Domenica 08-5-2022 – IV di Pasqua – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
Don Giuseppe, padre e maestro, ci accompagna con attenzione e profondità nella comprensione delle Letture anche di questa domenica 8-5-2022.
Il Vangelo di Giovanni ha un messaggio che ci ridice: Gesù buon pastore. Colgo questo come il filo conduttore, la traccia che mi accompagna.
Negli Atti degli Apostoli, Paolo e Barnaba in Antiochia, nonostante tutte le difficoltà, avevano portato la Parola del Signore. Erano stati pastori ed “erano pieni di gioia e di Spirito Santo” (AT 13,52)
Don Giuseppe ci dice: “Anche oggi la parola del Signore ha una forza che non è puramente umana; e noi dobbiamo credere a questa efficacia che supera tutti i criteri delle forze che vediamo all’opera.”
L’Apocalisse ci dice: “perché l’Agnello …. sarà il loro pastore…” (Ap 7,17) e Don Giuseppe ci spiega che: “Non sarà scomparsa la sofferenza, ma Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”.
Nel Vangelo di Giovanni, Gesù ci dice: “Le mie pecore ascoltano la mia voce…” (Gv 10,27). Gesù dice che le pecore sentono la sua voce, non gli ordini di Gesù. Come è bello e dolce sentire il timbro della voce di coloro ai quali siamo legati da amore vicendevole, come esso resta nel nostro cuore e nella nostra memoria.
Don Giuseppe ci invita ad andare avanti con una sua domanda al Signore: “Ma chi crederà, o Signore, alla tua parola, al tuo progetto?” E’ una domanda che oggi incalza tante coscienze di fronte alla tragedia della guerra, della divisione tra le Chiese, di fronte al male che sembra trionfare intorno a noi.
E allora faccio interamente mia la preghiera di Don Giuseppe: “Vorrei chiederti prima di tutto: Signore, aumenta la mia fede!” e aggiungo: Signore: non dimenticarti della piccola, dispersa, pecorella che sono.
Il Salmo è questo inno di ringraziamento e di lode (dossologia) perché siamo suo popolo e gregge. Il Salmo include anche la professione di fede nell’unico Dio. Il Dio che incontriamo con gioia nell’Eucaristia e che si fa comunione con noi nella parola e nel pane.
“Acclamate il Signore, voi tutti della terra, /
servite il Signore nella gioia, /
presentatevi a lui con esultanza. /
Riconoscete che solo il Signore è Dio: /
egli ci ha fatti e noi siamo suoi, /
suo popolo e gregge del suo pascolo. /
Perché buono è il Signore, /
il suo amore è per sempre, /
la sua fedeltà di generazione in generazione. (Sal 100/99,2-3.5)
Questo Salmo apre veramente il cuore alla gioia. Chiedo al Signore che ci porti sempre a cantarlo nel nostro cuore come atto di fede in Lui perché “il suo amore è per sempre”.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, sentendoci uniti nella preghiera per la pace, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. Vi ricordo i nostri Esercizi Spirituali del 13-14-15 Maggio a Susa e l’incontro di formazione del sabato 28 maggio (ore 15,30 Chiesa del Santo Sudario) con il Prof. Bruno Barberis sul tema del rito della Santa Messa.
IV Domenica di Pasqua
8. 5. 22
Letture: At 13, 14.43-52; Ap 7, 9. 14b-17; Gv 10, 27-30
Il confronto con il popolo di Gesù, gli ebrei, da parte di coloro che erano stati testimoni della sua risurrezione dovette essere particolarmente sofferto e la difficoltà dovette crescere quando i testimoni giunsero a parlare in contrade lontane da quelle dove si erano svolti gli eventi. Oggi gli Atti degli Apostoli ci fanno assistere al passaggio doloroso della predicazione apostolica (condotta, qui, da Paolo) dai primitivi destinatari ebrei a un pubblico pagano. Antiochia di Pisidia è ancora oggi una grande città della Turchia asiatica, con grandi resti archeologici dell’epoca romana. Allora la presenza ebraica era numerosa e organizzata con una sinagoga. Paolo, al culmine del suo primo viaggio missionario, in compagnia di Barnaba, andò a predicare in quella sinagoga davanti a un uditorio prevalentemente ebraico (era il loro programma: prima dagli ebrei). Il suo annuncio seguì uno schema sfruttato anche da altri, come Pietro (oggi questa parte del discorso qui non viene riportata). Ma la presenza, in sinagoga, di ebrei e di pagani fece scoppiare il pandemonio, perché gli ebrei si sentirono provocati dal racconto di Paolo e risposero per le rime (“gelosia…parole ingiuriose”). Mentre un numero notevole di pagani accettò la predicazione apostolica, la reazione inscenata dagli ebrei fu talmente violenta che Paolo e Barnaba vennero cacciati via. Ma ai pagani convertiti la predicazione suscitava gioia e dava origine alla fede. Anche oggi la parola del Signore ha una forza che non è puramente umana; e noi dobbiamo credere a questa efficacia che supera tutti i criteri delle forze che vediamo all’opera.
Dal libro dell’Apocalisse è tratta la visione della seconda lettura. Davanti al trono celeste del Padre e alla presenza dell’Agnello s’è radunata una moltitudine immensa: sono tutti avvolti in candide vesti lavate “col sangue dell’Agnello”. Dunque avevano tutti bisogno della purificazione che proviene dalla passione di Gesù. Ma ora non avranno più tribolazione né sofferenza, “perché l’Agnello sarà il loro pastore”. Non sarà scomparsa la sofferenza, ma “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. E’ una visione di beatitudine, che parte però da una realtà di imperfezione di vario genere: l’Agnello ha versato per loro il suo sangue, e ora li guida “alle fonti delle acque della vita”. La sofferenza non s’è ancora allontanata da essi, ma “Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. Vien da pensare a una parola completamente diversa, e pur così concordante, del Crocifisso al poveretto che soffre vicino a lui il supplizio della croce: “Oggi sarai con me nel paradiso” (Lc 23, 43).
Il brano odierno del vangelo, di Giovanni, ha un messaggio che ridice quanto sentivamo ora: Gesù, buon pastore, dà alle sue pecore la vita eterna e stabilisce con esse una intimità di rapporto che è componente del rapporto stesso che unisce Gesù al Padre. “Non andranno perdute”, perché “nessuno le strapperà dalla mia mano”, così come “nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Si direbbe che Gesù non riesca a trovare sufficienti espressioni per assicurarci di quanto amore egli nutra per noi, attingendo a quella fonte inesauribile che è l’amore del Padre. Appena egli pronuncia le parole “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio suo” (e ha appena dichiarato che è un ‘dare’ innalzando su un palo), rinuncia a qualsiasi precisazione o riserva in propria difesa. E’ in questo quadro di rapporti e motivazioni, indescrivibile, inesauribile, che si colloca la nostra chiamata, si radica il nostro abbandono.
Io e il Padre siamo una cosa sola – Chiediamo al Signore di arrestarci ogni tanto su quei richiami al mistero grande che il discepolo confidente dell’amore di Gesù ci trasmette. Nel cuore stesso del mistero della Trinità riposa quella comunicazione di unità che dà a noi la massima beatitudine, la massima fecondità. Ma chi crederà, o Signore, alla tua parola, al tuo progetto? O Signore, non oso neanche alzare gli occhi a te: ti sento infinitamente perfetto, ma soprattutto infinitamente buono. Sono tanto ingrato, egoista, sciocco, presuntuoso. Per tutto ho sempre una scusa o giustificazione: per quello che mi mi prendo e tu non vorresti, per quello che non ti do e tu lo desidereresti. Ti calcolo al mio livello: come se le mie motivazioni tu le dovessi condividere tutte, tali e quali. Ti ammiro, dico che ti amo, ma tutto sulla mia misura. Il tuo amore è arrivato al punto da volermi far entrare nel circolo dell’amore ineffabile che regna nella tua Famiglia divina e io rinuncio a godermi questa consapevolezza. Vorrei chiederti prima di tutto: Signore, aumenta la mia fede!
Vostro Don Giuseppe GhibertI