Quaresima 2020 Domenica delle Palme
Cari soci e amici dell’Amcor,
con la domenica delle Palme inizia la settimana che è fondamento della nostra vita cristiana, la Settimana Santa.
Don Giuseppe Ghiberti, come di consueto, ci accompagna nell’ascolto della Parola di Dio e ci invita a farci partecipi della causa di tanta sofferenza guardando alla bontà infinita di Gesù.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
5 – 4 – 2020 Dom. delle PALME
Inizia la SETTIMANA SANTA e la contemplazione del grande amore raggiunge la vetta. Oggi sentiamo due letture evangeliche: l’entrata gioiosa di Gesù a Gerusalemme, accolto “con le palme” nel racconto che ne fa Matteo e poi il grande racconto della passione di Gesù (il ” Passio“) nella versione ancora del nostro evangelista di quest’anno, San Matteo. Questo ci procurerà qualche variazione dal nostro schema solito.
Vangelo dell’ingresso del Signore in Gerusalemme (Mt 21, 1-11) – Nel racconto di Matteo la prima parte del vangelo, la più lunga, vede Gesù che opera in Galilea, mentre solo alla fine giunge al Sud, a Gerusalemme, per la Pasqua. La grande festa del suo popolo sarà anche la sua Pasqua, di morte e risurrezione. Ci stiamo avvicinando al cuore della missione di Gesù, del suo grande dono d’amore e dell’esaltazione che il Padre concede a quel Figlio che aveva mandato per fare di ognuno di noi “figli nel Figlio”. Gesù è salito da Gerico e per entrare nella città santa fa la scelta eccezionale di un ingresso solenne, che deve essere interpretato più per il significato simbolico che riveste nel programma di Gesù che per la sua manifestazione di potenza (infatti i romani non ne furono disturbati per niente). Ma a noi, più ancora che a molti di quella folla, non deve sfuggire il significato di quell'”Osanna al figlio di Davide”: sta giungendo il re-Messia, non nella potenza di un guerriero conquistatore ma nella mitezza del re messianico, che non cavalca il destriero della battaglia ma cavalcature pacifiche, come aveva predetto il profeta Zaccaria (9, 9-10: farà sparire i cavalli della guerra, “l’arco di guerra sarà spezzato annuncerà la pace alle genti”). Purtroppo il tripudio sarà fugace e non proteggerà il mansueto maestro, che porterà a compimento la sua missione redentrice, affrontando la grande sofferenza.
Letture della Messa: Is 50, 4-7; Fil 2, 6-11; Mt 26, 14 – 27,66
*L’ Antico Testamento ci trasmette alcune pagine significative del profeta Isaia, in cui una misteriosa figura di “servo del Signore” si presenta con caratteristiche di docile dedizione (“non mi sono tirato indietro”) a una missione di fecondità unica (e dolorosa) per i fratelli.
*La seconda lettura riporta uno splendido brano riportato da San Paolo nella sua lettera ai cristiani di Filippi. Si tratta forse di una composizione innica ideata per le funzioni liturgiche (e applicata, qui, come esortazione ai cristiani di quella comunità), esprimente il mistero della presenza di Gesù nella nostra storia: un primo tempo descrive il processo di abbassamento – quasi annientamento – di Cristo Gesù che, nonostante la natura divina, si fece volontariamente ubbidiente fino alla morte di croce, ma – secondo tempo – per questo il Padre lo ha esaltato (la sua umanità) fino a farle rendere un culto divino. E’ il mistero che ci viene incontro in modo tanto commovente proprio in questi giorni.
*Il racconto della passione di Gesù parte da lontano, dalla preparazione dell’Ultima Cena (solo Giovanni la stacca, introducendo tra la Cena e l’agonia nel Getsemani i quattro capitoli – 14-17 – dei discorsi d’addio) e termina con la sepoltura di Gesù. E’ la parte più commovente non solo dei Vangeli ma di tutta la Bibbia.
Passione di Gesù secondo Matteo – La scansione del racconto è altrettanto semplice quanto struggente e impegnativa per chi non resiste alle domande che sorgono spontanee: perché tanta sofferenza, tanto male? Io posso sentirmi non coinvolto? Un uomo innocente e buono si trova di fronte a due poteri, che sono convinti della sua innocenza, ma per interessi secondi decidono di eliminarlo e lo conducono alla morte facendolo passare per la strada più dolorosa che si conosceva allora: la crocifissione, preparata dalla flagellazione e da torture e scherni di ogni tipo.
Segnalo solo, con la scansione del racconto, qualche particolare. Gesù fa preparare la cena pasquale per sé e i Dodici presso un conoscente o amico (che non comparirà però durante la passione). E’ il pasto più solenne dell’anno ebraico e della stessa vicenda di Gesù e di noi tutti, perché da esso scaturisce il dono ineffabile dell’Eucaristia; ma anche la consapevolezza per ognuno di noi di poter corrispondere con la tragica iniziativa di Giuda (e anche con la debolezza di Pietro). La preghiera al Getsemani ci trafigge il cuore: il Figlio è talmente accasciato dalla consapevolezza del trionfo del male, che sembra rendere nullo tutto l’impegno della sua vita, da spingerlo a chiedere al Padre il soccorso della sua misericordia, pur accettando che prevalga ciò che vuole non lui bensì il Padre. Arriva Giuda, che lo saluta col bacio del tradimento e Gesù lo chiama “amico”! Tra i presenti uno tira anche fuori una spada in difesa di Gesù: è l’unico debole tentativo, che non si ripeterà più, ma Gesù lo rifiuta già adesso.
Davanti al tribunale del suo popolo, ai rappresentanti di quell’Israele a cui lui stesso appartiene, che ama tanto, tutto procede in modo singolare: Gesù è accusato da un testimone preparato in antecedenza con accuse false di aver parlato contro il tempio, il luogo più santo che un ebreo possa immaginare. Gesù non reagisce e allora viene formalmente interrogato dalla somma autorità religiosa ebraica se lui sia “il Cristo, il Figlio di Dio”. Egli dà una risposta sostanzialmente positiva, ma con una precisazione riferita non alla condizione presente quanto a un futuro misterioso. Tutti i presenti allora lo dichiarano reo di morte e iniziano le percosse (sputi, pugni, schiaffi). Ma non meno grave è la sofferenza per la delusione che in quel momento giunge dal rinnegamento di Pietro, l’unico che aveva seguito il corteo delle guardie e si era fermato nel cortile dell’edificio dove si svolgeva l’interrogatorio. La paura del momento lo spinge fino allo spergiuro: “Non conosco l’uomo”. Il canto del gallo gli fa prendere coscienza della sua viltà e Pietro si allontana smarrito, capace solo di piangere. Fa pendant a questa delusione quella ancora più grande di Giuda. Solo il nostro evangelista racconta l’uso che il discepolo infedele fa del denaro del tradimento, buttandolo nel tempio, e del suo stesso corpo, impiccandosi.
La sorte di Gesù è segnata, ma i capi del suo popolo hanno bisogno di una condanna ufficiale da parte dell’occupante romano e allora Gesù viene condotto da Pilato. Questi non ha nessun motivo per avere in antipatia Gesù; piuttosto non gradisce le autorità giudaiche giunte con l’accusa; in più si registra uno strano intervento della moglie dello stesso Pilato che consiglia il marito a non procedere contro “quel giusto”. Ma questo si lascia intimidire dalla folla, aizzata dai capi; il romano tenta ancora la carta dello spareggio con Barabba (questo, sì, delinquente assassino notorio), ma la folla chiede la crocifissione di Gesù. Pilato compie un ulteriore atto di vigliaccheria e se ne lava letteralmente le mani.
Pronunciata la condanna, fa flagellare Gesù. E’ prassi non rara, a quel tempo, far precedere la crocifissione dalla flagellazione. Ma per Gesù non basta, perché viene ancora l’incoronazione di spine, probabilmente con un casco di acuti rami spinosi schiacciati sul capo in modo che si conficchino bene tra cute e ossa craniche. Ancora spoglio per la flagellazione, Gesù viene ricoperto con un manto scarlatto, per poterlo sbeffeggiare come “re dei giudei”, mentre lo fanno oggetto di sputi, di percosse, di insulti. Giunge così il momento di iniziare l’ultima tappa della preparazione: la salita al luogo della crocifissione, che ha nome Calvario. Ancora un diversivo ci viene incontro lungo quel cammino doloroso: Gesù è talmente distrutto dalla torture subite che i soldati decidono di dargli l’aiuto di un estraneo (è originario di Cirene e lo si chiamerà solo Cireneo), che viene costretto a portare quel terribile trave, chiamato ‘ patibulum‘, che costituirà la parte orizzontale del patibolo e riceverà l’inchiodatura dei polsi di Gesù. Giunto sul luogo dell’esecuzione, il Calvario, viene denudato e poi issato su, in modo che il patibulum possa essere fissato sulla parte verticale, lo stipes, a cui vengono inchiodati i piedi. Gli danno da bere una mescolanza di vino e fiele, forse a scopo ‘anestetico’, ma Gesù rifiuta. Visibile al di sopra del suo capo c’è un cartiglio che dice la causa della condanna e intanto lo proclama “Gesù re dei Giudei”. Attorno avviene, in contemporanea, la crocifissione di due autentici briganti, ma oggetto dell’attenzione è solo lui, per dileggiarlo: “Tu che distruggi il santuario e in tre giorni lo edifichi, salva te stesso, se sei figlio di Dio e scendi dalla croce”. Ritorna così la doppia accusa, di bestemmia contro il tempio e di pretesa di essere figlio di Dio. All’ora sesta, il nostro mezzogiorno questo strazio ha termine e Gesù emette il grido di addio alla vita.
Si tratta però di una morte diversa dalle altre e Matteo ricorda i segni del velo del tempio che si straccia, mentre trema la terra e si aprono sepolcri di morti. Si registrano anche presenze amiche di Gesù: sono donne che lo hanno seguito e aiutato fin dalla Galilea “per servirlo”: la vera autentica nobiltà dell’amore fedele e coraggioso. Interviene anche un discepolo fin qui sconosciuto, Giuseppe di Arimatea, che deve avere ascendente presso Pilato e riesce a ottenere il cadavere di Gesù e lo porta e adagia in un suo sepolcro, ancora nuovo. Questo viene chiuso facendogli rotolare contro una grande pietra. Non se ne vanno tutti però: “Maria Maddalena e l’altra Maria” restano sedute di fronte al sepolcro. Passa la notte e accade ancora un fatto che segnala l’irrequietezza dei capi che avevano fatto uccidere Gesù: “i grandi sacerdoti e i farisei” chiedono a Pilato che quella tomba venga assicurata da guardie che impediscano il trafugamento del cadavere. Il procuratore risponde che provvedano essi stessi con le loro guardie.
Matteo e… noi – I racconti della passione di Gesù riportano probabilmente la parte più antica delle tradizioni sfociate nei nostri vangeli. Gli evangelisti le hanno trattate con una certa libertà ma anche con grande fedeltà e somiglianza tra di loro. Ciononostante qualche variante, talora anche significativa, la troviamo, perché tutti – in modo particolare Giovanni – sono veri autori. Faccio qualche esempio. Nell’istituzione dell’Eucarestia solo Matteo (26,24) aggiunge, a proposito del vino, trasformato nel “mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti”, anche “in remissione dei peccati”, che è una specificazione illuminante. Nell’incontro con Giuda, al Getsemani, solo Matteo riporta il particolare di Gesù che chiama Giuda “amico” (26,50). Nel rifiutare l’intervento del discepolo che ha usato la spada al momento dell’arresto riporta le parole “pensi che non possa pregare il Padre mio e mi porrebbe accanto sull’istante più di dodici legioni di angeli? Come dunque si adempirebbero le Scritture che così deve avvenire?” (28,53-54). Nei rinnegamenti di Pietro solo Matteo riporta la forma più dolorosa: “Di nuovo negò con giuramento: ‘Non conosco l’uomo'” (26,72). Nell’incontro con Pilato solo Matteo ci informa dell’intervento della moglie del prefetto romano in favore di “quel giusto”, ma lui se ne lava le mani (27,19.24). Durante l’agonia di Gesù in croce solo da Matteo sappiamo che i soldati si siedono a fargli la guardia, mentre i passanti sbeffeggiano Gesù “Salva te stesso, se sei figlio di Dio… Ha confidato in Dio; lo liberi adesso, se gli vuole bene, perché ha detto: Sono figlio di Dio” (27,36. 43). Dopo la morte di Gesù Matteo ricorda fatti di colore apocalittico (27, 51-54), commentati dalla confessione del centurione sul mistero del Figlio di Dio. Il racconto si conclude con il seppellimento del cadavere di Gesù nel sepolcro nuovo (scavato nella roccia) di Giuseppe di Arimatea (27, 60), che se ne andò dopo di avervi fatto rotolare una pietra alla porta: si tratta dunque di un sepolcro a grotta. Il giorno successivo arrivano gli armati dei capi ebrei ed essi mettono i sigilli e si pongono di guardia al sepolcro (27, 66).
A questo punto inizia l’approfondita riflessione di ogni lettore, dunque ognuno di noi. proviamo a leggere attentamente, con intelletto d’amore. Troveremo nelle varie parti mille spunti, che ci parlano della bontà infinita di Gesù, della sua adesione piena di amorosa sofferenza alla volontà del Padre, della sua indulgenza verso tutti coloro con cui entra in contatto – e la maggioranza sono indifferenti, o crudeli, o falsi. Ci sono anche amici estremamente ridotti, con l’eccezione di donne piene di coraggio carico di affetto. E poi ci siamo noi, che ovunque troviamo richiami all’affetto commosso, all’avvertenza di quanto noi stessi partecipiamo alla causa di tanta sofferenza, all’appello di un amore che con la sofferenza è ancora cresciuto, oltre ogni limite. E che mi attende, da quella croce, da quel sepolcro.
Vi augura buona settimana santa il vostro don Giuseppe