Domenica 25-9-2022 – XXVI Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture di questa domenica 25-9-22 ci portano a riflettere sulla parola di Dio in relazione alla contrapposizione della ricchezza e della povertà.
Questo tema è visto in se stesso come situazione iniqua se la ricchezza è acquisita ingiustamente, se porta a disinteressarci degli altri, se ci chiude in un presente di superba autosufficienza. E’ allora che la parola di Dio si alza forte. Dio si presenta come colui che capovolge le situazioni.
Se ne fa interprete anche il Magnificat di Maria: “Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52-53).
Don Giuseppe ci evidenzia subito come: “Nel profeta anticotestamentario (Amos) è descritto l’atteggiamento degli “spensierati di Sion”, che si concedono tutto ma “della rovina di Giuseppe non si preoccupano”. Il profeta però li vede già andare “in esilio in testa ai deportati”.” Amos è vissuto nell’ottavo secolo a.C., sotto il re Geroboamo II (783-743 a.C.). Fu un momento storico di espansione del regno e di ricchezza ostentata da parte dei grandi a fronte della miseria del popolo.
Amos anticipa che la condanna di Dio capovolgerà i destini degli uomini anche perché l’elezione di Israele obbliga a una più grande giustizia morale.
Nel brano evangelico proposto, Luca, sottolinea Don Giuseppe: “contrappone le due situazioni del riccone (noi lo chiamiamo “Epulone”), in vita e in morte, e del poveraccio Lazzaro: il primo può concedersi tutto quello che vuole mentre è in vita, mentre il secondo è meno di uno straccio che imbroglia, buttato per terra. Ma la vita finisce per ambedue e le condizioni di cui godono nella vita successiva sono il capovolgimento della vita terrestre…”
Nella prima lettera a Timoteo l’apostolo Paolo con vigore “ordina di conservare … in modo irreprensibile il comandamento” (1 Tm 6, 14). Don Giuseppe ci spiega: “cioè l’impegno di testimonianza della vita intera. Si tratta di combattere la buona battaglia della fede, fino al “tempo stabilito”, vivendo nel mistero, destinato a sbocciare nella visione beata, eterna.”
La Parola di Dio ci indica la strada cioè l’impegno di testimonianza nel cammino difficile e faticoso della fede.
Ma la Parola di Dio oggi ci invita anche a una riflessione sul tema punizione/remunerazione dei nostri comportamenti. Dalle parole di Amos emerge la punizione di Dio realizzata direttamente nella storia come conseguenza della colpa. Nella narrazione di Luca la punizione si colloca invece nell’al di là, oltre il tempo. Come interpretare, dunque, la presenza del male nella nostra vita, nella storia.
Don Giuseppe ci dice che dobbiamo combattere la buona battaglie della fede “vivendo il mistero”. E’ dunque nel presente che viviamo l’essere con Dio, nella consapevolezza che la “povertà” è essere con Cristo. La sfida è alta, è radicale, è vissuta nel nostro presente, nel tempo di Dio.
Essere in Cristo è la pienezza, essere lontani da lui è il vuoto, la tenebra. Questo è ciò che chiamiamo remunerazione/punizione.
Di nuovo i mistici ci precedono, aiutandoci a cogliere e vivere il mistero.
Gli ultimi cinque Salmi del Salterio rappresentano quella che è definita la “terza lode”. Qui troviamo le dieci azioni di Dio in difesa dei poveri, come dieci furono le parole della creazione (Gen 1), dieci le parole dell’alleanza con Israele (Es 20,1-17). Ora, nell’Eucaristia la Parola di Dio si fa carne, nell’Eucaristia accogliamo il mistero del Vangelo annunciato ai poveri (Lc 4,18; Lc 7,22).
Essere “poveri” nell’abbandono a Dio è la “remunerazione”, non è la comprensione del mistero, ma sentirsene parte.
Il salmo dunque che reciteremo è l’inno al Dio che soccorre, che è fedele, che rende giustizia, è l’inno al Signore che regna per sempre. Signore al quale vogliamo affidare la nostra vita, al quale affidiamo i nostri cari e l’intera storia ove il male sarà sconfitto.
“Il Signore rimane fedele per sempre /
rende giustizia agli oppressi, /
dà il pane agli affamati. /
Il Signore libera i prigionieri. /
Il Signore ridona la vista ai ciechi, /
il Signore rialza chi è caduto, /
il Signore ama i giusti, /
il Signore protegge i forestieri. /
Egli sostiene l’orfano e la vedova, /
ma sconvolge le vie dei malvagi. /
Il Signore regna per sempre, /
il tuo Dio, o Sìon, di generazione in generazione. (Sal 146/145, 7; 8-9a; 9bc-10)
Preghiamo il Salmo in silenzio, chiudendo questa giornata, e ripetiamo “Il Signore rimane fedele, regna per sempre”. E’ solo in questo abbandono che noi possiamo accogliere il mistero ed essere nel mistero accolti per la nostra “povertà” ove il Signore ci libera, ci ama, ci protegge.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, nel silenzio della preghiera, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
XXVI Dom. t. Ord. C –25. 9. 22
Letture: Am 6, 1a.4-7; 1 Tm 6, 11-16; Lc 16, 19-31
Tra la prima e la terza lettura c‘è un discreto rimando tematico: dal profeta Amos vengono descritti gli spensierati di Sion, che si trattano con tutti i comodi e lussi, mentre il vangelo riporta la parabola del cosiddetto “ricco epulone”, spensierato anche lui al massimo grado. In ambedue i casi la condizione iniziale dei protagonisti è di crasso edonismo (possono concedersi tutto quello che vogliono), ma essa si capovolge nel corso del racconto.
Nel profeta anticotestamentario (Amos) è descritto l’atteggiamento degli “spensierati di Sion”, che si concedono tutto ma “della rovina di Giuseppe non si preoccupano”. Il profeta però li vede già andare “in esilio in testa ai deportati”.
Il notissimo brano evangelico di Luca, molto più tardi,contrappone le due situazioni del riccone (noi lo chiamiamo “Epulone”), in vita e in morte, e del poveraccio Lazzaro: il primo può concedersi tutto quello che vuole mentre è in vita, mentre il secondo è meno di uno straccio che imbroglia, buttato per terra. Ma la vita finisce per ambedue e le condizioni di cui godono nella vita successiva sono il capovolgimento della vita terrestre: dal seno di Abramo (per noi vorrebbe dire “paradiso”) per Lazzaro, agli “inferi fra i tormenti” per il riccone che non aveva pietà. Comincia qui la trattativa del riccone, dagli inferi: guardando in su, intesse un dialogo con Abramo, in paradiso, per ottenere per sé e poi almeno per i fratelli favori dall’aldilà. Ma Abramo non demorde: per orientarsi nella vita devono bastare “Mosè e i profeti”; altrimenti non sarebbe sufficiente nemmeno che “uno risorgesse dai morti”.
La seconda lettura, dalla prima lettera di San Paolo a Timoteo, ha un altro tono, ma registra comunque richieste molto impegnative per il discepolo Timoteo, nella prospettiva che egli ne abbia bisogno per completare “la tua bella professione di fede” iniziata da tempo. Siccome la vita è una scelta e testimonianza continua (a cominciare da quella di Gesù davanti a Ponzio Pilato), si capisce la forte raccomandazione (“ti ordino”) di “Paolo” al suo discepolo: di “conservare… in modo irreprensibile il comandamento”, cioè l’impegno di testimonianza della vita intera. Si tratta di combattere la buona battaglia della fede, fino al “tempo stabilito”, vivendo nel mistero, destinato a sbocciare nella visione beata, eterna.
Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti
Adesso occorrerebbe cambiare un po’ la formulazione: se non ascoltano Gesù e i vangeli… Ma avremmo sempre lo stesso messaggio: non è quel che vorremmo sentire noi ma quel che vuol dirci il Signore che conta; le strade per farci giungere i suoi messaggi non gli mancano. Il mondo però è pieno di gente che è sempre convinta di fare bene. Proprio in questi tempi sentiamo quanto si pretenda di giustificare la guerra più cattiva e falsa. Eppure anche alti personaggi della religione di Cristo Signore l’approvano e benedicono. E’ un gioco trovare sempre le coperture, che fanno diventare bianco ciò che è nero. Tutto ciò che si fa udire attorno a noi lo filtriamo sempre sulla base di ciò che vogliamo, e in ultima analisi di ciò che siamo. Per questo la pedagogia e la pietà cristiana insistono sempre sulle radici dei nostri interessi, i nostri sentimenti e desideri. Mi sembra che sia molto eloquente l’esempio di Maria, soprattutto durante la vita pubblica di Gesù, quando lei sapeva bene dove finivano le cose ed ebbe la forza di dire il sì continuo, il più tribolato.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti