Domenica 19-12-2021 – IV Domenica d’Avvento Anno C- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
siamo, dunque, giunti alla quarta Domenica di Avvento: a una settimana dal Santo Natale. La Parola di Dio ci annuncia il mistero dell’Incarnazione.
Don Giuseppe, con sapiente consapevolezza, ci prende per mano e pone domande che non possono essere eluse di fronte al mistero del Verbo eterno fatto carne. Infatti, dice Don Giuseppe, “sempre si è avvertita la difficoltà di equilibrare la consapevolezza dell’adesione di fede alla commozione e all’entusiasmo del sentimento. Quante domande con il passare degli anni: ha senso conservare il sentimento se l’oggetto del mistero è così lontano da ogni verisimiglianza? E’ onesto continuare a far festa se la nostra fede non trova più riscontri con i contenuti delle più prudenti consapevolezze?”
Le Letture partono dal profeta Michea, di origine contadina, è vissuto nel secolo VIII a.C., fu in parte contemporaneo di Osea e di Isaia, di quest’ultimo riprende l’annuncio del giudizio di Dio. Egli annuncia che dalla piccola Betlemme, non dalla ricchezza regale e liturgica di Gerusalemme, nascerà il “dominatore in Israele… Egli stesso sarà la pace”. (Mi 5,4).
Nella Lettera agli Ebrei l’autore ci presenta la superiorità del sacrificio di Cristo rispetto a tutti gli altri sacrifici celebrati nel tempio. Un sacrificio povero che descrive l’atteggiamento di Cristo che si offre al Padre per fare la sua volontà. Il mistero della salvezza, dunque, si realizza “per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo”. Ci dice Don Giuseppe che: “Questo corpo lo contempleremo tra poco nelle dimensioni di un impotente bambino e, dopo molti anni, nella figura disfatta di un flagellato innalzato sulla croce, fino al ‘terzo giorno’.” Questo è il mistero che ci viene annunciato.
Il Vangelo di Luca ci narra che Maria, in attesa di Gesù, va da Elisabetta, incinta di Giovani il Battista. Questo viaggio, semplice nella sua presentazione, apre alla ricchezza e al fascino della Parola di Dio. Mi pongo per esempio la domanda di come sia stato questo viaggio non breve e non semplice da Nazaret di Galilea alla Giudea. Maria, stando alla letteralità del testo, non ne parla con i suoi genitori, non ne parla nemmeno con Giuseppe. Maria quando entra nella casa di Zaccaria che è sacerdote, seppure muto perché non aveva creduto all’annuncio dell’angelo Gabriele, non saluta per primo Zaccaria, ma saluta Elisabetta. Una figura forte e determinata quella di Maria!
La Parola di Dio, si serve di questa semplice e affascinante letteralità della narrazione per farci cogliere un ulteriore significato legato all’antico trasferimento dell’Arca dell’alleanza, ad opera del re Davide, da Sichem a Gerusalemme (2Sam 6). Maria, nuova Arca che trasporta il Signore: Antico e Nuovo Testamento legati nel comunicarci il messaggio, il mistero, della Salvezza.
Don Giuseppe ci dice con forza che nell’incontro tra Maria ed Elisabetta: “La fede era presente e quanto! …. E allora? La fede era la prima componente del dono che il Signore aveva fatto di quelle maternità e continua a essere il grande dono che egli vuole fare a tutti i suoi figli che si affacciano a questo mistero.”
Il salmista, forse un levita scampato dopo la conquista di Nabucodonosor nel 586 a.C., spera in una restaurazione del regno unificato del nord e del sud. Nel contesto cristiano, contesto eucaristico, è Gesù, che raduna e salva le pecore sperdute di Israele.
“Tu, pastore d’Israele, ascolta, /
seduto sui cherubini, risplendi. /
Risveglia la tua potenza /
e vieni a salvarci. /
Dio degli eserciti, ritorna! /
Guarda dal cielo e vedi /
e visita questa vigna, /
proteggi quello che la tua destra ha piantato, /
il figlio dell’uomo che per te hai reso forte. /
Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, /
sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte. /
Da te mai più ci allontaneremo, /
facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome. / (Sal 80/79, 2ac; 3b; 15-16; 18-19)
Resta il mistero, ma resta anche la gioia dell’incontro con il Signore, resta la speranza in Lui Salvatore, resta la preghiere per il dono della fede.
Uniti in questa preghiera, Vi invio un grande abbraccio anche a nome di Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella e tutto il Consiglio.
Contardo Codegone
ANNO C – IV Domenica d’Avvento
19-12-21
Letture: Mic 5, 1-4a; Eb 10, 5-10; Lc 1, 39-45
Chiediamo al Signore di entrare con la mente e con il cuore nello stato d’animo dei protagonisti della vicenda a cui siamo invitati a partecipare. Certo quelli sono momenti di grande discrezione, ma anche di partecipazione affettuosa. Il brano evangelico, di Luca, è il testo che ci porta più vicino al nostro evento: la mamma di Giovanni il Battista sta per dare alla luce il suo bambino e nel giro di sei mesi o poco più sarà la volta di Maria e di Gesù. Quali sono i sentimenti di Maria e di Elisabetta? Il nostro brano si arresta solo al racconto delle parole di Elisabetta, ma noi faremo bene a non arrestare la nostra lettura così indietro nel racconto. Il saluto di Elisabetta a Maria si serve di parole che si allargano su tutta la vicenda umana: “benedetta tu, madre del mio Signore… beata colei che ha creduto”. In Maria è benedetta ogni maternità umana; in lei si è capovolta la maledizione risuonata nell’Eden e il suo aver creduto ha riscattato la presunzione dei progenitori. La sua risposta risuona nel Magnificat, che detta anche a noi sentimenti altissimi di una preghiera rivolta a Dio col cuore di una serva tanto dolce nella sua perfezione materna.
Le prime due letture riportano, dall’Antico Testamento, la profezia di Michea che esalta Betlemme (“così piccola…” da dare però la vita al “dominatore in Israele”) e dal Nuovo Testamento, la contemplazione della Lettera agli Ebrei, che ci descrive l’atteggiamento di Cristo, che si offre al Padre “per fare la tua volontà”, mentre sostituisce il primo sacrificio con quello nuovo. Ed è “per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo” che siamo stati santificati una volta per sempre. Questo corpo lo contempleremo tra poco nelle dimensioni di un impotente bambino e, dopo non molti anni, nella figura disfatta di un flagellato innalzato sulla croce, fino la “terzo giorno”.
Beata colei che ha creduto
Fra pochi giorni si rinnova liturgicamente il mistero del Verbo eterno ‘fatto carne’. La partecipazione del popolo cristiano lungo i secoli ha trovato modi sempre nuovi di accostarsi al mistero e sempre si è avvertita la difficoltà di equilibrare la consapevolezza dell’adesione di fede alla commozione e all’entusiasmo del sentimento. Quante domande col passare degli anni: ha senso conservare il sentimento se l’oggetto del mistero è così lontano da ogni verisimiglianza? E’ onesto continuare a far festa se la nostra fede non trova più riscontri con i contenuti delle più prudenti consapevolezze? Che dire poi se a questi pensieri se ne uniscono altri che accusano di disonestà la proposta di questi dati di fede: illuderci con la commozione del bambino, quando la vera battaglia per la vita ha bisogno di ben altro realismo?
“Beata colei che ha creduto” disse oltre duemila anni fa una mamma anziana a una più giovane, mentre ambedue attendevano un bambino, che avrebbe concluso la vita, in ambedue i casi, su un patibolo. Per bella che possa essere la poesia, non è possibile chiamarla in causa, in questo caso, a spiegazione della fede. La fede era presente, e quanto!, in quelle maternità, ma non era la spiegazione di un entusiasmo da inganno. E allora? La fede era la prima componente del dono che il Signore aveva fatto di quelle maternità e continua a essere il grande dono che egli vuole fare a tutti i suoi figli che si affacciano a questo mistero.
Vostro don Giuseppe Ghiberti