Domenica 31-10-2021 – XXXI Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
come sa accompagnarci con dolcezza Don Giuseppe all’ascolto della parola di Dio: “Ci accomiatiamo dal mese di ottobre, in questo autunno ormai calante, e il Signore torna a visitarci e a nutrirci con la sua parola.”
In questa domenica 31-10-21 Don Giuseppe ci guida dicendo che la parola di Dio ci fa incontrare nel Deuteronomio “uno dei grandi temi della predicazione di Mosè durante il cammino verso la Terra Promessa.”
Nella prima lettura, ripresa poi anche dal Vangelo di Marco, incontriamo, infatti, lo “Shemà Israel – Ascolta Israele” che ancora oggi gli Ebrei recitano due volte al giorno all’inizio e alla fine della giornata.
Lo “Shemà Israel” non è solo una preghiera quotidiana, ma anche una vera professione di fede in Dio. E’ Mosè che parla rivolgendosi al popolo, ma siccome parla a nome di Dio, su suo comando, è come se Dio si rivolgesse al suo popolo con un ordine che è insieme anche una preghiera. E’ Dio che ci dice: “Ascolta” metti in pratica i miei comandi, “Ascolta” unico è il Signore. La vera sapienza è il timore di Dio.
Per poter ascoltare Dio che ci parla è, però, necessario che noi siamo in una dimensione di ascolto, attenti a cogliere la sua parola, che desideriamo ascoltare la sua parola. E’ necessario che siamo in un silenzio che è insieme attesa e invocazione.
Dio ci cerca e, continua Don Giuseppe, vuole “essere oggetto di un amore totale… Questo ‘tutto’ non permette attenuazioni e verrà ripreso in molti modi da Gesù: sarà la condizione e la qualifica del comportamento del discepolo.” Lo abbiamo visto con la parabola del giovane ricco invitato a lasciare tutto, lo abbiamo visto anche domenica scorsa con la parabola del cieco di Gerico che lascia ciò che possiede, il mantello, e segue Gesù. Dobbiamo lasciare le nostre certezze, la nostra disperazione, le nostre domande ed essere di Gesù.
Ma il Signore non ci lascia soli in questo arduo cammino. Nella lettera agli Ebrei, probabilmente scritta da un sacerdote ebreo convertito, si afferma che tanti furono i sacerdoti in passato “perché la morte impediva a loro di durare a lungo”, ma “Cristo invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta.” (Eb 7, 23-24). E’ lui che intercede per noi “offrendo se stesso” (Eb 7,27) e noi abbiamo la Sua croce davanti agli occhi.
Don Giuseppe si fa voce di tutti noi domandandosi: “… come sia accaduto, come sia stato anche soltanto possibile.”
L’immagine impressa sulla S. Sindone, “Passio Christi, passio hominis”, ci dice che questo mistero di morte e salvezza è racchiuso nell’amore di Dio e solo in quello può trovare un senso. Altrimenti follia è la croce, senza senso il dolore degli uomini, delle donne, dei bambini. Solo restando in silenzioso ascolto possiamo non farci schiacciare dal mistero e invece incontrare, nella debolezza, la misericordia di Dio, la nostra salvezza.
“Shemà Israel” – Ascolta Israele”, restiamo dunque in ascolto obbediente.
Il salmo di questa domenica, antico inno di lode attribuito a Davide, esprime proprio l’invocazione di un innocente perseguitato che anela alla giustizia e fonda la sua speranza in una dichiarazione di amore a Dio. La Chiesa ci presenta questo Salmo in chiave cristologica: Cristo è la roccia, la fortezza, il liberatore che ci soccorre nella disperazione. Il nostro cammino di fede deve portarci all’abbandono totale in Lui, per sentirlo dentro di noi: scudo, salvezza, baluardo.
“Ti amo, Signore, mia forza, /
Signore, mia roccia, /
mia fortezza, mio liberatore. /
Mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio, /
mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo. /
Invoco il Signore, degno di lode, /
e sarò salvato dai miei nemici. /
Viva il Signore e benedetta la mia roccia, /
sia esaltato il Dio della mia salvezza. /
Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato.” (Sal 18/17 2-4, 47-51)
Con questo antico canto sulle labbra fermiamoci con fiducia ad ascoltare nel nostro cuore il mistero della misericordia.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. Ricordo che martedì 9 novembre alle ore 18 presso la Chiesa del S. Sudario (Via Piave angolo Via San Domenico) Don Giuseppe celebrerà la S. Messa durante la quale ricorderemo anche tutti i soci ritornati tra le braccia del Padre.
XXXI dom. t.o. – B
(31 – 10 – 21)
Letture bibliche: Dt 6, 2-6; Eb 7, 23-28; Mc 12, 28b-34.
Ci accomiatiamo dal mese di ottobre, in questo autunno ormai calante, e il Signore torna a visitarci e nutrirci con la sua parola. Noi gli chiediamo di ascoltarla con affettuosa attenzione, come se fosse la prima volta o magari anche l’ultima (ma poi speriamo proprio di continuare il dialogo in Paradiso!).
Il libro del Deuteronomio è l’ultimo del gruppo del Pentateuco (che era il primo nucleo di libri della Bibbia) e nel nostro brano riprende i grandi temi della predicazione di Mosè durante il cammino verso la Terra Promessa. E’ commovente l’inizio: “Ascolta Israele” (due volte!), seguito dalla raccomandazione di osservare tutte le leggi e i comandi, facendoli entrare negli impegni stabili della famiglia. Questo Signore “unico” (ogni altro “dio” è falso!) deve essere oggetto di un amore totale: “Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Questo ‘tutto’ non permette attenuazioni e verrà ripreso in molti modi da Gesù: sarà la condizione e la qualifica del comportamento del discepolo.
Il tema viene ripreso da Gesù al termine della sua predicazione a Gerusalemme (lo leggiamo nel racconto dell’evangelista Marco). Sono gli ultimi giorni della sua vita pubblica e si moltiplicano le occasioni di discussioni cariche di polemiche. Nel racconto di Marco però l’incontro con “uno degli scribi” non è mosso da scopi polemici bensì da vero interesse, da parte dello scriba, di ottenere luce da questo maestro tanto discusso: “Qual è il primo di tutti i comandamenti?”. E Gesù risponde con la richiesta dell’amore totale (“Amerai con tutto il tuo cuore…”) verso il “Signore nostro Dio”, che è “l’unico Signore”, aggiungendo però il secondo comando, dell’amore verso il prossimo. Il suo interlocutore è pienamente soddisfatto, al punto che cerca di completare la risposta di Gesù dichiarando che la pratica di questo amore totale “vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Dicendo questo, dimostra di essere un buon discepolo (che aggiunge qualcosa al pensiero del maestro) e soprattutto dimostra un coraggio non piccolo: il dialogo si sta tenendo nel luogo più sacro del giudaismo dell’epoca, dove si svolge il culto sacrificale. Gli olocausti e i sacrifici sono la forma più apprezzata del culto del tempo e sono anche fonte di proventi imponenti per la gestione del culto templare. Il nostro scriba non indietreggia di fronte al rischio di venire accusato di intervento contro il culto. Gesù apprezza evidentemente questo esercizio di coraggio in favore della verità e loda quel maestro: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Ed è così completato in modo esemplare il dialogo tra maestro e discepolo: questi si è sforzato di procedere nelle conseguenze dell’insegnamento ricevuto.
La lettura dalla Lettera agli Ebrei sembra essere fuori argomento e invece continua l’argomento del culto gradito a Dio, spostando però l’attenzione dai sacrifici al sacerdote che li offre. Ma si tratta, ora, del nuovo sacerdozio, quello che “non tramonta”, che è esercitato dal “sommo sacerdote”. E’ quello di Cristo, che “possiede un sacerdozio che non tramonta”, sempre vivo a intercedere per noi. Diventa evidente la differenza dai “sommi sacerdoti, che devono prima offrire sacrifici per i propri peccati. Gesù invece ha offerto, una volta per sempre, se stesso ed è stato “reso perfetto per sempre”. Quant’è commovente questo sommo sacerdote “santo… separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli”.
Ascolta, Israele… tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore
Abbiamo sentito cose belle, tanto ricche che possiamo trovarci in difficoltà per una sintesi. Gesù non ha offerto per i suoi peccati ma solo per i nostri. E ha offerto se stesso, non un’altra vittima. Noi che lo abbiamo visto crocifisso sappiamo come è accaduto. Ci viene però proprio da domandarci come sia accaduto, come sia stato anche soltanto possibile.
Le altre letture, oggi, ci parlavano di amore nostro verso Dio e verso il prossimo; la Lettera agli Ebrei ci parla di come e quanto il Figlio di Dio abbia amore per noi. Allora ha un senso tanto più vivo la richiesta che egli rivolge a noi di amarlo “con tutto il cuore”.
Certo di qui nasce la domanda pressante: ma tutto questo è possibile? Ha un senso proporlo a esseri limitati come siamo noi? Eppure la pietà ebraica su questo punto non aveva dubbi, pur nella consapevolezza ed esperienza di tante infedeltà. E’ tanto impressionante la lode di Gesù a quello scriba: “Non sei lontano dal regno di Dio”. E’ segno che nessuna condizione di partenza (anche quella dello scriba, che nei vangeli non gode di buona fama) esclude automaticamente dal Regno. E’ consolante anche oggi: per noi e per tutti coloro che ci sembrano esclusi dalla sequela di Gesù.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti