Domenica 16-7-23 – XV Tempo Ordinario A -Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture di questa domenica 16-7-2023 hanno come filo conduttore il tema evangelico (Matteo) “del seminatore e del seme” che nella prima lettura (Isaia) è direttamente la Parola, messaggero di Dio. Paolo (Lettera ai Romani) ci parla della aspettativa di redenzione nostra e che si estende all’intero creato.
Il profeta Isaia storico (765 a.C. – circa 700 a.C.) nel 740 ricevette nel tempio di Gerusalemme la vocazione profetica che esercitò per circa 40 anni. Operò in un periodo storico di gravi turbolenze sociali, politiche e militari. Durante questo periodo Israele visse cercando l’appoggio degli Assiri, ma anche stando sotto la loro continua minaccia.
Nel 721 la Samaria cadde in potere degli Assiri. Ezechia, re pio e riformatore, chiese l’aiuto degli Egizi contro il parere di Isaia che voleva si confidasse solo in Dio. Nel 701 Sennacherib devastò la palestina, ma Ezechia, re di Giuda, volle difendere da solo Gerusalemme in ciò sostenuto da Isaia. La città resistette e fu per quella volta salvata. Questa vittoria fu salutata come un intervento salvifico di Dio.
Non si hanno più notizie di Isaia dopo il 700. Secondo una tradizione ebraica, Isaia fu martirizzato sotto il re Manasse (709-643 a.C.)
Isaia fu dunque anche un eroe nazionale, ma soprattutto un poeta geniale dallo splendido stile, un classico della Bibbia. La sua grandezza, però, fu soprattutto religiosa. Durante la sua chiamata da Dio a essere profeta ebbe la forte rivelazione della trascendenza di Dio. Dio è il santo, il potente, mentre l’uomo è contaminato dal peccato. Isaia è il profeta della fede, Dio è il solo nel quale si può confidare. Egli annuncia il Messia come discendente di Davide ed è il più grande dei profeti messianici.
Attribuiti all’Isaia storico sono i capitoli da 1 a 39 pur se includono varie aggiunte da parte dei suoi discepoli.
Successivamente il libro di Isaia (capitoli da 40 a 55) ha ricevute aggiunte che non possono essere attribuite al primo Isaia in quanto il quadro storico si presenta successivo di circa due secoli.
Si parla dunque di un Deutero-Isaia che parla di una Gerusalemme conquistata e di un popolo prigioniero in Babilonia. Il Deutero-Isaia predicò, infatti, in Babilonia intorno al 550 a.C. quando le vittorie di Ciro lasciavano presagire la sconfitta dei Babilonesi (l’editto liberatorio è del 538 a.C.).
Il capitolo 40,1 si apre con le parole “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”. Si sente vicino il periodo della rinascita di Israele. Un nuovo esodo ricondurrà il popolo a una nuova Gerusalemme con una visione nella quale trova espressione anche un significativo universalismo religioso.
Nel testo del Deutero-Isaia sono anche inseriti i quattro brani lirici detti “Canti del servo del Signore”.
L’ultima parte del libro di Isaia (cap. 56-66) è stata considerata come l’opera di un Trito-Isaia contemporaneo alla ricostruzione del tempio (520 a.C.).
Il brano che leggiamo questa domenica (Is. 55,10-11) è tratto dalla parte finale del deutero-Isaia.
Il tema complessivo del capitolo 55 è dato da una esortazione a partecipare alla nuova alleanza (“O voi tutti assetati venite all’acqua” 55,1) e a convertirsi (“Cercate il Signore mentre si fa trovare” 55,6). Infine Isaia ricorda che la parola di Dio è simile a un messaggero che ritorna solo dopo aver adempiuto al suo mandato (Is. 55,10-11 il brano che leggiamo questa domenica).
I versetti 12 e 13 sono la conclusione di tutto il libro della Consolazione del Deutero-Isaia con la ripresa del tema di un nuovo esodo: “Voi dunque partite con gioia, sarete condotti in pace.”
Il brano di Paolo è tratto dal capitolo della lettera ai Romani. Don Giuseppe ci spiega che: “ San Paolo parla a fratelli che hanno già accettato l’invito del Signore, ma hanno bisogno di approfondire e di chiarire e precisare le profondità della loro fede. Oggi egli allarga il campo di visuale, per coinvolgere tutta la creazione nel discorso di redenzione che dà senso a tutta la vicenda dell’uomo e dell’intero creato.”
Il brano di Matteo comprende la grande parabola del seminatore. Il seme per dare frutti, per aprirci la strada della fede, deve cadere in un terreno fertile. Ci dice Don Giuseppe: “E sappiamo che la conversione non si esaurisce in un istante, ma deve affrontare l’insicurezza di una volontà traballante e di situazioni inattese. E’ il momento nel quale il ragionamento si arresta e ha inizio un colloquio con Colui che illumina la coscienza, dà ardore alla volontà, sostegno nella sofferenza.”
Il Salmo 65/64 inizia come un canto di ringraziamento dopo un anno fertile e piogge abbondanti. La prima parte si presenta come un richiamo a Isaia per la prospettiva universalistica (“A te che ascolti la preghiera / viene ogni mortale” 65,2). La seconda parte, che cantiamo oggi, è una descrizione felice di una fertile primavera in Israele.
Sentiamoci partecipi di questo canto di gioia, di questo inno di ringraziamento. E’ un aprirci al mistero, alla profondità del mistero come ci dice Don Giuseppe. E’ un abbandono alle braccia del Signore perché ci accolga, affinché anche noi siamo in grado di accoglierlo nel nostro cuore.
RIT: Tu visiti la terra, Signore, e benedici i suoi germogli.
Tu visiti la terra e la disseti,
la ricolmi di ricchezze.
Il fiume di Dio è gonfio di acque;
tu prepari il frumento per gli uomini.
Così prepari la terra:
ne irrìghi i solchi, ne spiani le zolle,
la bagni con le piogge e benedici i suoi germogli.
Coroni l’anno con i tuoi benefici,
i tuoi solchi stillano abbondanza.
Stillano i pascoli del deserto
e le colline si cingono di esultanza.
I prati si coprono di greggi,
le valli si ammantano di messi:
gridano e cantano di gioia! (Sal 65/64,10-14)
Pur nelle difficoltà del presente sentiamoci uniti al salmista nell’inno di ringraziamento.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, uniti nella preghiera, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
16 – 7 – 2023: XV dom. A
Il seme è la Parola
Letture: Is 55, 10-11; Rm 8, 18-23; Mt 13, 1-23 Al solito, il tema evangelico guida le altre letture: Matteo ci presenta la parabola del seminatore e dalla lettura anticotestamentaria (del profeta Isaia) udiamo narrata la vicenda feconda della parola di Dio, che è mandata a compiere una missione e raggiunge in terra il suo scopo. La seconda lettura è tratta dal cap. 8° della Lettera ai Romani: è certamente il capitolo più noto e – mi pare – anche il più bello (nell’anno liturgico A lo leggiamo per 5 domeniche consecutive), perché canta il cammino della grazia nel credente e nella creazione.
Qualche insegnamento dalle letture: Dio semina nella nostra vita, nel campo di tutta la Chiesa. E’ un modo cifrato di parlare, ma è la caratteristica di tutte le parabole. Quando le senti, ti sembra di poter dire: chiaro; e poi vien da domandare: che cosa c’entra questo con la nostra vita? C’entra, ma Gesù gestisce con molta cura il suo insegnamento, per evitare che venga banalizzato. E poi, per favorire un cammino di approfondimento. Molto sovente, quando penso di aver capito, Lui dice: “Ti sembra…” e nella sua infinita paziente bontà attende il momento adatto, dosa le spiegazioni alla nostra povertà di comprensione.
Tra l’uomo e il creato esiste un rapporto di comunicazione di valori, perché le scelte compiute dall’uomo hanno un riflesso, al positivo ma anche al negativo, sulla situazione dell’intera creazione. Non sappiamo i modi e i ritmi, ma il fatto è componente del piano divino. Nulla esiste in modo isolato e tutto è organicamente originato, orientato, condizionato al rapporto fondamentale con Cristo, sotto l’influsso dello Spirito. Un’unica variante può essere stonata: l’atteggiamento di reazione, positiva o negativa, dell’uomo al piano di Dio e la conseguente condizione di figli o schiavi. Di questa benedizione o schiavitù partecipa tutta la creazione. L’opera dello Spirito fa sì che la “liberazione dalla schiavitù della corruzione” non si arresti all’uomo, ma si comunichi all’intera creazione e la faccia partecipare alla “libertà della gloria dei figli di Dio”. La profondità del mistero, tanto insondabile da causare capogiro, non impedisce quel barlume di intuizione che ci rende consapevoli del valore di ogni atto di amorosa adesione della nostra volontà al piano di Dio: mentre attira il compiacimento di Dio sull’uomo, si estende in partecipazione armoniosa a tutto il creato. L’inanimato non diventa animato; ciononostante acquista la dignità di interlocutore dell’uomo e strumento attivo della sua risposta alla chiamata di Dio.
Il seminatore uscì a seminare: Nella sua grande parabola Gesù ci avverte: Lui semina buon seme, ma è possibile purtroppo sprecarlo. E intanto ci avverte della responsabilità che abbiamo noi che ‘vediamo’ ciò che altri non videro. Perciò gli chiediamo di ‘udire’ e di ‘comprendere’ nel senso più pieno ciò che lui ci dice, nelle più varie espressioni del suo linguaggio. Gesù parla di comprendere con il cuore, convertirci, per essere da lui guariti. E’ impressionante come ogni aspetto della nostra vita sia influente sugli altri: udire, comprendere, convertirci, perché Lui ci guarisca, in un clima interlocutorio col fratello che si muove accanto a noi. Sappiamo benissimo che il punto problematico è l’ultimo, la conversione. E sappiamo che ognuno ha il suo cammino per giungere alla conversione, in varia armonia nelle sue molteplici componenti: la via dell’intelligenza, la via del cuore, la via dell’intuizione, la via dell’esperienza (con le sorprese che ci procura)…. E sappiamo che la conversione non si esaurisce in un istante, ma deve affrontare l’insicurezza di una volontà traballante e di situazioni inattese. E’ il momento nel quale il ragionamento si arresta e ha inizio un colloquio con Colui che illumina la coscienza, dà ardore alla volontà, sostegno nella sofferenza. La sua semina avviene con interventi vari e disuguali: immediati e improvvisi o protratti nel tempo, preparati da circostanze che sovente ci sorprendono e non si arrendono alla nostra testardaggine. In qualche modo però, con verità, possiamo dire che essa dura tutta la vita. Anche oggi sul nostro campo si muovono i passi dell’inviato del Padre, che sparge il seme, bagnato del suo sudore, intriso del suo sangue.
Vorrei concludere rubando un paio di pensieri a San Pio da Pietrelcina, il caro Padre Pio:
Chi vuole amare Dio, può. Basta togliersi quello che è disordine. Entrando nell’ordine, si ama Dio. Amare Dio e tutto il creato.
Un suo biografo, Alessandro da Ripabottoni, dice di Padre Pio: Il suo esempio ci dice che liberarci dai difetti è un presupposto necessario per raggiungere la santità, ma è vero anche che la santità non consiste nell’essere liberati da ogni difetto.
Vostro don Giuseppe Ghiberti
Trovate tutte le omelie di don Giuseppe al seguente link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/il-settimanale-di-don-giuseppe/