Domenica 15-5-2022 – V di Pasqua – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
in questa domenica 15-5-2022 viviamo la giornata conclusiva dei nostri Esercizi Spirituali.
Don Giuseppe, come di consueto, ci guida con autorevolezza alla comprensione delle Letture che la Liturgia ci offre in questa domenica.
La gioia che abbiamo nel cuore nell’ ascoltare e meditare la Parola dì Dio ci porta a cantare la lode del Signore con queste parole attribuite a Davide:
“Misericordioso e pietoso è il Signore, /
Lento all’ira e grande nell’amore. /
Buono è il Signore verso tutti, /
la sua tenerezza si espande su tutte le creature./
Ti lodino, Signore, tutte le tue opere /e ti benedicano i tuoi fedeli. /
Dicano la gloria del Tuo regno /e parlino della tua potenza. /
Per far conoscere agli uomini le tue imprese /
e la splendida gloria del tuo regno. /
Il tuo regno è un regno eterno, /
il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.” (Sal 145/144, 8-9; 10-11; 12-13)
In questo nostro cammino dì fede, con di fronte l’immagine della Santa Sindone, immagine dì morte e dì attesa dì resurrezione, continuiamo a cantare il nostro grazie al Signore.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, uniti nella preghiera per la pace delle armi e nei cuori, vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
V Dom Pasq C – 15. 5. 22
Letture: At 14, 21b-27; Ap 21, 1-5a; Gv 13, 31-33a.34-35
Sta terminando il racconto del primo viaggio missionario riportato dagli Atti degli Apostoli. Paolo e Barnaba iniziano il ritorno facendo una specie di “ripasso” delle comunità che avevano fondato. E’ impressionante come a questi cristiani di fresca data non vengano taciute le difficoltà che li attendono: “dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”. Nelle singole comunità vengono nominati “alcuni anziani” con particolari responsabilità. Per noi, lontani nel tempo e nelle circostanze, viene spontanea l’ipotesi di trovarci di fronte a primi casi di incarichi di “presbiteri” (i “sacerdoti” dei tempi successivi) per l’organizzazione del culto. Vengono ripercorse le tappe del viaggio d’andata, fino all’arrivo alla grande Antiochia, di dove aveva avuto origine quel primo viaggio. Luca, che sta riportando quei fatti, riferisce che nel racconto dei due grandi missionari era evidenziata l’adesione alla fede anche da parte di pagani che hanno accettato la predicazione. Sembra tutto spontaneo, ma presto sorgeranno dispute proprio per questo allargamento a non circoncisi, cioè a pagani. Anche nella Chiesa le cose belle possono far tribolare.
La lettura dell’Apocalisse è presa dalle pagine finali di questo libro misterioso e riporta una visione dell’evento conclusivo della storia, narrato da Giovanni: la comparsa di “un cielo nuovo e una terra nuova”. Scende dal cielo una nuova Gerusalemme, “pronta come una sposa adorna per il suo sposo”. La visione si specifica e quel luogo diventa “la tenda di Dio con gli uomini”: con essi abiterà il “Dio con loro… e non vi sarà più la morte… Ecco io faccio nuove tutte le cose”. E’ una prospettiva non facile da accettare, per l’assenza di punti di riferimento concreti, e occorre indubbiamente abbandonare lo sforzo di inseguire le immagini con la pretesa di individuarne la realizzazione secondo le nostre esperienze. L’essenziale è però comprensibile e consolante: il Dio della salvezza ci concederà l’unione ineffabile con lui, beatificante in modo così perfetto da realizzare la condizione della gioia totale senza ombra di imperfezione alcuna. “Io faccio nuove tutte le cose” è la decisione che proviene dal trono di Dio e noi gli chiediamo di non accogliere queste parole come l’espressione di un sogno, bensì come la sentenza che dà compimento all’opera di salvezza condotta lungo tutto il corso della storia, giunta finalmente a quella soluzione che non teme più disdette o insuccessi.
Il nostro brano del vangelo di Giovanni inquadra la narrazione in un momento tanto triste, per noi che leggiamo nella consapevolezza che per Gesù incombe l’ora della sua passione. Come sempre, le parole di Gesù contengono e coprono un mistero prezioso. Per adesso si ricorda solo un movimento, quello di Giuda che esce dal cenacolo e solo Gesù sa che si allontana per realizzare il suo tradimento. Incomincia la realtà della passione e Gesù afferma che si sta realizzando la gloria sua, di Figlio dell’Uomo, e del Padre. Questa gloria è legata a un evento, che interromperà l’unione di Gesù con i suoi: “dove vado io voi non potete venire”, anche se loro lo cercheranno. In compenso egli lascia loro un comandamento, come parola d’ordine, quello dell’amore fraterno: l’esecuzione di quel comando sarà il segno che “siete miei discepoli”. Sarà Pietro a tentare di prolungare il discorso, informandosi sulla destinazione della marcia di Gesù e lo farà con intenzione sincera (“darò la mia vita per te”), ma Gesù confermerà la sua triste predizione (“non canterà il gallo, prima che tu… non m’abbia rinnegato tre volte”). Ma oggi la preoccupazione della Chiesa è lasciare l’impegno del comandamento nuovo, dell’“amore gli uni per gli altri”.
Un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato – Le ha pronunciate Gesù queste parole; chi sa se in quel momento il tono della voce si alterava un po’… Nel vangelo di Giovanni ogni tanto compaiono parole con questo peso, enorme, schiacciante, beatificante. Iniziato con il Padre: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio” (3,16), continua con il comportamento del Figlio. Vien da domandarci: che cosa ha/hanno visto in noi da volerci tanto bene??? Gesù sta vivendo le conseguenze della decisione del traditore, eppure “non voglio la morte del peccatore, ma che viva”. Purtroppo noi siamo solo capaci di rovinare questo programma d’amore; ma non potremo mai estinguere quella volontà. Magari possiamo essere tanto insensibili da sentire, ripetere (perché siamo credenti!?) queste parole e impostare le nostre decisioni in modo totalmente opposto. Abbiamo un’istintiva tendenza ad applicare il criterio: prima vengo io, poi si vedrà. Eppure il Signore ci ha dato non solo la tendenza dell’egoismo: pensiamo – per fare l’esempio più comune – al comportamento di molte mamme, delle nostre mamme. Anche loro devono combattere contro la tendenza all’egoismo, cioè al riferire a sé il bene e le capacità del figlio. Ma ricordiamo tutti che cosa, quanto, dobbiamo alla capacità che esse hanno avuto di rinunciare a se stesse e di mettere avanti quel figlio o figlia che poi sempre riconoscenti non erano. O Gesù, tanto caro, quel “come” fammelo entrare nella testa, schiacciamelo bene nel cuore!
Vostro Don Giuseppe Ghiberti