Domenica 3-10-2021 – XXVII Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture di questa domenica 3-10-2021 si aprono con il libro della Genesi, capitolo 2, che tratta della formazione dell’uomo e della donna. Segue un brano tratto dal capitolo 2 della lettera agli Ebrei che, ci ricorda Don Giuseppe, “è tutta concentrata sul mistero del figlio di Dio Gesù”, toccando anche il tema degli angeli. Il Vangelo di Marco torna sull’argomento del matrimonio in relazione al tema dell’atto di ripudio e al tema dei fanciulli.
Don Giuseppe ci guida invitandoci a pensare “al piano sapientissimo e misericordioso della creazione…”.
Seguendo questo invito , di seguito raccolgo alcuni frammenti di pensieri sorti nel mio stare chino sulla parola di Dio.
- La prima lettura fa affiorare nella mia mente il tema del “dare il nome”. Il “nome” per l’antica cultura semitica esprime la natura intima di chi lo porta. Conoscere il nome di qualcuno, dargli un nome, vuol dire, dunque, avere un certo potere su di lui. Ecco perché non si può pronunciare il nome di Dio. Alla domanda di Mosè Dio risponde “Io sono colui che sono”.
- La seconda lettura richiama al mio cuore il tema del mistero del figlio di Dio ed in questo mistero sta “che fu fatto di poco inferiore agli angeli” (Eb 2,9).
Questa inferiorità richiamata, difficile in prima battuta da capire, mi evidenzia la sofferenza accettata di Gesù, il suo farsi uomo, la morte. Questa inferiorità è, dunque, espressione di questo svuotamento di se stesso per essere in tutti. Gesù dunque lo trovo nelle profondità del mio cuore. E il mistero di Dio ci svela un poco anche il mistero dell’uomo e della donna che divengono una carne sola nel matrimonio sacramento, segno efficace di salvezza.
- Nel Vangelo di Marco mi colpisce il verbo greco usato per illustrare l’atteggiamento dei farisei nei confronti di Gesù. Il verbo greco “peiràzo” è stato tradotto con “domandavano a Gesù” nel brano di oggi e lo stesso verbo era stato tradotto con “tentato da Satana” (Mc 1,13) quando lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ove rimase quaranta giorni. Vi è dunque un porre domande per capire, crescere, e un domandare, invece, per trarre in inganno, per tentare di fare cadere in errore qualcuno. Riflettevo, con amarezza, su molte delle domande che nascono nel mio cuore, chiedendomi quale è l’intenzione vera che le fa porre. Vi è una “durezza” del nostro cuore. Torna il messaggio del matrimonio sacramento il cui permanere è segno di appartenenza al regno di Dio. Appartenenza che è propria di chi accoglie il regno di Dio come un bambino.
Don Giuseppe conclude: “Anche noi siamo impegnati a questa solidarietà nella testimonianza…”. Sono veramente da meditare con attenzione le parole con le quali Don Giuseppe, con grande umiltà, ci guida alla comprensione della parola di Dio che ci è offerta dalla liturgia in questa domenica.
Completa queste letture il Salmo che canta la felicità domestica che Dio accorda al giusto. E’ una felicità feconda, contagiosa, che genera per continuare la vita, che è segno della provvidenza divina. Come abbiamo già detto la sapienza che cerchiamo e che queste letture ci indicano, si fonda sul timore di Dio.
“Beato chi teme il Signore /
e cammina nella sue vie. /
Della fatica delle tue mani ti nutrirai,
/sarai felice e avrai ogni bene. /
La tua sposa come vite feconda /
nell’intimità della tua casa; /
i tuoi figli come virgulti di ulivo /
intorno alla tua mensa. /
Ecco com’è benedetto /
l’uomo che teme il Signore. /
Ti benedica il Signore da Sion. (Sal 128/127, 1-5)
Con il desiderio di questa benedizione Vi invio, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella e tutto il Consiglio, i saluti più cari.
Contardo Codegone
P.S. Vi ricordo che il primo martedì di ottobre (5 ottobre 2021) ci ritroveremo, per quanti potranno, per la S. Messa presso la Chiesa del Santo Sudario (Via Piave angolo Via S. Domenico). Un grande grazie alla Confraternita che ci ospiterà.
XXVII dom. t. o. – B
(3 – 10 – 2021)
Letture bibliche – Gn 2, 18-24; Eb 2,9-11; Mc 10, 2-16
Dio (dal libro della Genesi) non ha creato l’uomo perché restasse solo: al piano sapientissimo e misericordioso della creazione apparteneva la presenza di una creatura che gli corrispondesse, in un dialogo di amore che durasse per la durata di tutta la sua vita – e creò la donna. L’uomo (Adam) si rivolse a lei come a tutti gli altri esseri viventi, dandole un nome, con l’autorità e la perspicacia che Dio gli aveva concessa: lui che si chiamava ‘ish (uomo) la chiamò ‘ishah (donna). E Dio stesso li destinò a condividere l’esistenza in un connubio che sarebbe stato successore e sostituto di quello da cui aveva origine la sua stessa vita. Basta appena l’eternità per entrare nel segreto d’amore che ha originato questo piano; e nessuna presunzione di ragionamento umano può illudersi di vantare un diritto che lo scalzi alle sue radici.
La prospettiva della seconda lettura (dalla lettera agli Ebrei) è tutta concentrata sul mistero del Figlio di Dio Gesù, perché “per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti”. Questo brano si muove completamente nella prospettiva dell’umanità di Gesù: “fu fatto di poco inferiore agli angeli”, lui che santifica è della stessa origine di “quelli che sono santificati” e che lui “non si vergogna di chiamare fratelli”. Questo Gesù “lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto”. Si potrebbe avere l’impressione che il mistero della Trinità venga a soffrire da questo insegnamento, ma si deve tenere presente la prospettiva del nostra Autore nel suo insegnamento commovente sull’amore che Gesù, il Verbo incarnato, ha per noi, “il capo che guida alla salvezza” ed è proprio questo “capo” che santifica. “Santificare” è opera divina.
Con il brano evangelico (preso da Marco) ritorna il tema del matrimonio, ma in funzione del problema del divorzio. Parte la domanda dei farisei, però si vede che è una questione che brucia (vogliono “mettere alla prova” Gesù, il che vuol dire che sperano di prenderlo in fallo), tanto più che Mosè ha già dato il permesso di ripudiare la propria moglie. Gesù non lo nega, ma lo spiega dalla “durezza del vostro cuore”, precisando che l’intenzione di Dio non era quella. E in privato, con i discepoli, specifica in forma indiscutibile: è adulterio lasciare il coniuge per sposare un altro e questo vale per l’uomo e per la donna. E perché sia chiaro in quale prospettiva si può e deve impostare questo problema, si appella alla semplicità del fanciullo. Il che significa che non sarà l’intelligenza dei coniugi a risolvere il loro problema, ma bensì la semplice disponibilità con cui i bambini accolgono il regno. E questo non è un nuovo rebus: bensì che solo con una disposizione di libertà interiore si ottiene la forza e la spontaneità per affrontare questo problema.
L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.
Chi dice l’ultima parola nelle Letture di oggi è quel “Gesù… di poco inferiore agli angeli” che “ha sofferto la morte… a vantaggio di tutti”, che “non si vergogna di chiamare fratelli”. Lui dall’alto della sua condizione di Figlio, della sua onnipotenza, ha dato veramente tutto. Questo “tutto”, affrontato e donato da lui, non gli dà il diritto di chiedere tutto?
Scrivo con tanto tremore e anche vergogna questa parola “tutto”, pensando a quanto io stesso mi rifiuti di fare la mia parte nella totalità della risposta che Gesù attende.
Per questo non so come chiamare me stesso: incoerente, teorico fuori della realtà…? Sono purtroppo tutti limiti reali nel mio servizio di mediazione. Ma può essere motivo sufficiente per non dire tutto il senso di quanto Lui dice? San Marco scriveva il suo vangelo probabilmente a Roma, in un tempo in cui la prassi matrimoniale era veramente miserabile. E lui a quelli che erano già cristiani voleva dire di non cedere a una situazione sociale che era per nulla preoccupata di un comportamento onesto nel matrimonio. E come strumento di evangelizzazione sentiva di dover proporre il pensiero di Gesù e pensava di non poter fare sconti sul pensiero di Gesù in punti essenziali del vivere – in tutti i comandamenti.
Anche noi siamo impegnati a questa solidarietà nella testimonianza, che parte dall’interpretazione (che non permette sconti) e che non si nasconde di fronte a prassi e mentalità che rifiutano questo criterio. E nei confronti di una mentalità diffusa e di casi sempre più numerosi di dissenso dall’insegnamento di Gesù chiediamo di poter dire la parola serena e sincera e di rimanere a fianco del fratello e sorella che hanno preso altre direzioni.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti