Domenica 10-10-2021 – XXVIII Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
la Parola di Dio di questa domenica 10-10-2021, nel Vangelo, fa risuonare con insistenza nella nostra mente e nel nostro cuore la domanda di “un tale” che, mentre Gesù andava per la strada, gli corre incontro e gli domanda: “… che cosa devo fare … ?” (Mc 10,17). La prima lettura ci mostra altre domande con l’esempio di Re Salomone: “Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza.” (Sap 7,7). Nella seconda lettura la Parola di Dio che ci parla, che risponde alle nostre domande, è descritta come “… viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito …” (Eb 4,12) e così, aperti, siamo nudi davanti a Dio, nulla possiamo nascondere.
Gesù a quel “tale” che osserva la legge dice: “Una cosa sola ti manca…..” (Mc 10,21). Il testo greco dice testualmente: “uno ti manca” (“én se usterei”). Ove “uno” nella tradizione semitica significa “il tutto, la totalità”. Il giovane cercava una risposta e la risposta alla sua domanda è: Gesù Cristo, il tutto di Dio. Vale anche per noi questa risposta.
Don Giuseppe ci ricorda che: “C’è un detto antico che dice “timeo Jesum transeuntem”, temo Gesù che passa – sottintende che non torna più.” Don Giuseppe concludendo ci dice ancora con saggezza e umiltà: “… io lo prego continuamente che non si stanchi nella sua attesa e non ceda alla mia presunzione di farcela da solo.”
Non ci stanchiamo di interrogare, di chiedere al Signore “che cosa devo fare”, non ci stanchiamo di pensare che a questa domanda Gesù risponde di scegliere lui, il Signore.
E’ quanto ci insegna il Salmo, l’unico attribuito proprio a Mosè. E’ la preghiera di Mosè, di un saggio che ha incontrato Dio nel roveto ardente:
“Insegnaci a contare i nostri giorni /
e acquisteremo un cuore saggio. /
Ritorna, Signore: fino a quando ? /
Abbi pietà dei tuoi servi! /
Saziaci al mattino con il tuo amore: /
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. /
Rendici la gioia per i giorni in cui ci hai afflitti, /
per gli anni in cui abbiamo visto il male. (Sal 90/89, 12-14)
Uniti nella preghiera e nell’amicizia Vi invio, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara e tutto il Consiglio un grande, affettuoso abbraccio.
Contardo Codegone
XXVIII dom. t. o. – B
(10 – 10 – 2021)
Letture bibliche: Sap 7,7-11; Eb 4, 12-13; Mc 10, 17-30
Il clima delle tre letture oggi è dominato – mi pare – dall’episodio narrato dal vangelo (di Marco, ma comune pure a Mt e Lc, con poche ma significative varianti): un personaggio che ha tutte le doti per diventare un buon discepolo, alla chiamata di Gesù rifiuta di seguirlo. Come si spiega? La prima lettura, dal libro della Sapienza, sembra suggerire che il vero sapiente preferisce la prudenza e “lo spirito di sapienza” a tutti i beni: qualsiasi altro possesso prezioso “al suo confronto è come un po’ di sabbia”. Anche perché “insieme a lei, sapienza, sono venuti tutti i beni”. Si vede però che è possibile trascurare proprio quel bene massimo.
La Lettera agli Ebrei sembra distanziarsi da questo tema, ma in realtà propone una delle possibili chiavi di interpretazione dell’insuccesso della chiamata del ricco, che pure è simpatizzante per Gesù: la parola di Dio “discerne i sentimenti e i pensieri del cuore”, là dove avviene la scelta delle decisioni importanti della vita ed emergono “i sentimenti e i pensieri del cuore”. Viene da pensare: alla luce della parola di Dio quale autentica profondità ha il sentimento di quell’uomo?
In un giorno della vita del nostro protagonista avviene l’incontro tra lui e il Signore (così racconta il vangelo di Marco) e lui pone a Gesù la sua domanda: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Ha simpatia per Gesù e sa già che è “maestro buono”. Gesù scansa la possibile adulazione e dà la risposta più concreta: “Tu conosci i comandamenti”. Lui risponde spontaneamente che quello non solo gli è noto, ma lo pratica “fin dalla mia giovinezza”. Questo gli attira lo sguardo d’amore di Gesù, che gli indica ciò che gli manca: rinunciare alle componenti importanti della forma di vita che va conducendo (“Va, vendi, dallo ai poveri”). Può sembrare solo l’indicazione di una perdita, ma Gesù rincalza immediatamente con uno sguardo di amore concretizzato nella grande proposta: “e vieni, seguimi”. E’ il momento culminante, che può aprirsi su qualunque proseguimento e purtroppo quel poveretto non capisce l’eccezionale preferenza che sta ricevendo da Gesù e calcola solo la perdita a cui va incontro. E se ne va, triste. Certo, bisognava accettare un cambio totale di impostazione di vita, per una scelta d’amore: una scelta preferenziale e quel potenziale discepolo non fece il passo, fermandosi sulla soglia, triste. Su questa tristezza si chiude questo episodio: quell’uomo tenne i suoi beni e perse Gesù.
Impossibile agli uomini, ma non a Dio. Perché tutto è possibile a Dio
Gesù sa trarre frutti buoni anche dall’insuccesso. I discepoli si spaventano al vedere l’insuccesso dell’incontro con quel ricco e si pongono la domanda più spontanea: “E chi può essere salvato?” Gesù assume il suo atteggiamento più serio e risponde con la distinzione tra ciò che è possibile agli uomini e ciò che è possibile a Dio, “perché tutto è possibile a Dio”.
Ma ancora oggi ci viene il tremore ai polsi, pensando alle possibilità che da allora fino ad oggi sono passate nella storia di uomini e popoli, vicini e lontani, fino alla mia storia personale. Può esserci qualcosa di più indolore che una risposta “sì” o una risposta “no”? Tutte le leggi dicono di voler proteggere la libertà di dire sì o no. Eppure in quella risposta si ripete la triste vicenda dei due nostri primi genitori, a cui fu affidata la gestione della pianta della vita. Qui Gesù non l’ha nemmeno caricata della qualifica di “peccato”, ma per quell’uomo deve essere intervenuto il momento (e fu probabilmente molto presto) della consapevolezza della miseria del cambio che aveva fatto. Cambiare l’amore totale con soldi e roba assume veramente il carattere del tragico.
Sorge naturalmente la domanda: quando si sarà reso conto dello sbaglio, che cosa avrà fatto quell’uomo? Di fatto dietro a Gesù non lo vediamo più. C’è un detto antico che dice “timeo Jesum transeuntem”, temo Gesù che passa – e sottintende che non torna più. Mi pare proprio che non sia lui quello che si lascia battere nella pazienza, ma è vero anche che lui per tutti ha posto il punto finale, oltre il quale non è più data possibilità di scelta. Nella sua onnipotente misericordia non posso, non voglio dubitare che egli continui sempre a lanciare il suo invito d’amore, ma io lo prego continuamente che non si stanchi nella sua attesa e non ceda alla mia presunzione di farcela da solo.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti