Domenica 10-4-2022 delle Palme – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
per questa domenica delle Palme, 10-04-2022, Don Giuseppe ha parole che ne sottolineano l’importanza: “Ha inizio la grande settimana, che ci fa strettamente partecipi al mistero dell’amore totale di Gesù.”
Il misterioso “servo di Dio”, il “servo sofferente” di Isaia”, richiama la figura di Geremia, profeta perseguitato, per molti aspetti simile a Gesù. Fin dall’origine la Chiesa ha visto riflessa nell’ immagine del “servo sofferente” proprio la vicenda di Cristo nella sua passione.
Paolo ai Filippesi ricorda che Cristo Gesù “… svuotò se stesso assumendo una condizione di servo…” (Fil 2,7). E’ l’esperienza dello “svuotamento” (“kenosis” in greco) di se stessi per totale ubbidienza, un percorso che i mistici vivono nella loro ascesi, un percorso di conversione radicale.
Il percorso che ci prepara all’abbandono totale in Dio, ad essere pieni di Dio.
Luca descrive il cammino terreno di Gesù come un viaggio da Nàzaret a Gerusalemme per realizzare la volontà del Padre. A Gerusalemme questo viaggio si compie. Il racconto della Passione in Luca è un esodo in cui Gesù ci prende per mano per accompagnarci dalla morte alla vita. Nel momento della sua morte Gesù si abbandona totalmente nelle mani del Padre a cui consegna il suo spirito.
Siamo immersi nel mistero della morte di Dio.
Il Salmo proposto si collega alla lettura di Isaia ed è preghiera che risuona anche sulle labbra di Gesù di fronte alla morte, alla morte di croce.
Il Salmo nei primi versetti, non ripresi dalla Liturgia odierna, esprime il lamento e la preghiera di un innocente perseguitato:
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? / Lontane dalla mia salvezza le parole del mio grido! / Mio Dio, grido di giorno e non rispondi; / di notte, e non c’è tregua per me. (Sal 22/21, 2-3)
Quante volte sentiamo questo grido nella storia dell’uomo; anche oggi, nei bagliori orrendi della guerra, questo gemito risuona.
Eppure, nel nostro cammino di fede, di fronte al baratro, viene annunciato e risuona il Nome che salva.
Di fronte alla Sindone immagine della morte – ‘Passione di Cristo, passione dell’uomo’ – questo corpo ferito, questo volto martoriato, ci comunicano l’attesa della Resurrezione.
Di fronte ai corpi tumefatti, che le cronache di oggi ci presentano tutti i giorni riversi sulle strade, non dobbiamo stancarci di invocare il Signore, di chiedere il suo aiuto, di annunciare il Nome che salva,
“Si fanno beffe di me quelli che mi vedono, /
storcono le labbra, scuotono il capo: /
‘Si rivolga al Signore; lui lo liberi, /
lo porti in salvo, se davvero lo ama! /
Un branco di cani mi circonda, /
mi accerchia una banda di malfattori; /
hanno scavato le mie mani e i miei piedi. /
Posso contare tutte le mie ossa. /
Si dividono le mie vesti, /
sulla mia tunica gettano la sorte. /
Ma tu, Signore, non stare lontano, /
mia forza, vieni presto in mio aiuto. /
Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli /
ti loderò in mezzo all’assemblea. /
Lodate il Signore, voi suoi fedeli, /
gli dia gloria tutta la discendenza di Giacobbe, /
lo tema tutta la discendenza di Israele. (Sal 22/21, 8-9; 17-18a; 19-20; 23-24)
Dobbiamo temere Dio, rivolgerci a Lui con rispetto, non lasciarci prendere dalla disperazione.
Dobbiamo anche non cessare di pregare perché Egli sorregga, accresca la nostra fede, perché non vacilli nella tentazione.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio ci troviamo uniti a pregare per la pace e perché le Chiese cristiane ritrovino unità e sappiano donare speranza.
Contardo Codegone
P.S. per iscriversi agli Esercizi Spirituali Amcor del 13-14-15 maggio a Susa (Villa San Pietro. Tema: “Introduzione al Pentateuco”. Relatore: Don Michelangelo Priotto) è opportuno rispondere alla e-mail di Patrizia comunicando il nome di chi intende partecipare.
Domenica delle Palme C
10. 4. 22
Inizio Settimana Santa
Letture: (Lc 19, 28-40). Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Lc 22, 14 – 23, 56
Ha inizio la grande settimana, che ci fa strettamente partecipi al mistero dell’amore totale di Gesù. Con il suo aiuto cerchiamo di mantenerci sobri nelle parole, per non disturbare troppo la partecipazione al mistero. La liturgia inizia dal racconto dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme (con la possibilità di una piccola processione che ricordi quell’evento); poi si entra nella liturgia eucaristica, la Messa, che inizia con la lettura impegnativa della passione di Gesù secondo Luca (in questo anno C). Si accostano così due racconti evangelici: il primo della “gloria” (benedetto colui che viene, il re); il secondo della pura sofferenza, fino alla deposizione nel sepolcro. I contrasti sono intenzionali e anticipano la vicenda dei tempi: “Benedetto colui che viene, il re… pace, gloria”, è il giubilo da parte del popolo, che poi però, a breve distanza, durante il processo esplode nel “crocifiggilo!”
L’introduzione all’azione liturgica è data da due brevi brani biblici, che ci preparano a una giusta visione di Gesù: parole del “servo del Signore” di Isaia (“ho presentato il mio dorso ai flagellatori…”, ma egli rende la sua faccia dura come pietra, “sapendo di non restare confuso”) e altre di un inno protocristiano riportato da Paolo, che canta l’ubbidienza di Gesù fino alla morte di croce, coronata dalla proclamazione da parte di ogni lingua: “Gesù Cristo è Signore”,
La massima attenzione è attratta dall’esposizione delle sofferenze ultime di Gesù, narrate da Luca nel racconto della passione: iniziano con un momento non glorioso del gruppo apostolico che, nell’ultima cena consumata con Gesù e al momento in cui il pane e il vino vengono da Gesù trasformati nel suo corpo e nel suo sangue, discutono tra loro “chi di loro fosse da considerare più grande”. Niente riesce ad arrestare questo malvezzo, neppure l’esempio di Gesù, che è il primo eppure sta a tavola come colui che serve. Gesù avverte anche Pietro e gli predice il triplice rinnegamento. Ma – mistero dell’infinito amore – egli predice anche: “Io preparo per voi un regno… E siederete in trono a giudicare le dodici tribù di Israele”. Egli parla però di ben altro regno.
Lasciata la sala della cena, Gesù si reca con i suoi al “monte degli ulivi”, prega ed emette un sudore misto a sangue, mentre raccomanda ai suoi di resistere al sonno. Intanto arriva Giuda, con “una folla”, e con un bacio tradisce Gesù. Un minimo tentativo di resistere con le armi si perde, perché Gesù stesso guarisce chi era stato colpito. Catturato, Gesù viene portato alla casa del sommo sacerdote. E’ il duro inizio della passione. Luca ferma l’attenzione, all’inizio, sul comportamento di Pietro, che segue quelli che hanno arrestato Gesù, ma poi nega ogni suo rapporto con lui.
La parte ufficiale dell’inizio del processo è celebrata al mattino presto; gli viene chiesto se è “il figlio di Dio”. La risposta di Gesù è prudente e formalmente non equivalente a una confessione, ma per i suoi accusatori è sufficiente e portano subito il processo davanti a Pilato. Ma qui l’accusa si sposta (astutamente e falsamente) dal religioso al politico: è un tipo, costui, che è contro la riscossione dei tributi a Cesare e pretende di essere re. Intanto risuona il nome della Galilea, una parte del territorio soggetta ancora alla famiglia di Erode. Luca, che è attento ai risvolti civili di tutta la vicenda, ricorda che Pilato ha mandato Gesù da Erode Antipa (figlio ed erede del “grande” Erode), sovrano della Galilea. Ma per il processo questo diversivo non portò conseguenze, perché Gesù si lasciò trattare da giullare ma non aprì mai bocca.
Ripresa l’azione penale, Pilato prende le difese di Gesù, disposto a punirlo (chi sa poi perché, se l’ha appena dichiarato innocente), però per poi ridargli la libertà. Ma non c’è verso, perché la richiesta non ha alternative e Pilato cede: in omaggio alla pasqua libera un autentico delinquente, Barabba, e condanna Gesù. Incomincia subito, nel racconto lucano, la salita al Calvario, col ricorso all’aiuto del Cireneo e il ricordo della presenza di donne piangenti.
Sul luogo chiamato Cranio fu crocifisso Gesù in mezzo a due malfattori. Le vesti di Gesù furono tirate a sorte tra gli aguzzini. E’ grande spettacolo, con dileggio verso il “re dei Giudei”, incapace di salvare se stesso. Ma qualcosa esce dai canoni soliti: il richiamo insistente a quel titolo “re dei Giudei”, presente addirittura sulla scritta che è stata fissata alta sulla croce: “Costui è il re dei Giudei”. E poi improvvisa risuona la voce di uno dei due malfattori crocifissi con Gesù: “Lui non è come noi: lui non ha fatto nulla di male”, e rivolgendosi direttamente a Gesù: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E lui, l’innocente che sta morendo: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”. E ora non gli resta altro da dire che “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo, spirò.
La sepoltura dell’uomo giusto
Molti si rendono conto dell’unicum che è accaduto e il centurione che presiede l’evento si sente portato a riconoscere: “Veramente quest’uomo era giusto”. E’ il momento della verità, pronunciata da chi sembrerebbe meno adatto a percepirla. La storia prosegue però fino alla sepoltura. Uno del grande tribunale del Sinedrio, Giuseppe di Arimatea, che non condivideva la condanna di Gesù, chiede a Pilato (come favore eccezionale, trattandosi di un giustiziato) il cadavere di Gesù, “lo depose dalla croce, lo avvolse con un lenzuolo e lo mise in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale nessuno era stato ancora sepolto”. Le donne osservano il lavoro compiuto da Giuseppe e poi il riposo sabbatico (per di più di Parasceve), pensando di eseguire il lavoro dopo la fine del riposo sabbatico.
Quella fine non sarebbe mai giunta e il sepolcro avrebbe continuato a parlare, dal profondo del suo vuoto.
Vostro don Giuseppe Ghiberti