Signore, di ascolto, Don Giuseppe ci invita a rileggere la preghiera alla Trinità della carmelitana scalza Santa Elisabetta della Trinità (1880-1906), al secolo Elisabeth Catez, morta a ventisei anni e fatta santa, nel 2016, da Papa Francesco:
“Mio Dio, Trinità che adoro, / aiutatemi a dimenticarmi interamente, / per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità; …”
Di nuovo una grande figura di mistica ci prende per mano e dice, rivolta al Signore: “che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.”
Di fronte al mistero, uniti nella preghiera e nel desiderio del Signore, insieme a Don Giuseppe e a tutto il Consiglio Vi invio un grande, forte, abbraccio.
XV dom. t. o. – B
(11 – 7 – 2021)
Letture bibliche – Am 7, 12-15;Ef 1,3-14; Mc 6,7-13
Oggi due letture su tre (la prima, Amos, e la terza, Marco) trattano il tema dell’invio in missione; quella mediana (della lettera paolina agli Efesini) riporta una parte della contemplazione iniziale della lettera agli Efesini, divenuta assai nota soprattutto in tempi recenti.
Il profeta Amos, molto antico (opera nel secolo ottavo), proviene dal regno meridionale (di Giuda) e non ha nessun orientamento a fare il profeta, ma il Signore lo manda per questo compito e proprio nel luogo meno desiderato, il regno del nord o di Samaria. E deve proclamare cose antipatiche, per un popolo che sta scivolando verso l’idolatria. Un sacerdote locale vuole rimandarlo nel suo territorio e lui risponde che non fa il profeta per mestiere, ma obbedisce a un ordine di Dio. A Dio che manda non si può/deve resistere.
Il brano evangelico (secondo Marco) tratta ancora un caso di “missione”, quella affidata da Gesù ai dodici apostoli. Non li manda isolati, ma due a due (ma non sarà sempre così: cfr il caso di Paolo) e li orienta a preoccuparsi solo dell’annuncio e nemmeno delle cose cosiddette “pratiche”, indispensabili (ma dopo la risurrezione parlerà di… rifornimenti un po’ più consistenti). Insiste invece sull’atteggiamento di fiducia che deve caratterizzare i suoi inviati: testimoniare, proclamare. E molto velocemente viene la conferma del loro impegno e di un successo nella loro attività: annuncio, cacciata di demoni, interventi di guarigioni da ossessioni e altri mali.
La Lettera paolina ai cristiani di Efeso, dopo i saluti ai destinatari, prorompe in un sublime inno di lode che canta il progetto della salvezza realizzato dalla Trinità santissima di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, “il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria”.
Ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle dei cieli e quelle sulla terra.
Sono parole che ci inchiodano, mentre lo sguardo si porta su quanto possiamo verificare di quel “tutte le cose” che son poste sotto la signoria di Cristo: è possibile una minima verifica positiva di quella totalità della creazione ricondotta a Cristo unico capo? Non è possibile; ma questo è dovuto al fatto che è cosa impossibile, o assurda? Penso che dobbiamo chiedere al Signore il dono di non uscire dal contesto della nostra fede. Una volta che abbiamo confermato l’abbandono della nostra fede tra le braccia di quel Figlio venuto per introdurci nel mistero della sua Famiglia, ci apriamo all’accettazione più totale di quel Mistero che ha un’estensione molto più ampia di tutto l’ambito della nostra conoscenza, dal conscio all’inconscio.
Piuttosto mi veniva spontaneo pensare a quel fenomeno di vita mistica che poté fare centro di tutta la sua interiorità sul testo che ci tiene occupati: la carmelitana Santa Elisabetta della Trinità. Mi si permetta di riportare espressioni della sua nota preghiera alla SS. Trinità.
Mio Dio, Trinità che adoro, / aiutatemi a dimenticarmi interamente,
per fissarmi in voi, immobile e quieta come se la mia anima fosse già nell’eternità;
che nulla possa turbare la mia pace o farmi uscire da voi, mio immutabile Bene,
ma che ogni istante mi porti più addentro nella profondità del vostro mistero.
……..
O Verbo Eterno, Parola del mio Dio, voglio passare la mia vita ad ascoltarvi;
voglio farmi tutta docilità per imparare tutto da voi.
Poi, attraverso tutte le notti, tutti i vuoti, tutte le impotenze,
voglio fissare sempre Voi e restare sotto la vostra grande luce.
O mio Astro amato, / incantatemi, perché non possa più uscire dallo splendore dei vostri raggi.
O Fuoco consumatore, Spirito d’amore, / scendete sopra di me,
affinché si faccia della mia anima come un’incarnazione del Verbo,
ed io sia per Lui un’aggiunta d’umanità nella quale Egli rinnovi tutto il suo mistero.
E Voi, o Padre, / chinatevi sulla vostra piccola creatura,
copritela con la vostra ombra, e non guardate in lei che il Diletto
nel quale avete riposto tutte le vostre compiacenze.
O miei TRE, mio Tutto, / mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo,
mi consegno a Voi come una preda.
Seppellitevi in me, perché io mi seppellisca in Voi,
in attesa di venire a contemplare, nella vostra luce,
l’abisso delle vostre grandezze.
Il Signore conceda anche a noi il dono dell’abbandono totale, finché giunga la luce completa!
Vostro Don Giuseppe Ghiberti