Domenica 27-2-2022 – VIII tempo ord. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
il filo conduttore che mi pare collegare le letture di questa domenica 27-2-2022 è dato dai riferimenti al “cuore”, alla “parola” e alla “sapienza” tra loro connesse.
Le letture partono da un brano del Siracide. All’inizio del secondo secolo a.C., Gesù Ben Sira (da qui il nome di Siracide) maestro di sapienza in Gerusalemme, raccoglie in un libro il meglio dei suoi insegnamenti che vengono poi tradotti in greco da suo nipote intorno al 132 a.C.
Questo scritto risente del clima di tentata ellenizzazione che stava vivendo il popolo ebraico. Antioco IV Epifane (175-163 a.C.) aveva, infatti, già provocato la rivolta dei Maccabei. Fulcro della dottrina di Ben Sira è la sapienza, dono di Dio, e la condizione per ottenere la sapienza che è il “timore” di Dio, non la “paura”.
Il brano del Siracide ripreso nelle letture di domenica, ci dice Don Giuseppe, “è breve e non pare interessarsi del Signore.” Don Giuseppe ci guida però in profondità richiamando un passo rivelatore di questo testo: “la parola rivela i pensieri del cuore” (Sir 27,7). La parola svela l’intimo del cuore e solo chi ha timore di Dio ha la sapienza nel cuore. Nella tradizione ebraica non era permesso nominare o rappresentare Dio e la sapienza, in forma personificata, ne assume le sembianze.
Nella seconda lettura San Paolo conclude il suo insegnamento sulla resurrezione contenuto nel capitolo quindicesimo della 1Corinti. Questa conclusione assume il ritmo dell’inno di lode e di gloria a Dio. Questo inno prende la forma di domande retoriche alla morte stessa: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? (1Cor 15,55) Solo il sapiente può porre queste domande, perché come afferma il Siracide: “la parola rivela i pensieri del cuore.” (Sir 27,7). Il sapiente, infatti, teme il Signore che ha nel cuore e in lui vince la morte.
Don Giuseppe, presentandoci il brano del Vangelo, riprende quanto detto da Luca: “la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6,45). E, infatti, nel cuore, cioè nella nostra intimità più profonda, che incontriamo il Signore, se lo cerchiamo con attenzione. Nella sapienza di Dio la parola diventa la persona di Gesù, “il Verbo si fece carne” (Gv 1,14). Incontrando Gesù nella nostra intimità più profonda e immergendoci nella intimità di Dio che ci accoglie, partecipiamo noi stessi della sapienza e della parola di Dio e sentiamo il bisogno di lodare e ringraziare. Vi è, dunque, una unità profonda tra la nostra intimità, cioè il cuore, la parola che ne sgorga e la sapienza che ci accoglie e ci guida nel cammino della vita ed anche attraverso la morte.
Il Salmo è questo canto di lode e ringraziamento, un canto gioioso, per le meraviglie che il Signore opera con le sue mani. L’Eucaristia è per noi il momento della festa, dell’incontro con il Signore, della lode e del ringraziamento.
“E’ bello rendere grazie al Signore /
e cantare al tuo nome, o Altissimo, /
annunciare al mattino il tuo amore, /
la tua fedeltà lungo la notte. /
Il giusto fiorirà come palma, /
crescerà come cedro del Libano; /
piantati nella casa del Signore, /
finiranno negli atri del nostro Dio. /
Nella vecchiaia daranno ancora frutti, /
Saranno verdi e rigogliosi, /
per annunciare quanto è retto il Signore, /
mia roccia: in lui non c’è malvagità. (Sal 92/91, 2-3; 13-16)
Abbiamo ancora negli occhi i cedri del Libano e, ricordando il nostro pellegrinare con il Volto della Sindone, facciamo della nostra vita una lode al Signore.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un grande, affettuoso, abbraccio.
Contardo Codegone
VIII domenica tempo ord. C
27-2-22
Letture: Sir 27, 4-7 (NV); 1 Co 15,54-58; Lc 6, 39-45
Il brano tratto oggi dal Siracide è breve e non pare interessarsi del Signore, che ci manda questo messaggio. Ma la sapienza umana non è in contrasto con il pensiero di Dio; tant’è vero che Gesù stesso riprenderà queste massime, di una sapienza che è terrena ma non soltanto terrena. Possiamo tentare la sintesi di uno di questi insegnamenti: “la parola rivela i pensieri del cuore” e “il modo di ragionare è il banco di prova per l’uomo”. Ciò che conta nella nostra vita sono i sentimenti che albergano e vengono coltivati da ognuno nel profondo di mente e cuore; ognuno attraverso la parola trasmette quanto porta in cuore e attraverso l’azione cerca di realizzare ciò che propongono pensieri della mente, affetti del cuore. Gesù sfrutterà nella sua predicazione queste radici di sapienza. E noi, a seconda delle disponibilità di tempo, possiamo ogni tanto allargare l’ampiezza della lettura, cercando contesti un po’ più ampi nello stesso libro biblico.
Se passiamo subito al brano evangelico di Luca, risentiamo l’eco di alcuni dei precedenti motivi. Dopo di aver parlato del rapporto tra discepolo e maestro (che trova subito applicazione nei rapporti dei discepoli con Gesù), egli mostra la ridicolaggine di chi insegna agli altri ciò di cui ha bisogno lui stesso, e conclude con una massima sulla corrispondenza tra le nostre opere e i nostri pensieri e sentimenti: “la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Dunque è al cuore che bisogna dare, per primo, l’attenzione, anche perché nel “cuore” matura e si qualifica per prima la radice dei nostri sentimenti e poi della nostre decisioni. E nel cuore incontriamo il Signore, se lo cerchiamo con attenzione.
San Paolo sta concludendo, nella prima Lettera ai Corinzi, il suo insegnamento sulla risurrezione dei morti con la domanda, che è un grido di trionfo: “dov’è, o morte, la tua vittoria… il tuo pungiglione?” La morte è stata vinta nella resurrezione di Gesù, una volta per tutte, e a ognuno di noi la vittoria è promessa alla fine dei tempi. A noi infatti è concesso di partecipare alla “vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo”. Il ragionamento inizia con la visione della condizione finale, quando ci verrà concesso di godere dell’incorruttibilità e immortalità del corpo: sarà allora il tempo della sconfitta della mortalità e della corruttibilità. E con questa giunge la sconfitta della morte.
Il pungiglione della morte è il peccato – ma – la vostra fatica non è vana nel Signore
Sono cose talmente misteriose, quasi illusorie: vittoria sulla morte – sul peccato! Contro ambedue combattiamo fin da ora, ma con quale successo? Per la morte sappiamo che la nostra situazione è perdente; e per il peccato…? Eppure la fede ci dice che la vittoria riportata da Gesù (che per se stesso non ne aveva nessun bisogno!) è pegno e garanzia per noi – e la nostra situazione da perdente è destinata a diventare vincente. San Paolo iniziava tutto l’insegnamento di questo capitolo dalla risurrezione di Gesù, affermando con forza che quello è il fatto determinante di tutta la nostra certezza. Certo, la partecipazione alla risurrezione di Gesù, nella sua interezza, è partecipazione al segreto della stessa realtà di Dio, mentre esprime il compimento di quell’atto di fiducia totale che il Signore si attende che noi. E’ proprio Dio che vuole così, perché ama così.
Vostro don Giuseppe Ghiberti