Domenica 22-8-2021 – XXI Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
con questa domenica 22-8-21 termina la lettura del capitolo sesto di Giovanni interamente dedicato al tema del pane disceso dal cielo, del pane che salva, dedicato al significato dell’Eucaristia.
Don Giuseppe guidandoci afferma che: “Oggi la parola del Signore ci dice cose stupende (come sempre), anche se non totalmente facili da comprendere.”
Eppure anche a noi, come ai discepoli, talora la parola del Signore appare “dura” (Gv 6,60). Il greco dice “skleròs” cioè duro, ma anche molesto, ostinato, difficile.
Anche noi come i suoi discepoli talora mormoriamo. Abbiamo già incontrato questo verbo che in greco suona “gonguzo” e significa mormorare, borbottare in senso negativo chiudendosi in se stessi, in discorsi limitati. Questo mormorare porta a non capire le parole del Signore, porta a non credere, a tornare indietro, a non voler più seguire il Signore.
Ed allora ecco il tema della fede: “… nessuno può venire a me se non gli è concesso dal Padre.” (Gv 6,65). Pietro risponde per tutti noi: “Signore, da chi andremo?” (Gv 6,68). La fede è questo andare verso il Signore, questo cammino. La fede è dono ed esige ascolto consapevole e risposte impegnative.
Ma resta la difficoltà. Di fronte al male morale, al male fisico, a tragedie senza fine, a bambini dilaniati nel corpo e nello spirito, terremoti, guerre, ci viene da mormorare.
Don Giuseppe ha un inciso che ho riletto più volte: “La nostra è una povera storia, non esaltante. Solo Dio è buono e fedele.” La fedeltà del Signore la possiamo incontrare proprio nell’Eucarestia, nutrendoci di Lui, sapendo che solo Lui ha parole di vita eterna.
Non possiederemo mai interamente questo mistero nel nostro tempo presente, ma esso ci aspetta, in pienezza, nella pura contemplazione oltre il tempo.
Il Salmo di questa domenica, salmo alfabetico attribuito a Davide appena scampato a un pericolo mortale, è un ringraziamento a Dio. Dio nel pericolo, nel dubbio, nella tentazione non ci lascia soli. Quando siamo presi dallo scoramento, dalla mormorazione, ripetiamo dunque con fiducia:
“Benedirò il Signore in ogni tempo, / sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore: / i poveri ascoltino e si rallegrino.” (Sal 34/33, 2-3)
La fede è questa fiducia nella salvezza che viene dal Signore: coltivare questa fede è una responsabilità grande nei confronti di noi stessi e degli altri. Don Giuseppe, con lucidità, ci dice: “Ma è il dramma di tutto l’impegno dell’annuncio, specialmente oggi.”
“Cose stupende”, dunque ci dice il Signore anche questa domenica, stupende e impegnative.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella e tutto il Consiglio Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
XXI dom. t. o. –B
(22 – 8 – 2021)
Letture bibliche – Gs 24, 1-2a. 15-17.18b; Ef 5,21-32; Gv 6, 60-69
Oggi la parola del Signore ci dice cose stupende (come sempre), anche se non totalmente facili da comprendere (come non di rado! Ma il Signore ci dà luce sufficiente per portare a casa il nutrimento che fa per noi).
Nell’Antico Testamento si leggono anzitutto i primi cinque libri, chiamati Pentateuco (o anche “di Mosè”); subito dopo leggiamo il libro del discepolo e successore di Mosé, Giosuè, da cui è preso il racconto di oggi: l’assemblea di Sichem (una località corrispondente all’incirca all’attuale Nablus). Giosuè raduna i capi delle varie tribù, che si sono ormai stabilizzate nei loro territori, per chiarire i principi del loro vivere insieme: se nel culto alle divinità pagane dei popoli circostanti oppure nella fedeltà al “Signore nostro Dio” che ha liberato il nostro popolo dalla “condizione servile”. Tutti i convenuti giurano per gli impegni dell’alleanza: “Noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio”. Il futuro sarà poi un po’… zoppicante, ma il Signore è tanto misericordioso.
Passano i secoli e davanti a Gesù si raduna una folla numerosa di gente che ha già avuto una moltiplicazione dei pani e ne vorrebbe un’altra (Vangelo di Giovanni). Alla conclusione del loro dialogo con Gesù, subentra la delusione: Gesù non si impegna più sul problema del pane comune (come ha fatto il giorno precedente) e parla solo di quel pane di vita che è lui, “celeste” fin che si vuole, ma non tale da formare una comunità credente disposta ad accettare la nuova rivelazione. Gesù propone addirittura sé stesso come pane-carne per la vita del mondo: “Se non mangerete la carne del Figlio dell’Uomo, non avrete vita”. Ma questo è così lontano da ogni concretezza e suscita una reazione tanto negativa che la gente attorno a Gesù lo abbandona. Gesù non attutisce per niente la sua posizione, ma domanda solo ai “dodici” (gli apostoli) che sono rimasti se vogliano andarsene anche loro. Il momento è certamente delicatissimo, ma Pietro lascia parlare testa e cuore (e, certamente, quello Spirito che è difensore della causa di Gesù): “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Qui si ferma la lettura liturgica. Purtroppo l’espressione di risposta di Gesù è solo parzialmente gioiosa ed egli sospira nella consapevolezza che tra quei dodici uno – il traditore – è diavolo.
Se torniamo con la mente alla prima lettura, troviamo una conclusione apparentemente diversa: nell’assemblea di Sichem non si parla di traditori, come fa qui Giovanni. In realtà tutto il racconto anticotestamentario è una continua sequenza di rimproveri al popolo ebraico per le sue infedeltà agli impegni con Dio. La nostra è una povera storia, non esaltante. Solo Dio è buono e fedele. Ma accanto agli insuccessi la sua grazia ha realizzato molte risposte positive, a cominciare da quelle dei Dodici (che diventeranno Undici!).
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa.
La Lettera di San Paolo agli Efesini ci viene incontro per l’ultima domenica, proponendoci un codice di comportamento familiare un po’ particolare. Nella società familiare la dinamica dei rapporti riguarda i rapporti tra gli sposi tra di loro, quelli tra i genitori e i figli, e quelli tra i padroni e i dipendenti. Particolare estensione ha il discorso riguardante gli sposi, l’unico preso inconsiderazione oggi.
Fondamentale è il principio iniziale, che vale per tutti, sempre: “(Fratelli,) Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo “. Questa sottomissione reciproca è la piattaforma comune che sostiene tutte le concretizzazioni e orienta l’interpretazione di tutto il discorso successivo. Nell’ambiente paolino vigono regole che oggi non accoglieremmo senza distinzioni, ma a Paolo interessano non tanto le singole applicazioni quanto la novità della comprensione dei rapporti fondamentali nel clima della redenzione operata da Gesù. E questo è novità assoluta. Il rapporto Cristo-Chiesa è la novità assoluta; a esso si avvicina quello tra il marito e la sposa.
Certo con questo non è eliminato il mistero, ma ci porta all’altezza vertiginosa della situazione dei redenti. Nei confronti della tendenza che domina nel nostro tempo di annullare le differenze questo discorso non è conciliabile, ma dall’altezza sublime in cui ci ha posti la rivelazione del piano della redenzione è dolcemente accettabile ogni elemento differenziante. Per sempre entra in azione la grazia dell’opera di Cristo, che ha voluto raggiungere la sua efficacia proprio nella differenza strutturale delle sue componenti. E non è cosa da poco, se si guardano i protagonisti: Cristo e la Chiesa (“come Cristo ha amato la Chiesa”). Dobbiamo solo rimpiangere la nostra scarsità di finezza nell’accostare questo tesoro. Ma è il dramma di tutto l’impegno dell’annuncio, specialmente oggi. Ed è la passione della constatazione della nostra scarsità d’impegno nella trasmissione, assieme alla totale indifferenza o rifiuto nell’accoglienza della nostra proposta, oggi.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti