Domenica 6-11-2022 – XXXII Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture di questa domenica 6-11-2022 presentano come filo conduttore la vita oltre la morte e la resurrezione.
Il primo brano è tratto dal secondo libro dei Maccabei. Questi due libri non rientrano nel canone scritturistico dei giudei. Essi sono rilevanti sotto il profilo storico, per l’amore per le tradizioni di Israele che esprimono e, in particolare, il secondo libro è importante per le affermazioni circa la resurrezione dei morti, le pene dell’al di là, le preghiere per i defunti e i meriti dei martiri.
Questi insegnamenti giustificano l’autorità che la Chiesa ha voluto riconoscere a questi scritti.
La narrazione del primo libro abbraccia una quarantina di anni dall’appello di Mattatia per la guerra contro l’ellenismo conquistatore, guerra poi proseguita dai tre figli Giuda Maccabeo, Gionata e Simone. Il periodo considerato va, dunque, dall’avvento del re ellenista Antioco IV Epifane nel 175 a.C. fino alla morte di Simone Maccabeo nel 134 a.C. e all’acquisizione dell’autonomia politica dei giudei in un’epoca di relativa pace e di alleanza con i romani.
Le disgrazie del popolo di Israele sono attribuite alla punizione di Dio così come le vittorie sono dovute all’assistenza di Dio.
L’autore del secondo libro, da cui è tratto il brano di oggi, copre un arco di circa 15 anni, fermandosi in epoca anteriore al termine del primo libro, e si propone di edificare e insegnare attraverso la narrazione dei fatti di guerra. L’intervento di Dio, infatti, sostiene il popolo e i combattenti. La stessa persecuzione è vista come un’azione di Dio che corregge il suo popolo.
Il libro sembra indirizzato alla grande comunità giudaica di Alessandria per renderla partecipe di queste vicende. Come abbiamo detto, importanti sono le affermazioni contenute in questo secondo libro circa la vita oltre la morte.
Don Giuseppe ci ricorda che: ‘La fede nella risurrezione appare così ormai presente e operante almeno in una parte della religiosità ebraica (i sadducei invece non la recepirono) e ottiene una testimonianza eroica: “E’ preferibile morire… quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati”.’
Per la seconda lettura Don Giuseppe ci dice che “Nella seconda Lettera ai Tessalonicesi ‘Paolo’ si congratula con i suoi cristiani per le loro buone disposizioni e il loro impegno di fedeltà.” Paolo esprime il suo ringraziamento a Dio per la fedeltà e santità dei suoi Tessalonicesi alla cui preghiera egli stesso si affida. Paolo ricorda che il Signore è fedele e guida i cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.
Luca, ci ricorda Don Giuseppe “nella parte finale del suo vangelo riporta alcune discussioni intercorse tra Gesù e le varie correnti del giudaismo del suo tempo. Grande argomento di diatriba è il tema della sorte dell’uomo dopo la morte.” Gesù, come i farisei, era assertore della continuazione della vita umana dopo la morte al contrario dei sadducei. Questi ultimi interrogano Gesù in merito a questo tema presentando l’esempio della donna andata sposa a sette fratelli.
Con il numero sette, che indica la totalità, vi è un richiamo alla prima lettura. La stessa prima lettura, tratta dai Maccabei, fa riferimento alla madre di sette figli, triste e sconsolata per l’infedeltà del popolo, descritta dal profeta Geremia (Ger 15,9). Abbiamo quindi un confronto tra due donne che rappresentano Gerusalemme, una che rappresenta l’infedeltà all’alleanza (Geremia) e l’altra (la madre dei Maccabei) che mostra, invece, la fedeltà di tutto il popolo. La fedeltà di Israele nella prova attende da Dio una risposta che viene identificata nella resurrezione personale.
Don Giuseppe, con le parole di Gesù, ci spiega: ‘nella risurrezione non si prende né moglie né marito” e anche: ‘Mosè stesso aveva chiamato il Signore “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Si trattava di persone che erano morte, tutte, eppure Mosè le considerava vive. E questo perché riconosceva “Dio non dei morti ma dei viventi”.’
Don Giuseppe, concludendo, afferma: “Gesù sembra dire: quello che Dio fa lo fa adesso; se chiama amici quelle persone, è perché lo sono adesso, continuano a esserlo nell’adesso di Dio. Dio non si lascia vincere dalla morte.”
Il Salmo è espressione della preghiera di un uomo onesto che chiede la protezione di Dio.
RIT: Ci sazieremo, Signore, contemplando il tuo volto.
Ascolta, Signore, la mia giusta causa, /
sii attento al mio grido. /
Porgi l’orecchio alla mia preghiera: /
sulle mie labbra non c’è inganno. /
Tieni saldi i miei passi sulle tue vie /
e i miei piedi non vacilleranno. /
Io t’invoco poiché tu mi rispondi, o Dio; /
tendi a me l’orecchio, ascolta le mie parole. /
Custodiscimi come pupilla degli occhi, /
all’ombra delle tue ali nascondimi, /
io nella giustizia contemplerò il tuo volto, /
al risveglio mi sazierò della tua immagine. (Salmo 17/16)
Come sentiamo nostre le parole del Salmo: “nella giustizia contemplerò il tuo volto, / al risveglio mi sazierò della tua immagine.” Il nostro amore per il volto del Signore diventa qui preghiera che ci permette, nel mistero, di sentirci pupilla degli occhi di Dio nel quale ci specchiamo e siamo raccolti.
Con Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio ci uniamo nella preghiera e nella supplica per la pace.
Contardo Codegone
Nota: Ho iniziato a riflettere e scrivere queste mie povere parole il 2 novembre, commemorazione dei defunti, e vi ricordo che martedì prossimo 8 novembre alle ore 18,00 (presso la Chiesa del S. Sudario) Don Giuseppe celebrerà la S. Messa in ricordo di tutti i nostri cari.
Nel cuore mi suona limpido il Salmo tante volte pregato con la mia mamma e il mio papà che vi mettevano tutta la loro fede: “De profundis clamavi ad te, Dòmine; / Dòmine, exaudi vocem meam …”(Salmo 130/129)
XXXII domenica t. o. C – 6. 11. 22
Letture: 2 Mac 7, 1-2.9-14; 2 Ts 2, 16 – 3,5 ; Lc 20, 27-38
Dal secondo Libro dei Maccabei leggiamo alcuni episodi della resistenza coraggiosa di molti ebrei contro la persecuzione del dominatore Antioco IV, intollerante contro le leggi religiose ebraiche. Tra i punti meno tollerati c’era l’osservanza delle leggi sui cibi, perché gli ebrei osservanti rifiutavano i cibi proibiti dalla legge, come le carni suine. Si verificarono casi di vera persecuzione, per ottenere l’accettazione di questa disposizione e famoso fu quello qui raccontato di una famigliola, dove una mamma con i suoi sette figli riuscì a resistere all’imposizione violenta e a incoraggiare i figli, che furono tutti uccisi per la loro fedeltà alla legge mosaica. Al momento del supplizio ognuno dichiarò la sua fiducia di riacquistare nella risurrezione quanto stava perdendo adesso. La fede nella risurrezione appare così ormai presente e operante almeno in una parte della religiosità ebraica (i sadducei invece non la recepirono) e ottiene una testimonianza eroica: “E’ preferibile morire… quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati”.
Nella seconda Lettera ai Tessalonicesi ‘Paolo’ si congratula con i suoi cristiani per le loro buone disposizioni e il loro impegno di fedeltà. Ne dà una motivazione che fa pensare: “La fede non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno”. L’apostolo ha rapporti fiduciosi con i suoi fedeli e conclude riassumendo con un prezioso augurio: “Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo”. Lo slancio del primo fervore sembra correr rischio di attutirsi, ma Paolo ha buona speranza che non venga meno la costanza della lotta per il bene.
Luca nella parte finale del suo vangelo riporta alcune discussioni intercorse tra Gesù e le varie correnti del giudaismo del suo tempo. Grande argomento di diatriba è il tema della sorte dell’uomo dopo la morte. Gesù è conosciuto come assertore convintissimo della posizione farisaica sulla continuazione della vicenda umana dopo la morte di ogni uomo. I sadducei hanno elaborato argomenti particolarmente efficaci per negarla, soprattutto nelle discussioni con il popolo. Pensavano che l’esempio della donna andata sposa a sette fratelli, uno dopo l’altro, in una famiglia che resta senza figli nonostante tutti quei matrimoni, sia convincente per concludere che dopo morte è tutto finito e non c’è alcuna sopravvivenza. Gesù ha una doppia risposta: nella risurrezione non si prende né moglie né marito, anche se non si può più morire, perché “sono uguali agli angeli” e, in quanto uguali agli angeli, “figli della risurrezione… figli di Dio”. Ma intanto già per l’ebreo comune c’è un segno significativo, indiscutibile per tutti gli ebrei: Mosè stesso aveva chiamato il Signore “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Si trattava di persone che erano morte, tutte, eppure Mosè le considerava vive. E questo perché riconosceva “Dio non dei morti ma dei viventi”.
Dio non è dei morti ma dei viventi: perché tutti vivono per lui…
E’ commovente questo richiamo che Gesù fa alla fede che si esprime nel parlare comune del credente. Gesù sembra dire: quello che Dio fa lo fa adesso; se chiama amici quelle persone, è perché lo sono adesso, continuano a esserlo nell’adesso di Dio. Dio non si lascia vincere dalla morte. Certo Gesù non poteva ancora fare riferimento alla propria risurrezione, che non era ancora avvenuta, ma per noi, adesso, questo riferimento è il più spontaneo. Ciononostante vogliamo apprezzare il modo di ragionare di Gesù, per il quale questa certezza inizia a essere vera non da adesso.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti
Trovate tutte le omelie di don Giuseppe al seguente link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/il-settimanale-di-don-giuseppe/