Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 8^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
con questa siamo arrivati all’ottava puntata del lavoro del carissimo amico e socio Bruno Barberis. Guidati da Bruno abbiamo approfondito il significato, la struttura e la storia del rito della Santa Messa fino ad arrivare, con la precedente puntata, alla Messa nell’Epoca Moderna e al rito rivisto secondo il nuovo Messale romano (XX-XXI secolo).
E’ stato un cammino pieno di interesse e di fascino che ci ha permesso di partire dalle radici rappresentate dalla celebrazione eucaristica nell’ultima Cena di Gesù. Abbiamo poi percorso il cammino sviluppato dallo prime comunità cristiane fino all’epoca moderna, soffermandoci sul Concilio di Trento (1545-1563), sul Concilio Vaticano II (1962-1965) e ricordando la prima Messa celebrata in lingua italiana da Paolo VI (7 marzo 1965).
Ora Bruno riprende il cammino con questo testo che apre la seconda parte della storia della Messa con una descrizione approfondita e dettagliata del rito della Messa secondo il nuovo Messale romano.
In questa puntata poi è anche esposta una presentazione che illustra i riti di introduzione della Messa e un primo paragrafo sulla liturgia della Parola.
Seguiranno approfondimenti sulla liturgia della Parola, poi sulla liturgia eucaristica e infine una descrizione dettagliata circa i riti di introduzione e conclusione della Messa.
Contiamo di organizzare ancora almeno un incontro diretto con Bruno per approfondire insieme il cammino fatto sin qui. Avevamo già avuto un primo incontro diretto con lui il 23 ottobre scorso.
A nome di tutta l’Amcor ringrazio ancora il carissimo Bruno per l’approfondimento, la chiarezza e la completezza di quanto ci ha fin qui esposto. Desidero anche ringraziarlo per l’attenzione e il rispetto usati nell’esporre una materia non facile e che, nella storia, ha incontrato anche tante diverse sensibilità.
In questo momento così triste e doloroso di guerra, pensare e sentire vicino a noi il mistero dell’Eucarestia è un grande dono.
Uniti nella preghiera per la pace, Vi invio un cordiale saluto.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA
DEL RITO DELLA S. MESSA
2. LA STRUTTURA DEL RITO OGGI
2.1 Introduzione
Nei capitoli precedenti abbiamo viaggiato lungo un arco temporale di venti secoli dall’Ultima Cena ai giorni nostri, alla scoperta della storia dell’evoluzione del rito della Messa. Abbiamo attraversato cambiamenti politici epocali, abbiamo assistito alle migrazioni di interi popoli, al succedersi di diverse culture e società. Ma se rileggiamo la descrizione dettagliata di una celebrazione eucaristica, tramandataci da San Giustino circa 1870 anni fa (si veda il paragrafo 1.3) ci accorgiamo che in questi diciannove secoli la struttura fondamentale della messa è sostanzialmente rimasta la stessa. Nella descrizione di San Giustino appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. Come è già stato sottolineato nel paragrafo 1.11.2, con le costituzioni conciliari Dei Verbum e Sacrosanctum Concilium si è aperta la via per riscoprire quella che nella tradizione cristiana è un’unica mensa: quella della Parola e quella del Pane e del Vino eucaristici. La liturgia della Parola non è una specie di preambolo più o meno facoltativo all’unico culmine della celebrazione che è la liturgia eucaristica e in particolare la consacrazione, ma è parte essenziale e insostituibile dell’azione liturgica. Al n. 56 della Sacrosanctum Concilium si legge: «La liturgia della Parola e la liturgia eucaristica sono congiunte tra loro così strettamente da formare un solo atto di culto». Viene affermato che la Chiesa realizza la sua essenza nella liturgia in cui Scrittura e pane diventano Parola e Corpo del Signore. Vi è un’unità intrinseca tra la Parola e il Pane eucaristico, tra la Parola e il Sacramento. Al n. 21 della Dei Verbum si legge ancora: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli». Il Catechismo della Chiesa Cattolica così si esprime al n. 1346: «La liturgia dell’Eucaristia si svolge secondo una struttura fondamentale che, attraverso i secoli, si è conservata fino a noi. Essa si articola in due grandi momenti, che formano un’unità originaria:
- la “Liturgia della Parola”, con le letture, l’omelia e la preghiera universale;
- la “Liturgia eucaristica”, con la presentazione del pane e del vino, l’azione di grazie consacratoria e la comunione».
Nell’Ordinamento Generale del Messale Romano (OGMR) si legge: «La Messa è costituita da due parti, la “Liturgia della Parola” e la “Liturgia Eucaristica”; esse sono così strettamente congiunte tra loro da formare un unico atto di culto. Nella Messa, infatti, viene imbandita tanto la mensa della parola di Dio quanto la mensa del Corpo di Cristo» (n. 28). E a proposito della presenza reale di Cristo leggiamo: «Nella celebrazione della Messa, nella quale si perpetua il sacrificio della croce, Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola e in modo sostanziale e permanente sotto le specie eucaristiche» (n. 27). Senza alcun dubbio una delle più grandi novità della riforma voluta dal Concilio Vaticano II è stata la valorizzazione della liturgia della Parola, che ha così riacquistato la sua centralità che possedeva nei primi secoli e che poi aveva progressivamente perso, diventando semplicemente una parte introduttiva della Messa. Queste due parti principali della Messa sono precedute dai riti di introduzione e seguite dai riti di conclusione.
2.2 I riti di introduzione
«Scopo di questi riti è che i fedeli, riuniti insieme, formino una comunità e si dispongano ad ascoltare con fede la parola di Dio e a celebrare degnamente l’Eucaristia» (OGMR, n. 46). Pertanto i riti di introduzione segnano il passaggio dalle normali occupazioni che caratterizzano la vita di ogni fedele alla celebrazione, aiutando così l’assemblea a prepararsi a vivere l’incontro con Dio Padre, per mezzo di Gesù Cristo, nello Spirito Santo. I riti di introduzione, durante i quali l’assemblea sta in piedi, comprendono:
a) L’introito con il canto d’ingresso, che ha lo scopo di dare inizio alla celebrazione, favorire l’unione dei fedeli riuniti e accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri, in modo da consentire la formazione dell’assemblea celebrante. L’importanza di questo momento è sottolineata dall’alzarsi in piedi di tutta l’assemblea.
b) L’inchino e il bacio dell’altare: questo gesto di venerazione, talvolta accompagnato dall’incensazione, che il sacerdote compie a nome dell’intera assemblea adunata, sta a significare che ogni gesto è riferito a Cristo di cui l’altare è simbolo.
c) Il segno di croce e il saluto al popolo da parte del sacerdote che presiede la celebrazione, che viene fatto dalla sede presidenziale dalla quale il sacerdote guida i riti d’introduzione e la liturgia della Parola. Il segno della croce esprime la professione di fede nel mistero trinitario di Dio e pone l’intera assemblea sotto il segno della croce di Gesù. Con il saluto: “Il Signore sia con voi” (o con altra formula), al quale l’assemblea risponde; “E con il tuo spirito”, il sacerdote annuncia a tutti la presenza del Signore: è un saluto con il quale sacerdote e assemblea si scambiano la fede della Chiesa.
d) Al saluto può seguire una brevissima monizione introduttiva alla messa del giorno allo scopo di introdurre l’assemblea al mistero che sta per essere celebrato, che può essere detta dal sacerdote o dal diacono o da un altro ministro.
e) L’atto penitenziale comunitario, che accomuna sacerdote e fedeli, è strutturato come un breve ma significativo itinerario di conversione ed è suddiviso in quattro momenti:
- l’invito al pentimento;
- una breve pausa di silenzio per prendere coscienza dei propri peccati e per riconoscere che è l’amore di Dio che ci accoglie e ci rinnova;
- la confessione comune della colpa e la domanda di perdono, che può assumere tre diverse forme:
- la recita comunitaria del “Confesso”;
- la proclamazione di alcuni versetti biblici recitati alternativamente dal celebrante e dall’assemblea;
- la proclamazione o il canto in forma dialogata tra il sacerdote e l’assemblea delle invocazioni “Signore, pietà”/“Cristo, pietà”/“Signore, pietà” oppure, in greco, “Kýrie, eléison”/“Christe, eléison”/“Kýrie, eléison”;
- la preghiera conclusiva di assoluzione per ottenere il perdono.
L’atto penitenziale può essere anche sostituito da una benedizione e un’aspersione dei fedeli con l’acqua benedetta, come ricordo e rinnovazione del Battesimo.
f) L’inno del “Gloria a Dio” che viene cantato o recitato dall’intera assemblea nelle solennità, nelle feste e nelle domeniche (eccetto quelle di Avvento e di Quaresima) ed esprime la festa e la gioia della comunità che rende grazie a Dio. È una delle più belle e antiche composizioni liturgico-musicali, che risale alla chiesa primitiva, ma che solo a partire dal IV-V secolo incominciò ad essere inserito nella messa; è costruito sul modello degli inni biblici.
g) La Colletta, che è l’orazione conclusiva dei riti di introduzione. Il sacerdote invita tutti a pregare e, dopo un momento di silenzio per consentire ad ogni fedele di formulare nel proprio cuore la preghiera personale, raccoglie le preghiere dell’assemblea in un’unica preghiera. Il termine “Colletta” sta proprio ad indicare la “raccolta” delle preghiere personali silenziose di ogni fedele nella preghiera pronunciata ad alta voce dal sacerdote che presiede la celebrazione.
2.3 La liturgia della Parola
2.3.1 Il progetto: Dio ed il suo popolo in dialogo
Al n. 35 della Sacrosanctum Concilium si legge: «Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e parola sono intimamente connessi, nelle sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta». Come la Parola si è fatta carne nell’uomo Gesù di Nazaret, analogamente la Parola si è fatta Scrittura, ha preso la forma delle sillabe umane – come dice Sant’Agostino – e si tratta quindi di cogliere nell’umanissimo libro della Bibbia la Parola di Dio contenuta in esso. Al n. 7 della Sacrosanctum Concilium si legge ancora: «Cristo è presente nella sua Parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura». Questo testo esprime pertanto chiaramente la presenza reale di Cristo nella Parola proclamata nelle celebrazioni liturgiche. In alcune pagine di San Girolamo e di Sant’Agostino si legge che, come ci si accosta alla comunione, a cibarsi del pane eucaristico, senza perderne una briciola, perché si ha coscienza che è il corpo di Cristo, così si dovrebbero ascoltare le letture bibliche senza perdere una sillaba di quello che viene proclamato, perché è Cristo stesso che ci parla. I Padri della Chiesa dei primi secoli affermavano che nella Parola di Dio noi ascoltiamo il battito del cuore di Dio per noi. Invece, nonostante le chiare affermazioni del Concilio, permane ancora in molti l’idea di una separazione tra Sacramento e Parola, ovvero la concezione che il Sacramento doni la grazia, mentre la Parola di Dio doni la dottrina, che il solo Sacramento sia efficace, mentre la Parola possa solo essere preparatoria al Sacramento. Invece la presenza di Cristo nella Parola di Dio è reale così come nelle specie eucaristiche, anche se con modalità diverse. Cristo ha donato la vita predicando la Parola e spiegando la Scrittura e ha spiegato la Scrittura e svelato la Parola offrendo il suo corpo e il suo sangue, come attesta Cristo stesso quando, dopo la risurrezione, spiega ai discepoli di Emmaus ciò che si riferisce a lui nelle Scritture (Lc 24,1-35) e come aveva già proclamato anni prima nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21). Il Concilio Vaticano II ha pertanto messo in atto quella che è stata chiamata “la fine dell’esilio della Parola”, intesa come il recupero sostanziale della presenza della sacra Scrittura nell’azione liturgica, rimotivando l’importanza e il ruolo della liturgia della Parola dopo secoli di oblio. Al n. 33 della Sacrosanctum Concilium si legge: «Nella liturgia Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera»; e ancora al n. 51: «Affinché la mensa della Parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura». La riforma liturgica del Vaticano II ha mirato pertanto non solo all’aumento della “quantità” della Scrittura, ma soprattutto ad una presenza di “qualità” della Parola di Dio nel cuore e nella vita dei credenti, ad una sua profonda accoglienza, intelligenza, conoscenza ed esperienza. L’importanza della mensa della Parola nell’azione liturgica è oggi così rilevante che non è concepibile un’azione sacramentale priva della liturgia della Parola, perché ogni celebrazione liturgica deve avere sempre come punto di partenza l’annuncio della Parola di Dio. Pertanto la proclamazione delle letture bibliche nella liturgia, attraverso la quale si realizza il mistero dell’annuncio della Parola di Dio, è un elemento costitutivo e insostituibile di ogni celebrazione cristiana, poiché è attraverso di essa che anche oggi Dio parla al suo popolo. Si chiude così il percorso ciclico della Parola: la Parola di Dio si è fatta libro ed il libro ritorna ad essere Parola nell’assemblea liturgica. La proclamazione della Parola di Dio nella liturgia non è un semplice ripetere e ricordare parole e fatti appartenenti al passato; con essa non veniamo eruditi su ciò che Dio ha fatto e detto, ma è lui stesso che ci dice quanto ora fa per noi. È pertanto un vero e proprio memoriale, cioè una memoria che ripresenta e riattualizza ciò che viene ricordato e lo rende efficace per coloro ai quali giunge la proclamazione stessa. È un gesto rituale sempre nuovo poiché la Parola è sempre attuale, sempre viva: ogni testo acquista significati diversi a seconda della realtà in cui lo caliamo e diventa pertanto “la Parola di Dio oggi”. La liturgia della Parola non è quindi il semplice ascolto di un testo, bensì l’ascolto di Qualcuno, di Cristo risorto che parla a noi, come fece con gli apostoli nel cenacolo e con i discepoli di Emmaus. Ogni liturgia della Parola è pertanto una straordinaria forma di catechesi biblica, anzi, è la catechesi per eccellenza: infatti essa parte dall’ascolto della Parola di Dio, la riattualizza nell’esistenza concreta ed attuale della comunità e di ogni singolo fedele, suscitando una risposta dell’assemblea che a sua volta sfocia poi nell’impegno della vita cristiana. È quindi di fondamentale importanza che i lettori proclamino le letture in modo efficace e comprensibile in modo che la Parola di Dio giunga all’assemblea e sia ascoltata e capita da tutti. Affinché ciò avvenga è necessario che tutti i lettori siano «adatti a svolgere questo compito e ben preparati» (OGMR, n. 46).
In ogni liturgia della Parola si instaura così un dialogo tra Dio ed il suo popolo ed il popolo acquista coscienza di essere il popolo dell’Alleanza: Dio parla ed il popolo risponde con il canto, la preghiera, l’acclamazione. La liturgia della Parola è quindi la grande e perenne “scuola” dove il cristiano impara ad ascoltare e a rispondere in quel dialogo con il Signore che è la fede vissuta.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».