Domenica 17-10-2021 – XXIX Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
Don Giuseppe, nel guidarci alla comprensione delle letture di questa domenica 17-10-21, ci dice all’inizio del suo scritto: “Un ‘servitore’ è entrato nella storia dell’uomo; vi ha portato redenzione, salvezza; con lui l’intera umanità ha ricevuto la prospettiva reale del ritorno all’amicizia con Dio.” Le letture di questa domenica trattano della salvezza attraverso la sofferenza e il dono di sé.
La prima lettura è tratta dal “quarto carme del servo sofferente” del profeta Isaia che mette in luce il valore della sofferenza accettata e offerta a Dio. La seconda lettura “Dalla lettera agli Ebrei” ricorda che non c’è più il tempio (distrutto dai romani) ove era necessario offrire ogni giorno sacrifici, ma ora abbiamo un sommo sacerdote ed “egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato.” Il Vangelo di
Marco ci presenta la scena di Gesù che, rispondendo al desiderio di “potere” espresso da Giacomo e Giovanni (sedere uno alla destra e uno alla sinistra nella gloria), ricorda loro che “il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti.”
La Parola di Dio come sempre mi interpella e sento il bisogno di approfondire una interpretazione comune di questi passi della Sacra Scrittura. Questa interpretazione afferma che, a fronte di un peccato dell’uomo di infinità gravità (l’offesa a Dio), era necessaria un’azione di risarcimento che avesse la stessa infinita misura. Doveva dunque solo essere ristabilito un equilibrio spezzato? Scavando in profondità, questi testi ci aiutano ad andare oltre, a cogliere meglio la logica del servizio, la logica dell’amore che intendono farci capire. Il Padre misericordioso che festeggia il figliol prodigo non chiede in cambio nulla e dona il suo amore al figlio che lo cerca, che gli va incontro.
Don Giuseppe ci aiuta su questa strada domandandosi: “Come è possibile che da tutta l’eternità la sorte del figlio, l’innocente, sia quella di occupare l’ultimo posto, il più doloroso?” La risposa di Don Giuseppe ci apre alla speranza: “Non ci sono risposte a questo mistero, ma ci rendiamo conto che parlare di puro infinito amore qui non è esagerazione.” Amare gratuitamente e servire sino al dono della vita sono, dunque, la dimensione che ci aiuta ad avvicinarci al mistero di Dio, al mistero del ‘Servo sofferente’.
Per questo il Salmo raccoglie il senso del nostro grazie, ed è inno di lode al Signore, è un atto di fiducia nel suo amore.
“Retta è la parola del Signore /
e fedele ogni sua opera. /
Egli ama la giustizia e il diritto; /
dell’amore del Signore è piena la terra ./
Ecco l’occhio del Signore è su chi lo teme, /
su chi spera nel suo amore, /
per liberarlo dalla morte /
e nutrirlo in tempo di fame. /
L’anima nostra attende il Signore: /
egli è nostro aiuto e nostro scudo. /
Su di noi sia il tuo amore, Signore, /
Come da te noi speriamo.” (Sal 33/32, 4-5; 18-19; 20-22)
Con questo inno di lode sulle labbra Vi invio un grande abbraccio, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio uniti anche nel ricordo del carissimo socio Gino Ferrarese che è tornato in questi giorni tra le braccia del Padre a gustarne l’amore e la misericordia.
Contardo Codegone
XXIX dom. t.o. – B
(17 – 10 – 21)
Letture bibliche: Is 53, 10-11; Eb 4, 14-16; Mc 10, 35-45.
Un “servitore” è entrato nella storia dell’uomo; vi ha portato redenzione, salvezza; con lui l’intera umanità ha ricevuto la prospettiva reale del ritorno all’amicizia con Dio. Questo annuncio è iniziato in vari modi nell’Antico Testamento e ha avuto il momento culminante nell’intervento di Gesù, che ha accompagnato l’annuncio con l’offerta piena della sua vita, portando l’annuncio al suo compimento. Tutta la storia della Chiesa ha visto lo sforzo dei credenti nel riflettere su questo evento, per il suo significato e gli impegni di vita che ne derivano, per gli inizi di realizzazione che ci è dato di godere in questa vita.
La prima lettura della liturgia odierna, dal profeta Isaia, riporta un piccolo brano del cosiddetto “quarto carme del Servo sofferente”: canta la vicenda di un uomo (chiamato solo sempre “il mio servo”: servo del Signore) che ha subito dolori fisici, disprezzo “affrontato per nostri delitti”, condanna nonostante la sua totale innocenza, annientamento fisico e morale, sepoltura con gli empi. Tutto questo appartiene al mistero di Dio, che sfrutta a nostro favore la vicenda del suo giusto: “dalle sue piaghe siamo stati guariti”. “Si compirà per mezzo suo la volontà del Signore”, egli si addosserà la nostra iniquità, ma “vedrà una discendenza, vivrà a lungo”.
Nella seconda lettura (dalla Lettera agli Ebrei) il “servo” che ci veniva incontro prima è chiamato ora “sommo sacerdote, grande”, ma è sempre la stessa persona e noi sappiamo che è “Gesù il Figlio di Dio”.
Egli “è stato messo alla prova” e perciò “sa prendere parte alle nostre debolezze”; ha condiviso dunque la nostra condizione “escluso il peccato”.
Sboccia allora la raccomandazione ad accostarci “con piena fiducia al trono della grazia per ricevere misericordia”. Sulla scia di questo messaggio esortativo e consolatorio che cosa ci dirà il brano evangelico (da Marco)? Una vicenda curiosa e molto umana intervenuta all’interno del gruppo apostolico presta l’occasione a Gesù per un insegnamento fondamentale per il discepolo (e per noi, che siamo chiamati, tutti, a essere discepoli). Quei simpatici fratelli Giacomo e Giovanni, supportati da una madre ancora più simpatica e intraprendente (Cfr anche il racconto riportato da Matteo: 2,20-28), hanno il coraggio di chiedere a Gesù che quando sia “nella tua gloria” li metta “uno alla tua destra e uno alla sinistra”. La risposta di Gesù è molto impegnativa: “Potete bere il calice che io bevo?”, ma non viene compreso e perciò riceve una risposta facilona: “Lo possiamo”. Gesù accetta questa dichiarazione, ma fa capire a tutti loro (sia i due sia gli altri che stavano protestando) che importante per chi vuole “diventare grande” è essere servitore, schiavo di tutti, al seguito del “Figlio dell’uomo” (cioè Gesù stesso).
Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti
Con questa dichiarazione si chiude l’arco di insegnamento che vedevamo aperto nella prima lettura. Fin dall’inizio la parola del Signore ci ricorda che la giustizia del Signore attende soddisfazione per i debiti che la creatura umana accumula sul suo cammino. Ma chi ha accumulato il debito non è in grado di soddisfarlo. C’è per sommo dono gratuito un misterioso interlocutore, intravvisto nella profezia di Isaia, che ora si rivela nei panni di “Gesù Figlio di Dio” e “Figlio dell’uomo”. Egli chiarisce le sue intenzioni e attese nella profezia riguardante la sua fine.
Nella realizzazione di questo programma sta il fondamento della nostra attesa di salvezza.
Ma noi non possiamo passare oltre il progetto dell’impegno di Gesù: dare la vita, la propria, l’unica, realizzando un programma di esclusivo servizio. Come è possibile che da tutta l’eternità la sorte del Figlio, l’innocente, sia quella di occupare l’ultimo posto, il più doloroso? Non ci sono risposte a questo mistero, ma ci rendiamo conto che parlare di puro infinito amore qui non è esagerazione. E sulla linea delle conseguenze risuona l’altra, semplice e impegnativa: amore chiama amore.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti