Domenica 13-6-2021 XI Tempo Ordinario “Settimanale Amcor”
Cari soci e amici dell’Amcor,
la Parola di Dio di questa domenica ci porta a spaziare nel tempo. Dal periodo dell’esilio, che apre all’attesa della liberazione, alle prime comunità cristiane con i loro problemi, alla predicazione di Gesù, espressa in parabole, ove la sua Parola è il seme sparso sulla terra, per tutti e per ogni tempo.
Don Giuseppe, caro padre e maestro, ci dice: “Cammina il tempo, creatura stupenda di Dio,…”.
Restiamo affascinati da questo affresco, ci sentiamo piccoli di fronte al procedere della storia e Don Giuseppe ancora ci dice: “Quante cose Gesù ce le presenta grondanti gocce di mistero!”
Il Salmo ci viene incontro con questo inno di ringraziamento che canta il sabato eterno, festa dei giusti, nel quale tutta la creazione si ritroverà e fiorirà, nella pienezza dei tempi, in Dio. Ed anche noi siamo chiamati ad essere giusti, a dare frutti e ad annunciare il Signore ora e per sempre.
“Nella vecchiaia daranno ancora frutti, / saranno verdi e rigogliosi,
per annunciare quanto è retto il Signore, / mia roccia: in lui non c’è malvagità.” (Sal 92/91 15-16)
A breve guidati dagli scritti del caro socio e amico Bruno Barberis, inizieremo un cammino di riflessione sul rito della S. Messa. Sentiamo la S. Messa come momento centrale della nostra esperienza di cristiani. Comprenderne meglio il rito ci permette di valorizzarne il significato, di partecipare con maggiore coscienza alla liturgia, a crescere nel nostro cammino di fede. Vogliamo essere terreno fertile per la Parola di Dio, seme di salvezza.
Con Don Giuseppe, Suor Maria Clara che questa settimana e in ritiro spirituale e ci ricorda nella preghiera, Mariella e tutto il Consiglio Vi invio i saluti più cari.
Contardo Codegone
Settimanale AMCOR
XI dom. T.O. – B: 13 – 6 – 2021
Letture bibliche – Ez 17, 22-24; 2 Co 5, 6-10; Mc 4, 26-34
Cammina il tempo, creatura stupenda di Dio, e noi gli chiediamo di trascorrerlo nella sua santa grazia, nella gioia ineffabile della sua divina amicizia e nell’umiltà fiduciosa di saperci sì poveri, ma tanto amati. Oggi la prima lettura, dal profeta Ezechiele, lavora su un esempio della vita agricola: da un bella pianta di cedro il Signore prenderà un ramoscello per trapiantarlo sul monte alto d’Israele e questo lo renderà fruttuoso, a dimostrazione della sua onnipotenza. Dietro però c’è una vicenda politico-militare di allora: siamo all’inizio del 500 a.C., poco prima della distruzione di Gerusalemme da parte dei Babilonesi. Dio non protegge i Giudei, che hanno mancato al giuramento fatto ai dominatori occupanti e dimostra che il successo (politico e militare) non sta nelle mani dell’uomo.
San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, si interessa delle due fasi della nostra vita: la fase presente, “nel corpo” e “lontani dal Signore”, e la successiva, “in esilio dal corpo”, per “abitare presso il Signore”. Entreremo in questa fase passando “davanti al tribunale di Cristo”, per ricevere la ricompensa delle opere compiute quando si era “nel corpo, sia in bene sia in male”. Fa un po’ effetto sentir dire che “preferiamo andare in esilio dal corpo”, cioè uscire da questa vita. Eppure, a pensarci, è un ragionamento molto semplice e logico: sappiamo che questa vita è destinata ad aver termine e che il vero obiettivo si raggiunge al di là. Ecco allora il “preferiamo”! Eppure ci vuole una grazia grande per far nostra questa non piccola consequenzialità.
Il vangelo di Marco, come quello di Matteo, dedica un capitolo intero alle parabole di Gesù e verso la fine ne riporta due sul “Regno di Dio”. Esse sono unite dal tema della forza del regno di Dio, che è paragonabile al seme buttato nel terreno e capace, per forza propria di muoversi nel terreno fino a spuntare e crescere al punto di raggiungere la condizione di una turgida spiga matura; oppure è paragonabile al famoso seme di senapa che produce, pur partendo da una condizione d’apparenza insignificante, un alberello pieno di forza. Dunque la forza per portare i suoi frutti il Regno di Dio non l’attende da fattori esterni bensì – scusate il gioco di parole – dal fatto di essere di Dio! La sua sovranità si esercita in modo nascosto, ma non per questo meno efficace.
In privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa
Carissimi, penso che un senso di invidia non riusciamo a evitarlo. Quante cose Gesù ce le presenta grondanti gocce di mistero! Il mistero è il sigillo della sovranità del Padre, di Gesù, dello Spirito, ed è la piattaforma su cui si gioca l’esercizio di un amore che deve essere incondizionato.
Oggi abbiamo affrontato stimoli diversi di confronto con la storia di paesi del Mediterraneo (prima lettura), con la vicenda della nostra vita (seconda lettura) e con il mistero del Regno di Dio, nei suoi aspetti di apparente controsenso (terza lettura). Se riflettiamo sulle caratteristiche del tempo in cui viviamo, ci viene da pensare che stiamo vivendo in situazioni non molto diverse da quelle di allora, forse di sempre. Come nei paesi del Vicino Antico Oriente, è diffusa tuttora la convinzione che sia lecito mettere in atto qualsiasi decisione politica o militare, purché risponda alla convenienza del momento (con i frutti di devastazione che sembrano l’unico premio all’uso della forza); come in passato, e in ogni tempo, preferiamo rimanere abbarbicati ad un presente dai caratteri ingannevoli per raggiungere obiettivi immediati, dal futuro sterile; nei calcoli dei valori della vita presente è regola quasi indiscutibile la preferenza da prestare al “qui e ora”. Eppure Paolo e Gesù non hanno servito la causa del Regno con questi criteri: nessuno dei due ha ammucchiato beni di fortuna, si è preoccupato di prepararsi una prospera vecchiaia.
Sono segnali che non mutano i nostri gusti personali, ma rettificano l’ordine delle certezze e danno la gioia di percorrere la strada del nostro Salvatore e sentirci meno lontani da quegli “imitatori di Cristo” che furono i Santi.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti