Domenica 2-7-23 – XIII Tempo Ordinario A -Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
Le letture di questa domenica 2-7-23 richiamano i temi dell’ospitalità e della fedeltà.
Sono stato da Don Giuseppe questa settimana. Abbiamo ripercorso insieme alcuni momenti passati della vita dell’Amcor e guardato anche avanti affidandoci al Signore. Prima di congedarmi ho chiesto e ricevuto la sua benedizione per me e per tutti voi. Ve la trasmetto con un po’ di commozione.
La prima lettura è tratta dal secondo libro dei Re. Nella Bibbia ebraica questi due libri sono considerati come un testo unico.
Il primo libro descrive la morte di Davide, di Salomone e la divisione del regno di Israele da quello di Giuda. E’ descritto anche il ministero del profeta Elia. Una possibile datazione di questi fatti può essere posta tra il 970 e l’850 a.C. La morte di Salomone è posta nel 931 a.C.
Il secondo libro narra le vicende dei profeti Eliseo e Isaia e di vari re di Israele e di Giuda. In generale su tutti i re di Israele sono espressi giudizi negativi. Eccezioni significative sono quelle del re Ezechia (morto intorno al 687 a.C. dopo quasi trent’anni di regno) e del re Giosia morto nel 609 a.C. a seguito di ferite riportate in battaglia contro gli egiziani sotto la fortezza di Meghiddo.
E’ questo un periodo storico particolarmente tragico per quelle terre infatti nel 721 a.C. Samaria cade sotto l’esercito assiro. Gli assiri sono poi sconfitti dai Caldei. Nel 587 a.C. si ha la seconda conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor e la distruzione del tempio.
Il brano della prima lettura di oggi tratta di un miracolo del profeta Eliseo (il suo nome in ebraico significa ‘Dio aiuta’). Eliseo, ci ricorda Don Giuseppe, è stato il discepolo più importante del profeta Elia, lo ha visto salire al cielo sul carro di fuoco e ne ha conservato il mantello.
La parola di Eliseo porta un figlio a una donna straniera, sterile e che lo ospitava quando passava dalla cittadina di Sùnem. Molti sono nella Bibbia gli atti prodigiosi che hanno per oggetto figli ottenuti in circostanze altrimenti impossibili. L’accoglienza, la benedizione del Signore, sono momenti forti dell’esperienza di Dio che segnano le nostre vite.
San Paolo nella seconda lettura ci ricorda come la morte dell’uomo non è l’annientamento nel nulla.
Il Vangelo di Matteo ci porta la conclusione del discorso missionario di Gesù. Ci dice Don Giuseppe: “Siamo veramente al cuore della missione: il Padre manda il Figlio, Gesù, e lui manda i suoi discepoli; questi, perché mandati da Gesù, sono mandati dal Padre, che considera la loro missione come la missione stessa di Gesù.”
In questo quadro così ricco possono trovare senso le parole del Vangelo “Chi ama padre o madre più di me non è degno di me…”. Vi è una missione che esige una forza, una passione, analoga a quella della famiglia. Già Genesi diceva “lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna” (Gen 2,24).
Il Salmo di questa domenica è un inno articolato e complesso. La liturgia di oggi ci propone il preludio e la conclusione dell’inno al creatore. Il binomio ‘amore e fedeltà’ ed anche ‘grazia e fedeltà’ sono i motivi fondamentali del Salmo.
Rit. Canterò per sempre l’amore del Signore.
Canterò in eterno l’amore del Signore,
di generazione in generazione
farò conoscere con la mia bocca la tua fedeltà,
perché ho detto: «È un amore edificato per sempre;
nel cielo rendi stabile la tua fedeltà».
Beato il popolo che ti sa acclamare:
camminerà, Signore, alla luce del tuo volto;
esulta tutto il giorno nel tuo nome,
si esalta nella tua giustizia.
Perché tu sei lo splendore della sua forza
e con il tuo favore innalzi la nostra fronte.
Perché del Signore è il nostro scudo,
il nostro re, del Santo d’Israele. (Sal 89/88,2-3;16-17;18-19)
In tanti momenti della nostra vita è difficile alzare la testa e dire: “Canterò per sempre l’amore del Signore”. Eppure dobbiamo tendere a questo canto perché la benedizione del Signore è il dono che ci fa vivere l’esperienza di Dio in noi e di noi in Dio che è esperienza di amore e di gioia.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, sentendoci uniti nella preghiera, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
2 – 7 – 2023: XIII dom. A
Letture: 2 Re 4, 8-11.14-16a; Rm 6, 3-4.8-11; Mt 10, 37-42 – La contemplazione diretta della vicenda di Gesù ci è ancora offerta dal vangelo, che ci presenta la conclusione del “discorso missionario” di Gesù (di cui leggevamo già la settimana scorsa). Anche la seconda lettura procede ancora nella grande Lettera di Paolo ai Romani, mentre la lettura anticotestamentaria attinge ai ricordi del profeta Eliseo e dei suoi miracoli.
Qualche insegnamento dalle letture: il discepolo più importante del profeta Elia fu Eliseo, che gli successe anche per grandi poteri taumaturgici. Oggi è narrato il miracolo del dono della fecondità ottenuto dal profeta per una donna che era stata generosa verso di lui, ma dal suo matrimonio con l’anziano marito non aveva ottenuto figli. Il profeta gliene promette uno; il racconto oggi si arresta a questo punto, ma il suo seguito farà vedere la realizzazione della promessa. L’amico di Dio ha un grande potere di intercessione presso il trono della grazia.
Scrivendo ai cristiani di Roma, San Paolo espone i frutti che accompagnano la fede dei credenti in Cristo. L’adesione della fede in Lui porta liberazione dal peccato, come sentivamo domenica scorsa, e porta la liberazione dalla morte: come recita il messaggio di oggi. L’adesione di fede ha avuto una prima efficacia nel farci partecipi della vicenda di Gesù, morto e “risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”. Per questa partecipazione dobbiamo considerarci “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. Gustiamoci il semplice modo che esprime il passaggio: “così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Paolo ne era convinto e ne parlava a cristiani della prima ora, tentati in tutti i modi di abbandonare la novità di quella ‘pazza’ fede.
Non meno pazzo sembra il ragionamento di Gesù in questo finale di discorso. Lo vediamo subito.
Mandati dal Padre come Gesù: dal modo come Gesù termina il suo discorso ai discepoli che manda in “avanscoperta” o primo assaggio di quella che sarà la modalità concreta della missione cristiana (quella primitiva ma anche – in prospettiva – quella dei secoli della vita della Chiesa), si direbbe che ai “missionari” debba accadere di tutto un po’, con difficoltà in casa e fuori casa, di fronte a pochi e a molti. Effettivamente già gli Atti degli Apostoli descrivono una difficoltà continua incontrata dall’opera di evangelizzazione. Qualche confidenza nelle Lettere di Paolo rincara la dose, nel riassumere la sua esperienza apostolica, tanto tribolata: “molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte… i quaranta colpi meno uno, tre volte battuto con le verghe… una volta lapidato… percoli di fiumi, pericoli di briganti… da parte di falsi fratelli…” (2 Co 11, 21-27).
Ma ha un senso tutto questo, soprattutto in un continuo discorso di ‘salvezza’?
Forse possiamo partire dalla frase centrale del nostro brano: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”, e un po’ sopra era detto: “Chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me”. Siamo veramente al cuore della missione: il Padre manda il Figlio, Gesù, e lui manda i suoi discepoli; questi, perché mandati da Gesù, sono mandati dal Padre, che considera la loro missione come la missione stessa di Gesù. Quanto è consolante questo fatto, e quanto è grande la dignità di ognuno di noi, suoi inviati. Dobbiamo però avere molto chiara la legge della identificazione. Con un po’ di esagerazione possiamo dire: mandati dal Padre come Gesù e dunque invitati a percorrere il suo stesso cammino – che è il cammino della croce! Per questo Gesù dice: “chi non prende la propria croce…”.
Il ragionamento corre, ma il discepolo che ne porta le conseguenze sente paura e tremore. Per questo Gesù aggiunge: “Chi avrà perduto al propria vita per causa mia, la troverà”. E’ il mistero di Gesù crocifisso e risorto che ci avvolge nella sua pienezza; ed è il momento in cui si arrestano le parole. Una conferma che mi pare veramente convincente è l’esperienza dei santi: erano deboli come noi, la croce li spaventava come spaventava Gesù, ma avevano imparato a fidarsi. D’altra parte anche Lui, il Signore, si è fidato – di noi, suoi inviati!
O Signore, fratello amabilissimo, come tu non ti sei spaventato di me, concedimi di non spaventarmi di Te. Ma anche concedimi di non spaventarmi di me, che non guardi troppo me, ma solo te!
Propongo un paragone eloquente, tratto da Soloviev:
“Il carbone e il cristallo sono in partenza la stessa cosa. Perché il carbone è brutto e il cristallo è bello? Perché il carbone fissa tutta la sua attenzione su stesso, mentre nel cristallo si vede il sole e tutta la luce: attraverso di esso si vede qualche altra cosa, che è superiore, e questo lo fa bello”.
Vostro don Giuseppe Ghiberti
Trovate tutte le omelie di don Giuseppe al seguente link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/il-settimanale-di-don-giuseppe/