Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 3^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
il carissimo socio e amico Bruno Barberis ci ha inviato la terza puntata del suo studio sul rito della S. Messa. La quarta puntata verrà inviata a metà del prossimo mese di settembre.
Ho letto con grande interesse e passione questo lavoro che affronta un periodo storico particolarmente importante che va, sostanzialmente, dal 300 al 500 d.C. Questo scritto è stato steso con l’attenzione dello storico, il rigore dello scienziato e l’amore del credente che accosta il mistero Eucaristico nel suo farsi segno e sacramento nella vita della comunità cristiana.
E’ una puntata importante questa terza perché riguarda il periodo nel quale il cristianesimo, dopo il momento delle persecuzioni, viene riconosciuto come religione ufficiale dell’impero e Costantinopoli diviene la nuova Roma. E’ il momento, dunque, della libertà di culto, ma anche di tanti aspri confronti dottrinali e di un forte legame con il potere politico imperiale. E’ anche il periodo del verificarsi di invasioni barbariche che portarono alla fine dell’impero romano d’Occidente (convenzionalmente 476 d.C.)
E’ il periodo dei primi grandi Concili (Nicea 325 e Costantinopoli 381) che hanno portato alla formulazione del ‘Credo’ che ancora oggi recitiamo nella S. Messa. Il Concilio di Efeso (431) definì la Madonna come Madre di Dio (Theotòkos). In queto stesso periodo si ebbe il progressivo passaggio nella liturgia dalla lingua greca a quella latina e S. Girolamo (347-420) predispose la versione latina, detta “Vulgata”, dell’ AT e NT.
E’ anche il periodo della grande patristica orientale e occidentale che ha vissuto il vitale confronto con la cultura classica. Non si può nemmeno dimenticare che in questo periodo, dopo il monachesimo eremitico (es. S. Antonio del deserto 251-356) individuale, nacque il monachesimo cenobitico, comunitario. S. Pacomio (292-348) diede la prima regola alla sua comunità cenobitica che ispirò anche tante altre regole successive come quella di S. Benedetto (480-547). Anche lo stesso S. Agostino (251-356) diede una regola per gruppi di monaci.
Leggere il lavoro di Bruno è scoprire una grande ricchezza di cui siamo fruitori ancora oggi e questa scoperta ci fa comprendere meglio la profondità di significato delle funzioni liturgiche, rende desiderabile e fecondo il nostro cammino di fede, ci aiuta a capire meglio la nostra storia e a scoprire le nostre radici non solo religiose, ma anche culturali e di civiltà.
Approfondendo il rito della S. Messa arricchiamo di un ulteriore filone il nostro cammino assetato di verità e di senso. Non è uno studio scolastico, ma un elemento importante del nostro cammino di fede.
Grazie, carissimo Bruno, per la fatica che fai per tutti noi ed anche per la gioia che ci offri con tante scoperte e riscoperte che ci portano ad alzare lo sguardo verso il Signore che ci dona a piene mani il cibo della salvezza.
Un abbraccio a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
3^ Parte
1. LA STORIA
1.4. Gli eventi rivoluzionari del IV secolo
Nel IV secolo accaddero alcuni eventi che cambiarono radicalmente il corso della storia.
Il 30 aprile 311 l’imperatore d’Oriente Galerio pubblica a Serdica (l’attuale Sofia, in Bulgaria) un editto con il quale pone fine alle persecuzioni contro i cristiani. Due anni dopo, con l’editto di Milano sottoscritto nel febbraio 313, gli imperatori Costantino I per l’Occidente e Licinio per l’Oriente stabiliscono che «sia consentito ai cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità». Il 7 marzo 321 Costantino emana un decreto che istituisce la domenica (allora chiamata dies Solis, cioè “giorno del Sole”) come giorno di riposo, mentre il 3 novembre 383 l’imperatore Teodosio I rinomina il giorno del riposo come dies dominicus, il “giorno del Signore”.
Infine il 27 febbraio 380 con l’editto di Tessalonica gli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II eleggono il Cristianesimo a religione ufficiale dell’impero romano: «Vogliamo che tutti i popoli che ci degniamo di tenere sotto il nostro dominio seguano la religione che san Pietro apostolo ha insegnato ai Romani […], cioè che si creda nell’unica divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in tre persone uguali. Chi segue questa norma sarà chiamato cristiano cattolico, gli altri invece saranno considerati stolti eretici».
Nel 325 si tiene il primo Concilio di Nicea, presieduto dallo stesso Costantino, nel quale fu redatto il testo del Credo niceno-costantinopolitano che ancora oggi proclamiamo nella messa con alcune aggiunte stabilite nel primo Concilio di Costantinopoli.
Il profondo cambiamento di situazione provocato da tali eventi, fu per la Chiesa una vera e propria rinascita e liberazione che generò un intenso movimento di conversione in tutto l’impero. Anche la celebrazione dell’Eucaristia acquisì un carattere sempre più ufficiale, solenne e festoso. Lo descrive in modo efficace Eusebio di Cesarea (265-340), vescovo e consigliere dell’imperatore Costantino: «Per noi fu una gioia indicibile e una felicità sovrumana vedere le chiese sollevarsi dalle loro rovine, vedere lo spettacolo tanto da tutti desiderato e cioè un susseguirsi di feste di dedicazione e di consacrazione di chiese in tutte le città. Sì, tutto era splendido: le celebrazioni dei vescovi, i riti dei sacerdoti e il comportamento degnissimo delle assemblee, che si manifestava tanto nelle salmodie e nell’ascolto della parola di Dio, quanto nelle divine e mistiche celebrazioni dei simboli ineffabili della Passione del Salvatore».
D’ora in poi le celebrazioni eucaristiche si svolgeranno in grandi edifici come, ad esempio, le basiliche civili romane, che precedentemente venivano usate come tribunali o per i raduni di grandi folle alla presenza dell’imperatore. Erano presiedute esclusivamente dal vescovo, l’unico che poteva pronunciare le parole del canone che allora non aveva ancora una forma fissa. Con l’andare del tempo, aumentando la popolazione cristiana, fu necessario costruire più chiese in una stessa città, nelle quali i preti potevano celebrare l’eucaristia come estensione di quella celebrata dal vescovo. Scriveva Sant’Agostino (354-430) alla fine del IV secolo: «In certi luoghi non passa giorno che non si offra il sacrificio, mentre altrove si offre solo al sabato e alla domenica, altrove poi solo alla domenica».
È in questo periodo che compare il termine missa (dal verbo latino mittere, cioè “inviare”) usato inizialmente per indicare sia il congedo dei catecumeni al termine della liturgia della Parola sia quello dell’intera assemblea al termine della celebrazione, con la formula: «Ite, missa est». Secondo alcuni studiosi tale espressione avrebbe potuto significare non solo il semplice scioglimento dell’assemblea, bensì: «Andate, l’Eucaristia è stata inviata alle altre chiese per le loro celebrazioni». Ne è una prova il fermentum, la particella di ostia consacrata che il Papa o il vescovo inviava alle altre chiese affinché venisse deposta nel calice dopo la consacrazione, segno di comunione e unità tra le comunità cristiane della stessa città. Tale gesto è ancora presente nelle celebrazioni odierne nei riti di comunione, subito dopo la frazione del pane. Nel V secolo il termine “messa” sarà definitivamente utilizzato per indicare l’intera celebrazione e sostituirà i termini usati nei secoli precedenti. Con i riti si trasformarono anche i canti che fino a quel momento erano perlopiù semplici recitativi e, con lo sviluppo e il diversificarsi delle melodie, divenne indispensabile l’intervento di una schola cantorum, cioè di un coro.
Nonostante il moltiplicarsi delle chiese e quindi delle messe, l’Eucaristia rimase a lungo un’esperienza comunitaria: in ogni chiesa era presente un solo altare e, salvo casi particolari, si svolgeva un’unica celebrazione al giorno. Solo dopo il V secolo verrà consentito di celebrare più messe al giorno nella stessa chiesa. In questo periodo avviene anche il passaggio progressivo dalla preghiera liturgica improvvisata ai formulari scritti, soprattutto nelle grandi metropoli, come Roma, Alessandria, Antiochia, Costantinopoli. Si iniziò con la preghiera eucaristica per poi proseguire con la determinazione di elenchi di letture per le principali feste dell’anno e dei testi delle orazioni e dei prefazi. Alcuni papi e vescovi facevano circolare anche i testi delle loro omelie ad uso soprattutto dei preti di campagna che non sempre avevano cultura e preparazione sufficienti.
Si assiste inoltre al graduale passaggio dalla lingua greca a quella latina. Mentre nei primi tempi la lingua dell’evangelizzazione e della liturgia era quasi ovunque il greco popolare, diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, nel IV secolo la lingua latina conosce un’espansione sempre più ampia in tutta la società e diventano sempre più numerosi coloro che non comprendono più il greco. Già a metà del III secolo le lettere dei papi sono bilingui. L’antica versione in latino dell’Antico e del Nuovo Testamento, detta Vetus latina (“l’antica latina”) – diffusa, in versioni anche molto diverse tra loro, in Africa, Gallia, Spagna e Italia a partire dal II-III secolo d.C. presso popolazioni che non parlavano il greco – viene sostituita dalla Vulgata (che significa “divulgata”) che sarebbe stata portata a termine da San Girolamo (347-419), segretario di Papa Damaso I, prima a Roma e successivamente a Betlemme tra il 382 e il 405 e che diventò la Bibbia ufficiale della Chiesa latina per molti secoli. Nelle celebrazioni i formulari liturgici, comprese le letture e la preghiera eucaristica, vengono ormai pronunciati in latino.
1.5. La messa nella Tarda Antichità (IV-VI secolo) e nell’Alto Medioevo (VII-X secolo)
Fino a questo periodo la partecipazione attiva alla “Cena del Signore” era un fatto reale, perché costituiva l’effettivo raccogliersi di tutta la comunità attorno alla mensa eucaristica. Nel secolo IV si verifica il nascere di alcuni mutamenti in materia di frequenza alla comunione, a seconda delle consuetudini liturgiche delle diverse Chiese. Vengono alla luce tendenze generali, individuali e di gruppo, che mettono in dubbio l’opportunità della comunione frequente, che comincia quindi a non essere più considerata parte integrante della celebrazione. Alla fine del IV secolo San Giovanni Crisostomo (344-407), arcivescovo di Costantinopoli, così si lamenta: «Invano ogni giorno si celebra il sacrificio; invano stiamo ogni giorno all’altare: nessuno viene alla comunione». E Sant’Ambrogio (339-397), vescovo di Milano, domanda ai fedeli: “Se questo è pane quotidiano, perché lo prendi a distanza di un anno, come usano fare i greci in Oriente?”. Evidentemente per alcuni la comunione continua ad essere “il pane quotidiano”, mentre per altri è “il cibo speciale della festa” che dev’essere pertanto consumato solo saltuariamente. Nei secoli V e VI, nonostante le esortazioni dei vescovi ad una maggiore assiduità, l’allontanamento dalla comunione si accentua, dettato anche da un senso di “purità legale” di stampo veterotestamentario: comunione vietata per chi non vive in purezza e continenza massime, proibita alle donne nei giorni del loro ciclo mestruale, ecc. Nel 506 il Concilio di Agde (città della Linguadoca, in Francia) è obbligato a dichiarare che non possono ritenersi cattolici coloro che non si comunicano almeno a Natale, a Pasqua e a Pentecoste. E i richiami in tal senso diventeranno sempre più frequenti.
Nel Sacramentario Veronese e in quello Gelasiano (libri liturgici risalenti ai secoli V e VI) compaiono sempre più frequentemente le “messe votive”, celebrazioni nelle quali l’attenzione spirituale non è più volta alla centralità del mistero di Cristo e alla celebrazione della cena del Signore con la comunione al suo corpo e sangue, bensì ad ottenere da Dio il soddisfacimento di un desiderio (votum) che ha per oggetto un qualche bisogno particolare del singolo o della comunità: guarigioni da malattie ed epidemie; cessazione di guerre, di carestie, di calamità naturali; richieste di pioggia o di sereno, ecc. Queste messe erano certamente una testimonianza della fede nella potenza ed efficacia della celebrazione eucaristica, ma erano anche il segno della trasformazione dell’Eucarestia da mezzo di comunione con il sacrificio di Cristo a strumento per ottenere da Dio la realizzazione delle proprie necessità. Accanto alle messe votive, crescono a dismisura anche le messe per i defunti con l’unico scopo di garantire una sicura e pronta salvezza alle loro anime, messe che vengono celebrate anche per persone vive affinché siano a loro utili dopo la morte. Vengono stilati anche tariffari dettagliati per le serie di un certo numero di messe per scopi vari (famose erano le “30 messe gregoriane”, le “5 messe della Passione”, la “messa d’oro”, ecc.), con norme dettagliate sul numero e le dimensioni delle candele da offrire, il numero di elemosine da compiere e l’ammontare dell’offerta da fare al sacerdote. Nasce così una vera e propria “devozione alla Messa”. E ne viene anche garantita l’efficacia: «Chiunque canti o faccia celebrare queste 30 messe nell’ordine segnato sia per sé che per un amico e per qualsivoglia tribolazione o infermità, dentro i 30 giorni sarà liberato. È cosa già sperimentata».
Poiché la legislazione canonica vietava che un sacerdote celebrasse più di una messa al giorno, per soddisfare la grande richiesta di messe si pensò di eludere l’ostacolo inventando la Missa sicca, un tipo “dimezzato” di celebrazione che comprendeva solo la liturgia della Parola, le preghiere del Padre Nostro e dell’Agnello di Dio e una specie di rito di elevazione utilizzando l’ostia conservata nel tabernacolo: non essendo una vera e propria messa, se ne potevano celebrare diverse al giorno senza contravvenire alla legge canonica. E non era affatto considerata un abuso, dato che veniva spiegata e raccomandata nei libri liturgici ufficiali dell’epoca. Questi usi (anzi abusi) proseguirono per tutto il Medioevo perlomeno fino al Concilio di Trento (1545-1563) e anche oltre. In tal modo la celebrazione nel suo significato di comunione al mistero di Cristo aveva perso ogni reale valore ed era diventata un potente mezzo esorcistico-liberatorio, una devozione che sapeva di superstizione. Si trattava di una “messa privata” poiché dipendeva dalla richiesta di un privato per ragioni private e veniva celebrata privatamente. Da parte sua il clero, invece di correggere e scoraggiare questa falsa devozione, troppo spesso la gestì a proprio vantaggio materiale ed economico. Si comprende così facilmente il sempre più diffuso allontanamento dei fedeli dalla comunione.
Papa Gregorio I, conosciuto come Gregorio Magno (540-604), al fine di realizzare una liturgia unitaria in tutta Europa, promosse la costituzione dei libri liturgici dal messale, ai lezionari, ai sacramentari, senza possibilità di scelta e, tanto meno, di improvvisazione. Iniziano a comparire, soprattutto a Roma, i capi di vestiario liturgico, come la tunica, la pianeta, la stola, ecc., che saranno poi rigidamente codificati nei secoli successivi.
In Oriente nelle chiese si cominciano a costruire le iconostasi, vere e proprie separazioni spaziali tra l’aula destinata ai fedeli e il presbiterio, sottraendo così quasi completamente agli sguardi dei fedeli lo spazio riservato all’altare. In Occidente l’iconostasi si riduce normalmente ad una bassa barriera in marmo, la balaustra.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».