29-3-2024 -Venerdì Santo B – Settimanale AMCOR
Venerdì Santo ’24
La lettura liturgica di due racconti della passione di Gesù nella stessa settimana accade solo nella settimana santa: la domenica delle palme incomincia con uno dei sinottici (quest’anno leggevamo Marco) e il venerdì santo propone sempre la passione secondo l’evangelista Giovanni.
Sentiamo in partenza, oggi, la famosa profezia di Isaia 53 sul ‘servo sofferente’ (‘per la colpa del mio popolo fu percosso a morte… quando offrirà sé stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo’) e poi una parola della Lettera agli Ebrei (‘Gesù il Figlio… è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato’). La dimostrazione più viva delle sofferenze del Figlio ci viene dai due capitoli della “passione” di Giovanni.
La passione di Gesù è ricordata nei decenni con una costanza che si spiega solo per la cura affettuosa che la primissima cristianità ha dato a questo evento. Lo stesso San Giovanni, alla fine del primo secolo, riprende tutti i motivi fondamentali di quell’evento doloroso. Di suo egli pone particolari che corrispondono alla personale sensibilità della sua riflessione e del suo ricordo.
L’azione inizia nell’orto del Getsemani, dove Gesù si è ritirato con i suoi discepoli, per la notte e dove giunge subito Giuda, con armati dell’autorità giudaica, per arrestare Gesù. Giovanni riporta, lui solo, il ricordo della manifestazione del potere di Gesù: alla risposta che egli dà a coloro che lo cercano, “Sono io”, essi cadono a terra. Ma non sembra aver prodotto alcun effetto, perché l’arresto procede ugualmente. Arrivati poi da Anna (nome maschile, di un personaggio di grande autorità), incomincia un interrogatorio in cui Gesù conserva la prontezza profonda della sua risposta (“perché interroghi me?”). Viene picchiato e mandato da Caifa, sommo sacerdote e suocero di Anna. Intanto si consuma il rinnegamento di Pietro. Solo Giovanni ricorda che Pietro è riconosciuto per aver troncato l’orecchio, nella notte del Getsemani, a uno di quanti arrestavano Gesù.
Un secondo spostamento vede Gesù davanti a Pilato, per ufficializzare il processo e ottenere la condanna capitale, agognata dalle autorità gerosolimitane. Le autorità giudaiche sono impertinenti e determinate a ottenere la condanna capitale di Gesù. Giovanni si appassiona al dialogo tra Pilato e Gesù; quasi si direbbe che Pilato gli è simpatico, se non fosse la contraddizione in persona. Alla fine esplode nella domanda fondamentale: “Che cos’è la verità?”. Non riesce neppure a difendere Gesù, giocandolo con un delinquente efferato. La spunta Barabba. Anche la flagellazione gli viene inflitta con la speranza di ammansire la folla, ma invano, perché la sentenza “alla croce!” viene pronunciata con la convinzione che si tratta di una condanna ingiusta. Ma intanto la flagellazione ha iniziato la demolizione più efferata del condannato.
Fa rabbrividire seguire questo cammino, che finisce con una condanna che è dichiarata, durante il suo stesso pronunciamento, immeritata, dunque ingiusta: “Non trovo in lui nessun motivo di condanna”. E’ vero che le autorità giudaiche finiscono per scoprire le carte e accusano Gesù di essersi fatto “figlio di Dio”. Si incrociano le varie accuse e alla fine è decisiva quella che attribuisce a Gesù la pretesa di essere re, mentre le autorità giudaiche affermano: “Non abbiamo re se non Cesare”. Del procedimento terribile della crocifissione vengono ricordati particolari che sembrano marginali, e non lo sono. Sulla croce Pilato fa porre un cartiglio che proclama ufficialmente “Gesù il nazareno il re dei giudei” (scritto nelle tre lingue ufficiali: ebraico, latino e greco). Le vesti di Gesù vengono divise tra i soldati, ma la tunica è tirata a sorte, con un significato molto profondo riguardante il futuro dell’eredità di Gesù, che sembra ridotta in frammenti, ma continua a mantenere un’unità fondamentale nella sua anima.
Tra le “cose” di Gesù che vengono divise e apparentemente disperse c’è la mamma di Gesù. Egli, agonizzante, la vede ai piedi della croce, accompagnata da donne partecipi e fedeli e da un solo uomo, il discepolo prediletto, e fa della sua mamma il dono per il discepolo e del discepolo il dono per la mamma. Poche scene dei vangeli avranno una durata così continua e trepida come queste parole esprimenti un affidamento incoraggiante per quanti, discepoli deboli e insicuri, dovranno fare l’esperienza di una qualche partecipazione alla croce di Gesù. In questo momento Gesù ha solo più una cosa di suo: lo Spirito, ed egli lo consegna – massima eredità – nel momento in cui pone termine alla sua presenza tra noi.
La vicenda del Gesù terreno è terminata. Si pretenderebbe ancora, da parte dei nemici di Gesù, la super prova della sua morte: si spezzino le gambe al crocifisso e sarà sicura la cessazione della vita. I soldati si concedono invece una variazione, visto che Gesù è evidentemente morto: mentre ai due crocifissi con Gesù vengono spezzate le gambe per affrettare la morte, a Gesù viene inferta una ferita senza senso: un colpo di lancia al costato, che lascia così il passaggio a sangue e acqua (con le caratteristiche proprio di sangue cadaverico). A Gesù non viene infranto nessun osso e Giovanni vede in questo fatto la realizzazione della profezia di Sl 34,21.
A Pilato viene presentata ancora una richiesta: è vero che Gesù è morto per pubblica condanna, ma venga almeno concessa la grazia di una sepoltura dignitosa. Ed ecco il corpo tolto dalla croce, affidato a panni non meglio descritti, trasportato al vicino sepolcro, “nel quale nessuno ancora era stato posto”. Nessuno si accorge del grande mutamento che è in atto. Un condannato di morte vergognosa non ha diritto ad una sepoltura decente: il crocifisso viene lasciato volentieri sul patibolo e possono approfittarne animali e uccelli rapaci; per lui attende solo una grande fossa comune, destinata ai cadaveri dei lapidati e dei crocifissi, e non c’è da preoccuparsi di indumenti funebri. Per Gesù il cadavere è ricuperato da persone amiche, è composto dignitosamente in un sepolcro nuovo (!). poi il sepolcro viene chiuso e ai visitatori del mattino del “giorno uno dei sabati” (cioè il primo giorno della settimana) offrirà il mistero di un vuoto che si riempie della presenza misteriosa ma reale del Risorto, nel mondo intero.
Vostro don Giuseppe Ghiberti
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