Domenica 28-6-2020 – XIII dom. A
Cari soci e amici dell’Amcor,
come sempre in queste settimane Don Giuseppe ci guida alla lettura della Parola di Dio con pazienza e sapienza, collegando i vari testi tra di loro e con quelli delle domeniche precedenti per farcene cogliere il filo conduttore. Annoto nella mia lettura personale il tema dell’ ospitalità. Ospitalità non solo verso lo straniero, ma come apertura del cuore. L’ospite può essere il Signore stesso, o un Suo inviato, che bussa alla nostra porta come Eliseo presso l’illustre donna di Sùnen.
Con Don Giuseppe, Suor Maria Clara e tutto il Consiglio vi invio i saluti più cari per una buona estate 2020.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
28 – 6 – 2020: XIII dom. A
Letture: 2 Re 4, 8-11.14-16a; Rm 6, 3-4.8-11; Mt 10, 37-42 – La contemplazione diretta della vicenda di Gesù ci è ancora offerta dal vangelo, che ci presenta la conclusione del “discorso missionario” di Gesù (di cui leggevamo già la settimana scorsa). Anche la seconda lettura procede ancora nella grande Lettera di Paolo ai Romani, mentre la lettura anticotestamentaria attinge ai ricordi del profeta Eliseo e dei suoi miracoli.
Qualche insegnamento dalle letture: il discepolo più importante del profeta Elia fu Eliseo, che gli successe anche per grandi poteri taumaturgici. Oggi è narrato il miracolo del dono della fecondità ottenuto dal profeta per una donna che era stata generosa verso di lui, ma dal suo matrimonio con l’anziano marito non aveva ottenuto figli. Il profeta gliene promette uno; il racconto oggi si arresta a questo punto, ma il suo seguito farà vedere la realizzazione della promessa. L’amico di Dio ha un grande potere di intercessione presso il trono della grazia.
Scrivendo ai cristiani di Roma, San Paolo espone i frutti che accompagnano la fede dei credenti in Cristo. L’adesione della fede in Lui porta liberazione dal peccato, come sentivamo domenica scorsa, e porta la liberazione dalla morte: come recita il messaggio di oggi. L’adesione di fede ha avuto una prima efficacia nel farci partecipi della vicenda di Gesù, morto e “risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre”. Per questa partecipazione dobbiamo considerarci “morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”. Gustiamoci il semplice modo che esprime il passaggio: “così anche noi possiamo camminare in una vita nuova”. Paolo ne era convinto e ne parlava a cristiani della prima ora, tentati in tutti i modi di abbandonare la novità di quella ‘pazza’ fede.
Non meno pazzo sembra il ragionamento di Gesù in questo finale di discorso. Lo vediamo subito.
Mandati dal Padre come Gesù: dal modo come Gesù termina il suo discorso ai discepoli che manda in “avanscoperta” o primo assaggio di quella che sarà la modalità concreta della missione cristiana (quella primitiva ma anche – in prospettiva – quella dei secoli della vita della Chiesa), si direbbe che ai “missionari” debba accadere di tutto un po’, con difficoltà in casa e fuori casa, di fronte a pochi e a molti. Effettivamente già gli Atti degli Apostoli descrivono una difficoltà continua incontrata dall’opera di evangelizzazione. Qualche confidenza nelle Lettere di Paolo rincara la dose, nel riassumere la sua esperienza apostolica, tanto tribolata: “molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte. Cinque volte… i quaranta colpi meno uno, tre volte battuto con le verghe… una volta lapidato… percoli di fiumi, pericoli di briganti… da parte di falsi fratelli…” (2 Co 11, 21-27).
Ma ha un senso tutto questo, soprattutto in un continuo discorso di ‘salvezza’?
Forse possiamo partire dalla frase centrale del nostro brano: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato”, e un po’ sopra era detto: “Chi non prende la propria croce e non mi segue non è degno di me”. Siamo veramente al cuore della missione: il Padre manda il Figlio, Gesù, e lui manda i suoi discepoli; questi, perché mandati da Gesù, sono mandati dal Padre, che considera la loro missione come la missione stessa di Gesù. Quanto è consolante questo fatto, e quanto è grande la dignità di ognuno di noi, suoi inviati. Dobbiamo però avere molto chiara la legge della identificazione. Con un po’ di esagerazione possiamo dire: mandati dal Padre come Gesù e dunque invitati a percorrere il suo stesso cammino – che è il cammino della croce! Per questo Gesù dice: “chi non prende la propria croce…”.
Il ragionamento corre, ma il discepolo che ne porta le conseguenze sente paura e tremore. Per questo Gesù aggiunge: “Chi avrà perduto al propria vita per causa mia, la troverà”. E’ il mistero di Gesù crocifisso e risorto che ci avvolge nella sua pienezza; ed è il momento in cui si arrestano le parole. Una conferma che mi pare veramente convincente è l’esperienza dei santi: erano deboli come noi, la croce li spaventava come spaventava Gesù, ma avevano imparato a fidarsi. D’altra parte anche Lui, il Signore, si è fidato – di noi, suoi inviati!
O Signore, fratello amabilissimo, come tu non ti sei spaventato di me, concedimi di non spaventarmi di Te. Ma anche concedimi di non spaventarmi di me, che non guardi troppo me, ma solo te!
Propongo un paragone eloquente, tratto da Soloviev:
“Il carbone e il cristallo sono in partenza la stessa cosa. Perché il carbone è brutto e il cristallo è bello? Perché il carbone fissa tutta la sua attenzione su stesso, mentre nel cristallo si vede il sole e tutta la luce: attraverso di esso si vede qualche altra cosa, che è superiore, e questo lo fa bello”.
Vostro don Giuseppe Ghiberti