Domenica 30-1-2022 – IV tempo ord. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
in questa domenica 30-01-2022, ricca di letture particolarmente significative, Don Giuseppe ci prende per mano e ci fa gustare la Parola che il Signore ci rivolge, proprio come la rivolse allora a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo” (Ger 1,4). Così, infatti, si esprime Geremia iniziando a raccontare la sua vita. Così potremmo anche noi cominciare a narrare la nostra vita.
Vita tempestosa quella di Geremia, da lui descritta nello stile dei salmi di lamentazione. Di lamentarsi penso proprio che Geremia avesse titolo. Nasce intorno al 650 a.C.. È vissuto in uno dei momenti più turbolenti della storia di Israele e terribili le parole che doveva dire ispirato da Dio.
Il grande re riformatore di Israele, Giosia, muore ancora giovane in una vicenda bellica non chiara a Meghiddo nel 609 a.C.. Non sembrano premiati da Dio i più meritevoli.
Il mondo orientale è sconvolto per la caduta di Ninive e l’avanzata dei Caldei. Poco dopo Nabucodonosor conquista Gerusalemme nel 597 e, nuovamente nel 586, deportando parte della popolazione e incendiando il Tempio. Geremia muore in quegli anni in Egitto, forse ucciso.
Il suo dialogo con Dio è segnato da tinte forti: “Maledetto il giorno in cui nacqui; …” (Ger 20,14). La sua missione subì, infatti, delle gravi sconfitte durante la sua vita, ma egli lascò una grande testimonianza di una religione del cuore e della fede nell’alleanza con Dio. Questa sua dimensione interiore, l’abnegazione fino alla morte, la sofferenza e l’ubbidienza al servizio di Dio, ha fatto indicare a molti in Geremia una figura che anticipa quella del Cristo.
L’inno alla carità di San Paolo è veramente un canto del cuore per i contenuti e per il ritmo. Don Giuseppe ci dice che: “L’esistenza della carità va oltre i confini di tempo e di valore di ogni altro dono….”. San Paolo conclude: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità.”(1Cor 13,13)
Luca, ci ricorda Don Giuseppe, riprende il racconto interrotto domenica scorsa con la lettura del testo di Isaia nella sinagoga di Nazaret (“oggi si è compiuta”).
Vi è una ribellione degli ascoltatori che cercano di eliminare Gesù, “ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.” (Lc 4,30).
Don Giuseppe conclude dicendo che Luca non ricorderà più nessuna visita di Gesù a Nazaret e che Nazaret non verrà più neppure nominata. Per questo Don Giuseppe ci richiama, con forza, a stare attenti, a pregare e riprende quanto detto da S. Agostino: “Timeo Jesum transeuntem.” Temo, cioè, di non accorgermi di Gesù che passa, che bussa alla mia porta e temo di non aprirla.
Il Salmo è, proprio, un canto del cuore da parte di chi ha bisogno di essere con il Signore, di chi ha aperto le sue porte e lo accoglie quale rifugio, fonte di giustizia, liberatore, salvatore.
“In te, Signore, mi sono rifugiato, /
mai sarò deluso. /
Per la tua giustizia, liberami e difendimi, /
tendi a me il tuo orecchio e salvami. /
Sii tu la mia roccia, /
una dimora sempre accessibile; /
hai deciso di darmi salvezza: /
davvero mia rupe e mia fortezza tu sei! /
Mio dio, liberami dalle mani del malvagio, /
dal pugno dell’uomo violento e perverso. /
Sei tu, Signore, la mia speranza, /
la mia fiducia, Signore, fin dalla mia giovinezza. /
Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, /
dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno: /
a te la mia lode senza fine. /
Verrò a cantare le imprese del Signore Dio: /
farò memoria della tua giustizia, di te solo. /
Fin dalla giovinezza, o Dio, mi hai istruito /
e oggi ancora proclamo le tue meraviglie.” (Sal 71/70, 1-2; 3-4; 5-6; 16-17)
Abbiamo iniziato questo breve scritto ricordando quanto Dio dice a Geremia: “Prima di formarti nel grembo materno di conoscevo”. Il Salmo ci invita a pregare dicendo: “Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, / dal seno di mia madre sei tu il mio sostegno: a te la mia lode senza fine.”
Affidiamoci al Signore che ci ha pensati da prima che fossimo concepiti, che ci accoglie come il grembo materno e che ci sostiene come il seno della madre.
Uniti nella preghiera, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il consiglio vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. Comunichiamo che a causa della situazione sanitaria la S. Messa del I martedì di febbraio non verrà celebrata. Vi ricordiamo inoltre l’incontro tramite Google meet di sabato 29 gennaio con don Germano Galvagno sul tema “Spiritualità del Profeta Elia”. Il codice per partecipare è:
http://meet.google.com/onb-pjje-svh
IV Dom. Tempo ord. C
30.1.22
Letture: Ger 1, 4-5.1-19; 1 Co 12, 12-30; Lc 4, 21-30
Oggi assistiamo ai primi movimenti dell’attività di Geremia. Si tratta del profeta dalla vicenda più commovente di tutto l’Antico Testamento. Apparteneva a una famiglia sacerdotale di Anatot (vicino a Gerusalemme) ed esercitò la sua missione profetica negli ultimi decenni del secolo settimo a. C. La vocazione profetica gli venne – come sentiamo – direttamente dal Signore, che l’aveva scelto dall’eternità: “Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo”. Ora egli riceve l’incarico ufficiale: “Dì’ loro tutto quanto ti ordinerò”. E non saranno messaggi graditi: “non spaventarti”, perché il Signore sarà la tua forza, anche se incontrerai tanti nemici (i re, i sacerdoti, il popolo); ma “io sono con te per salvarti”. All’inizio dovrà sostenere l’ostilità dei “re di Giuda e i suoi capi… i suoi sacerdoti e il popolo del paese”. Ma il Signore sta alle spalle del suo profeta: “Io sono con te per salvarti”. Chi conosce la vicenda di Gesù di Nazaret ricorda con commozione questo profeta antico, che anticipò molti aspetti della vicenda di Gesù.
Di San Paolo leggiamo un brano notissimo della prima Lettera ai cristiani di Corinto: l’inno alla carità. A Corinto si discute e bisticcia per capire chi è che ha ricevuto i carismi più importanti. Abbiamo qualche difficoltà, oggi, per entrare in questa problematica, che però non è tanto estranea al nostro modo di valutare eventi e persone: in un ambiente dove la gerarchia nella Chiesa non era ancora molto chiara (chi vale di più, chi ha il diritto di comandare di più, quali compiti sono più importanti?) è facile che sorgano rivalità. Pur non essendo difficile capire che tutto è dono, non è cosa da poco poter dire che i miei doni sono migliori o più importanti dei tuoi. E’ chiaro che questo problema disturbi l’armonia di una comunità, che sta appena facendosi le ossa. Paolo interviene di forza nella discussione sui “carismi” (termine che allora si applicava ai “doni”, intendendo quelli ricevuti da Dio), mettendo chiaramente al primo posto la carità. Tutto il resto, senza la carità, “a nulla mi servirebbe”. L’esistenza della carità va oltre i confini di tempo e di valore di ogni altro dono: le profezie, le lingue e tutto il resto è destinato a finire. Ciò che rimane sono “queste tre cose: la fede, la speranza, la carità. Ma la più grande di tutte è la carità”.
La lettura evangelica, presa da San Luca, riprende il racconto interrotto domenica scorsa: nella sinagoga di Nazaret, dove Gesù ha applicato a sé (“oggi si è compiuta”) una profezia del profeta Isaia, le sue parole suscitano una reazione di gelo, dal significato all’incirca: ma costui chi crede di essere? anche se le sue parole sono riconosciute come “parole di grazia”. Gesù non si ferma a discutere, ma si appella solo a fatti noti del passato, quando i doni di Dio furono dati a bisognosi non di provenienza ebraica. Questo naturalmente fa scoppiare la rabbia degli uditori che, seduta stante, decidono di eliminare Gesù. Egli però dimostra la sua maestosa grandezza: “passando in mezzo a loro, si mise in cammino”.
Temo Gesù che passa
Da questo momento Luca non ricorderà più nessuna visita di Gesù a Nazaret, che non verrà neppur più nominata. E’ una scena terribile, che matura lentamente, ma inesorabilmente, in modo implacabile. Si dirà poi: “Timeo Jesum transeuntem”, temo Gesù che passa: lo preghiamo che non si realizzi la minaccia, di lasciarci privi della sua presenza. Lui, certamente, non lo vuole, ma dice anche: “sto alla porta e busso”, in attesa che “qualcuno ascolti la mia voce e mi apra la porta” (come dice l’Apocalisse 3,20). Come siamo stolti a non accorgercene.
Vostro don Giuseppe Ghiberti