Domenica 7-8-2022 – XIX Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
il filo rosso delle letture di questa domenica 7-8-2022 mi sembra essere quello dell’attesa, della fede e del mistero.
Il libro della Sapienza, il più recente dei libri dell’Antico Testamento (non accolto nella Bibbia ebraica), fu scritto in greco e il suo autore esorta alla ricerca della sapienza. Egli fa riferimento alle dottrine platoniche sulla distinzione tra l’anima e il corpo e sulla immortalità dell’anima e vede nella presenza presso Dio, dopo la morte, la ricompensa per la sapienza.
Ciò che succede in questo mondo è dunque una preparazione per l’altra vita dove i giusti vivranno presso Dio e gli empi verranno puniti. Come richiama Don Giuseppe, dunque, il popolo ebraico “era in attesa della salvezza dei giusti…” .
Nella Lettera agli Ebrei, ci ricorda Don Giuseppe, ci viene proposta una lunga riflessione sulla fede definita “fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. A supporto di questa definizione il testo riporta gli esempi di fede che ci hanno lasciato i Patriarchi del popolo ebraico. Da Abramo, infatti, nacque una discendenza numerosa che dichiarava di essere composta di “stranieri e pellegrini sopra la terra. Chi dice così, infatti, dimostra di essere alla ricerca di una patria.” Questa fede, dice Don Giuseppe, si fonda su “una fiducia eroica e quasi assurda, nella convinzione che ‘Dio è capace di fare risorgere anche dai morti’.”
Il Vangelo di Luca contiene esempi pratici, sottolinea Don Giuseppe, “che si direbbero evidenziati a dimostrazione dell’insegnamento udito poco fa sulla fede.” Don Giuseppe conclude la sua riflessione con lo sguardo rivolto a Maria: “…quanta fecondità e gioia misteriosa nei ‘sì’ che diceva di fronte al buio di ogni manifestazione della volontà del Dio misterioso.” Don Giuseppe mette in evidenza il “mistero” presente nella gioia di Maria e nel manifestarsi della volontà del Dio “misterioso”.
Il Salmo ricorda che “l’anima nostra attende il Signore”, lo attende talora nel buio. Questa attesa ha lo sguardo rivolto all’infinito al di là della nostra vita presente, a Dio e al suo mistero.
“Esultate, o giusti, nel Signore; /
per gli uomini retti è bella la lode. /
Beata la nazione che ha il Signore come Dio, /
il popolo che egli ha scelto come sua eredità. /
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, /
su chi spera nel suo amore, /
per liberarlo dalla morte /
e nutrirlo in tempo di fame. /
L’anima nostra attende il Signore: /
egli è nostro aiuto e nostro scudo. /
Su di noi sia il tuo amore, Signore, /
come da te noi speriamo.” (Sal 33/32, 1-12; 18-19; 20-22)
Il grande letterato Pietro Citati (20/2/1930 – 27/7/2022), mancato pochi giorni fa a 92 anni, tra le tante opere scritte, ci ha lasciato anche il libro intitolato “La malattia dell’infinito” (vedi Nota). L’infinito, letto attraverso l’opera di tanti importanti scrittori che hanno segnato la nostra vita, si presenta in due dimensioni contrapposte una positiva e una negativa.
La prima esprime l’attesa di un infinito di giustizia, di conclusione positiva di un’attesa che permette di conseguire la pienezza della vita, di incontro con Dio. Quella negativa vede l’infinito come tenebra che ci circonda, come nemico dell’uomo.
Il nostro cammino di fede vive la gioia dell’attesa e insieme il mistero che circonda la nostra vita. Ripetiamo con il salmista: “L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo.” L’anima nostra è in attesa, anela al suo Signore e, insieme, sente la presenza del mistero che è ricchezza, ma anche angoscia.
Uniti nella preghiera perché il Signore rafforzi la nostra fede, insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Nota: Il libro di Pietro Citati si intitola “La malattia dell’infinito – La letteratura del Novecento”, Editore Mondadori, 2008, pagg.541. Pietro Citati si dichiarò credente.
Tantissimi testi trattano il tema dell’infinito. Ricordo quello recente del matematico vivente Piergiorgio Odifreddi dal titolo “Ritratti dell’infinito – Dodici primi piani e tre foto di gruppo” (Editore Rizzoli, dicembre 2020, pagg. 330). Odifreddi afferma sulla copertina: “Non c’è un solo infinito, al singolare, ma ci sono molti infiniti, al plurale…”. Piergiorgio Odifreddi si dichiara non credente ed ha avuto uno scambio epistolare intenso con Benedetto XVI.
XIX Dom. t. Ord. C –7. 8. 22
Letture – Sap 18, 6-9; Eb 11, 1-2.8-19; Lc 12, 32-48
Il libro della Sapienza, composto in lingua greca (e non ebraica) nella fase tardiva del grande complesso dell’Antico Testamento, sta ripassando importanti ricordi dell’eroica vicenda dell’uscita degli ebrei dall’Egitto. Il popolo ebraico “era in attesa della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici”. Dio punì gli avversari e glorificò il suo popolo, portando a compimento le promesse fatte ai padri. Dio è fedele!
Dalla Lettera agli Ebrei, che volge al termine, ci viene proposta la lunga riflessione sulla fede, definita “fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede”. Segue subito una specie di dimostrazione di quella definizione, partendo dagli esempi di fede che ci hanno lasciato i patriarchi del popolo ebraico. Viene visitato in particolare l’esempio di Abramo, “un uomo… già segnato dalla morte” eppure iniziatore di una discendenza prodigiosa (da Isacco in poi). Il suo esempio fu seguito da quella discendenza, protesa tutta “alla ricerca di una patria” migliore di quella da cui essi provenivano, con una fiducia eroica e quasi assurda, nella convinzione che “Dio è capace di fare risorgere anche dai morti”. Il colmo fu raggiunto proprio da Abramo, che “offrì il suo unigenito figlio”, quello che per promessa di Dio stesso doveva garantirgli la discendenza. Ma lui credeva che “Dio è capace di far risorgere anche dai morti”.
Il brano del vangelo di Luca contiene esempi pratici, che si direbbero evidenziati a dimostrazione dell’insegnamento udito poco fa sulla fede. Ciò che conta è quel che possediamo non in questa vita ma là dove i nostri tesori non corrono più alcun rischio, né di invecchiare né di essere rubati. E’ necessario che coltiviamo un senso coerente e coraggioso sul rapporto che corre tra presente e futuro. Chi vive in atteggiamento di costante attesa del Figlio dell’Uomo, cioè di Gesù, quando questi arriverà, “nell’ora in cui non immaginate”, sarà lui stesso a “farli mettere a tavola e passare a servirli”. A questo punto – dice Luca – Pietro interrompe Gesù per sapere chi sono i destinatari di “questa parabola”. La risposta di Gesù sembra evasiva, ma in realtà vuole ricordare che tutti dovranno rispondere per la loro parte di responsabilità, e le conseguenze saranno diverse: per chi si fa trovare preparato o per chi avrà “agito secondo la sua volontà”. Personalmente mi colma di timore la parola finale: “a chiunque fu dato molto, molto sarà richiesto”, perché mi pare proprio di appartenere a questa categoria.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli… li farà mettere a tavola e passerà a servirli. Il tema di Dio fedele ci ha seguiti in tutte le letture. Ma c’è modo e modo di dimostrare questa fedeltà: Dio la dimostra al massimo grado. Però non è un fatto che interviene a sprazzi, perché come il suo amore per noi è sempre all’opera, così non tollera che il nostro appaia come isolotti sparsi nell’ampio mare. Chi sa come chiamerebbe lui il suo amore: forse direbbe che non è per niente episodico, ma costante, presente soprattutto quando altri legami mostrano la loro debolezza e stanno per rompersi. Provate a far lavorare la fantasia e a seguire il pensiero che sottosta alle immagini. Gesù fa pensare di essere assente quando noi dobbiamo lavorare. Però sta esercitando un’attenzione vigile e all’improvviso si fa presente. Non diciamo: ha aspettato che fossimo disattenti per prenderci in fallo, perché lui vuole solo trovarci desiderosi della sua presenza e le sue assenze non sono che delle finte. E’ l’amico che si nasconde per essere cercato, per provocarci a esplicitare la nostra attenzione, la nostra scelta preferenziale. Quando dico o penso queste cose, devo sempre pensare a Maria. Mi è subito evidente che lei non ha avuto vita facile per capire bene e accettare subito le scelte di Gesù, immaginate in tante sue mosse misteriose. Ma quanta fecondità e gioia misteriosa nei sì che diceva di fronte al buio di ogni manifestazione della volontà del Dio misterioso.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti