Domenica 31-7-2022 – XVIII Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture che ci offre la liturgia di questa domenica 31-7-22 scavano profondamente nel nostro cuore, sono come lame che incidono nella nostra carne.
La prima lettura è tratta dal Qohelet o Ecclesiaste (incluso tra i ‘Libri sapienziali’).
Qohelet non è un nome proprio, ma identifica un ruolo, quello del “predicatore”.
Don Giuseppe ci dice: “un libro misterioso e affascinante degli ultimi tempi dell’Antico Testamento: “Vanità delle vanità: tutto è vanità”.
Qohelet si domanda, similmente a Giobbe, come siano retribuiti sulla terra il bene e il male. Tutto però pare senza senso.
Qohelet, che è credente, è sconcertato dal modo nel quale Dio regge le sorti umane. Dio non deve rendere conto a nessuno e il suo operato appare contradditorio.
Qohelet affronta il tema tremendo del significato della vita e della morte, e tutto pare illusorio. Anche se non comprendiamo l’agire di Dio, pensa Qohelet che è uomo di fede, dobbiamo accettare dalle sue mani le prove come le gioie, dobbiamo osservare i suoi comandamenti e temere Dio.
San Paolo, ci spiega Don Giuseppe, ‘dà una risposta al problema incontrato ora: noi non siamo di “quaggiù” ma di “lassù”, dove si svolge in realtà la nostra vita. La nostra vita non si arresta alla dimensione di “qui” e “ora”.’
Questa è la sfida di chi si pone nella sequela del mistero di Cristo, di chi è in cammino verso Dio. Questo cammino ci porta una indicazione forte per poter capire: “combattere la cupidigia che è idolatria”.
Il Vangelo di Luca è su questa strada e Don Giuseppe sottolinea il messaggio: “la vita dell’uomo non dipende da quel che possiede”.
Il ricco possidente sogna un futuro di effimere felicità, ma, dice Gesù: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita.”
Il Vangelo non ci dice se i beni erano stati acquisiti in modo giusto o ingiusto (la morte colpisce tutti in egual modo), ma il testo ci ricorda che era mal riposta la fiducia nel futuro. Solo Dio è la vera sfida che dobbiamo affrontare nella vita, solo dal suo mistero emergono significati e valori non effimeri.
Il salmo ci invita a ringraziare il Signore, roccia su cui è fondata la nostra salvezza.
“Venite, cantiamo con gioia al Signore, /
acclamiamo alla rocca della nostra salvezza. /
Presentiamoci a lui con lodi, /
Celebriamolo con salmi. /
Venite, adoriamo e inchiniamoci, /
inginocchiamoci davanti al Signore che ci ha fatti. /
Poiché egli è il nostro Dio,
e noi il popolo di cui ha cura, /
e il gregge che la sua mano conduce. /
Oggi, se udite la sua voce, /
non indurite il vostro cuore come a Meriba, /
come nel giorno di Massa nel deserto, /
quando i vostri padri mi tentarono, /
mi misero alla prova, /
sebbene avessero visto le mie opere’.” (Sal 94/95, 1-2, 6-7, 8-9)
Il filo che mi è sembrato di cogliere in queste letture è quello della impossibilità con le sole nostre forze di capire il senso degli accadimenti della vita. Mi torna alla mente una riflessione del filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), attribuita anche a Albert Einstein (1879-1955): “La ricerca della verità è più preziosa del suo possesso.” (vedi nota).
Il fatto di saperci in ricerca è la dimensione che ci rende attenti, consapevoli di poter avere risposte solo parziali.
Non so se questa riflessione possa applicarsi anche al cammino di fede, ma penso che ci aiuti nella comprensione che la fede non è un possesso acquisito. Un possesso che la drammaticità delle vicende umane mette continuamente in discussione.
La fede è un cammino che si fonda sulla consapevolezza che il mistero della vita, il mistero di Dio, non lo possiederemo mai interamente, ma possiamo essere sulla strada giusta per scendere in esso, per avere luce.
Sapendoci in questo cammino di ricerca, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, ci uniamo nella preghiera per la pace.
Contardo Codegone
Nota: la citazione è tratta dal testo di Matteo Serra “Dove va la fisica?” (“Codice Edizioni”, Torino 2022, pag. 149). Il testo, edito nel febbraio di quest’anno 2022, è articolato in undici dialoghi sul presente e sul futuro della ricerca nel campo della fisica ed è di particolare interesse.
XVIII Dom. t. Ord. C – 31. 7. 22
Letture – Qo 1,2; 2,21-23; Col 3, 1-5.9-11; Lc 12, 13-21
C’è una specie di antifona nella prima lettura, tratta dal Qohelet, un libro misterioso e affascinante degli ultimi tempi dell’Antico Testamento: “Vanità delle vanità: tutto è vanità”. La continuazione di questo piccolo libro riprende e sviluppa con passione questo tema. E’ facile trovare esemplificazioni, perché non c’è campo dell’impegno umano che si sottragga a questa legge: tutti gli impegni e le fatiche sostenute non esentano l’uomo da dolori e preoccupazioni; non sono gli sforzi umani che riempiono il cuore. Il salmo 89/90 non si allontana da questo clima: “Tu fai tornare l’uomo in polvere”. E’ solo l’amore del Signore che “sazia”!
In qualche modo San Paolo (nella Lettera ai Colossesi) dà una risposta al problema incontrato ora: noi non siamo di “quaggiù” ma di “lassù”, dove si svolge in realtà la nostra vita. La nostra vita non si arresta alla dimensione di “qui” e “ora”. Come è possibile questo? San Paolo inizia con l’affermazione della trasformazione che è avvenuta in noi quando abbiamo detto sì al mistero di Gesù: siamo morti a “ciò che appartiene alla terra”. L’immagine si evolve, ma è ancora comprensibile: “vi siete svestiti dell’uomo vecchio… avete rivestito il nuovo… a immagine di colui che lo ha creato”.
Questa trasformazione ha prodotto un profondo cambiamento, annullando ogni diversità fra i credenti, perché “Cristo è tutto in tutti”. La redenzione operata da Gesù, accettata attraverso la fede, ha reso i credenti partecipi della vita di Cristo, il “tutto in tutti”; noi siamo ammoniti a essere coerenti alla nostra novità di vita. E intanto ricorderemo l’ammonizione a combattere “la cupidigia, che è idolatria”.
Nel racconto evangelico di Luca, Gesù ha iniziato da poco il suo cammino (psicologicamente e spiritualmente tanto faticoso) verso Gerusalemme e incontra esperienze diverse. Oggi assistiamo a un dialogo con un personaggio che lo prega di prendersi cura del suo problema di divisione dei beni ereditari, ma trova Gesù freddo, perché la vita di un uomo “non dipende da quel che possiede”. A rinforzo giunge la parabola di un uomo ricco, preoccupato di porre al sicuro i beni che la campagna gli ha procurato. Fa grandiosi progetti, per concludere: “anima mia, riposati, mangia, bevi e divertiti”. Ma quella stessa notte la morte pone termine a tutti i suoi sogni di vita spensierata.
Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio
Nessuno obbietta ai ragionamenti di Gesù, eppure è tanto difficile accoglierne il messaggio pieno. Sovente egli ci avverte con un incontro o un racconto (la benedizione di quelle meravigliose parabole!), che preparano il terreno a un insegnamento molto conciso, affidato alla nostra riflessione e buona volontà. E’ impressionante che Gesù personalmente non rifiuta i beni correnti del suo ambiente, ma intanto ha voluto far precedere alla sua predicazione un periodo di digiuno durissimo. E poi la preghiera, frequente anche nella forma isolata, è accompagnata per lo più da una pratica di vita molto austera. Qualcuno gli obietta di esser troppo amico di mangioni e beoni, ma non di essere lui un personaggio godereccio. Mi pare che sia limpido il suo comportamento: egli vive come gli altri, ma non ha le preoccupazioni degli altri. La libertà di Gesù mi pare quella di un uomo che non esorcizza il mondo in cui vive, ma non persegue nessuno dei suo interessi. Per questo può guardare oltre, con totale serenità. Egli è uomo vero, ha un corpo e lo gestisce nella maniera più austera e più amabile, usandolo come ponte di tutte le dimostrazioni del suo amore sovrano.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti