Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 4^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
ecco la 4° puntata del percorso di approfondimento del rito della S. Messa che il carissimo socio e amico Bruno Barberis ci ha inviato. Questo studio, particolarmente impegnativo e interessante, riguarda un periodo che copre l’Alto Medioevo (VII-X secolo) e il Basso Medioevo (XI-XV secolo).
E’ un periodo particolarmente lungo, spesso non adeguatamente valorizzato. Bruno ci accompagna con meticolosa attenzione a gustare tanti passaggi, tanti dibattiti, tanta ricchezza di vita e di fede e anche tanti scontri che hanno segnato lo sviluppo della Liturgia.
Mi viene dal cuore un grande grazie per questo lavoro così ricco e stimolante e che continuerà ancora. Cercheremo di valorizzarlo ulteriormente, magari con degli incontri specifici.
Annoto di seguito alcune citazioni di personaggi e di avvenimenti che possono aiutare a incontrare la ricchezza di questi anni, certamente difficili, ma che hanno segnato profondamente il cammino dell’umanità. Sono consapevole dei limiti e della povertà delle mie citazioni, ma spero possano essere di stimolo e aiuto.
Comincio con due personaggi che si pongono sul margine iniziale di questo periodo storico, segnandone il cammino. Uno è Severino Boezio (475/77 – 524/526). Uomo politico sotto il re dei Goti Teodorico. Filosofo e senatore romano, cultore della classicità. Alcuni lo collocano tra i fondatori della scolastica. Ricordo che nei quattro gradi che portano alla sapienza pone l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia. Per esprimere queste conoscenze sono necessarie la grammatica, la retorica e la logica. Muore in carcere per la sospettosità del re che si era ampiamente servito di lui. In carcere scrive il “De consolatione Philosophie” che lascia una traccia indelebile.
L’altro personaggio è Aurelio Cassiodoro (485/580). Successore di Boezio come consigliere del re dei Goti. Nella sua lunga vita ebbe un ruolo importante anche a Costantinopoli al seguito di Papa Vigilio (Imperatore era Giustiniano nato nel 482 e morto nel 565 dopo 38 anni di regno) . Qui voglio ricordare Cassiodoro per la fondazione nel 554 del Monastero di Vivarium (Squillace – Calabria). In quel luogo istituì lo “scriptorium” per la copiatura di manoscritti e in quel luogo lasciò anche una grande e importantissima biblioteca.
E’ il periodo di San Benedetto (480-547), fondatore dei Benedettini. La vita di San Benedetto fu narrata dal Papa San Gregorio Magno (540-604).
Bisogna ricordare, in questo VII secolo, anche lo svilupparsi dell’Islam (Maometto nasce a La Mecca nel 570 e muore a Medina nel 632). Islam che in pochi decenni riuscì a dominare l’intera area Mediorientale.
Gli anni scorrono e incontriamo Carlo Magno (742-814) con il suo consigliere Alcuino di York (732-804) che, oltre il resto, realizzò una importante riforma liturgica ricordata da Bruno. La sua incoronazione portò alla rinascita dell’impero romano d’occidente, ma anche a uno strappo con l’imperatore di Costantinopoli.
Voliamo sui secoli come se fossero granelli di sabbia che scorrono tra le dita e me ne vergogno. Lasciatemi ancora ricordare per cenni il periodo che va da circa il 1000 (XI secolo) al 1200 circa (XIII secolo).
E’ un periodo di particolare sviluppo economico per l’Europa, di forte crescita demografica, di un clima assai favorevole. Si sviluppano città, mercati, scambi commerciali. Marco Polo (1254-1324). E’ l’epoca delle prime crociate. Del confronto con i Mongoli (Gengis Khan 1162-1227). Fu il periodo, purtroppo, dello scisma d’oriente con le scomuniche reciproche tra la Chiesa di Roma e quella ortodossa di Costantinopoli (1054, scomuniche revocate alla fine del Concilio Vaticano II). Poco prima S. Cirillo (827-869), evangelizzatore della Pannonia e Moravia con il fratello S. Metodio (825-885), aveva dato vita all’alfabeto cirillico, ancora oggi in uso. Il principe Vladimir si convertì al cristianesimo nel 980 a Kiev e da quella data partì anche la conversine della Russia. Ricordo ancora, purtroppo, la quarta crociata che nel 1204 anziché dirigersi a Gerusalemme, conquistò e saccheggiò Costantinopoli.
E’ il momento delle grandi Università, quali Bologna e Parigi. Dove insegnarono figure che rimasero nella storia indelebilmente e sono tutt’ora di riferimento quali ad esempio: Sant’Anselmo (1033-1109), S. Alberto Magno (1206-1280), S. Tommaso(1225-1274), San Bonaventura (1221-1274), Duns Scoto (1265-1308). Lascatemi ricordare personaggi come Abelardo (1079-1142) ed Eloisa (1092-1154).
In questo anno 2021 ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante Alighieri (1321). Desidero ricordare che ricorrono anche gli 800 anni dalla morte di San Domenico (1221), fondatore dei Domenicani. E questo periodo è dunque quello del nascere e svilupparsi degli Ordini mendicanti (Francescani e Domenicani). San Francesco muore nel 1226. Gli ordini mendicanti abitano nelle città, impostano nuovi modelli di predicazione, si impegnano per la riforma della chiesa, si confrontano con le eresie dell’epoca come i catari. Di questo periodo è anche la vita di Pietro Valdo (1140-1218), fondatore della Chiesa evangelica Valdese.
E’ anche il periodo del grande sviluppo del monachesimo medioevale. Penso a Cluny fondata nel 909, al ruolo di Montecassino in quel periodo, a Romualdo e Pier Damiani a Fonte Avellana, le presenze a Camaldoli e Vallombrosa, ai cistercensi con il ruolo di Bernardo di Chiaravalle (1090-1153). L’odine dei certosini fondato nel 1080 da San Bruno in Francia a la Grande Chartreuse. E sono solo cenni superficiali…
Pensate allo sviluppo dell’architettura delle chiese: le grandi cattedrali gotiche, i battisteri, i campanili, i palazzi, le piazze che hanno cambiato il profilo delle città e restano ancora oggi testimonianza di una grande capacità artistica e organizzativa. Pensiamo anche alla grande letteratura (Dante, Petrarca, Boccaccio, ….), alla pittura (Giotto 1267-1337) … …
Ora mi fermo con uno sforzo di volontà perché la mente e il cuore mi porterebbero a continuare … penso alla figura di Federico II di Svevia (1194-1250), al Concilio Lateranense III (1215) convocato da Papa Innocenzo III (con la presenza di oltre 400 vescovi, 70 patriarchi, 900 abati) con temi come la transustanziazione, le crociate, il primato pontificio. Innocenzo III è il Papa che approvò Domenicani e Francescani. Ricordo il periodo del papato avignonese (1309-1377), richiamo ancora lo scisma d’occidente che dal 1378 al 1418 lacerò la chiesa con il confronto di Papa e antipapa, chiuso con il Concilio di Costanza (1414-1418).
Bruno ci guida in questi anni tumultuosi, a volte crudeli, certamente affascinanti, mettendo in evidenza con attenzione e precisione quanto ha riguardato lo sviluppo della liturgia eucaristica, il suo valore ed anche le prassi, i significati legati ai movimenti sull’altare. Quanta ricchezza e quante difficoltà in quel cammino ed anche nel nostro cammino odierno nel quale tanti parroci segnalano chiese sempre più vuote e la necessità di continuare a ripensare il modo con il quale dobbiamo rendere presente il Signore nel nostro tempo.
Grazie ancora, di tutto cuore, carissimo Bruno. Aspettiamo le prossime puntate con vivissimo interesse.
Un cordiale saluto e un abbraccio a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA
DEL RITO DELLA S. MESSA
1. LA STORIA
1.6. La messa nell’Alto Medioevo (VII-X secolo)
Fino a questo periodo la liturgia occidentale conosceva soltanto la lingua latina (oltre al greco e all’ebraico, però ormai in disuso), mentre la Chiesa orientale usava ben sette lingue liturgiche, a seconda dei luoghi: il siriaco, il persiano, il copto, l’armeno, il georgiano, l’etiopico, il paleoslavo, alle quali si aggiunse l’arabo dopo il X secolo. Quando nell’867 i Santi Cirillo e Metodio, apostoli degli slavi, proposero l’introduzione nella liturgia occidentale della lingua slava, incontrarono vivaci opposizioni. In un sermone tenuto a Venezia San Cirillo così si espresse: «Non respiriamo forse tutti l’aria nel medesimo modo? E voi non vi vergognate di stabilire tre sole lingue (l’ebraico, il greco e il latino) decidendo che tutti gli altri popoli e stirpi restino ciechi e sordi? Ditemi: sostenete questo, perché considerate Dio tanto debole da non essere in grado di concederlo, oppure tanto invidioso da non volerlo?». Ma i Papi Niccolò I, Adriano II e Giovanni VIII ne approvarono formalmente l’uso in tutta la liturgia. Scriveva Papa Giovanni VIII (820-882) nella lettera di approvazione scritta nell’880: “Siamo ammoniti dall’autorità divina (At 2,11; Fil 2,11; 1Cor 14,5) che non solo in tre lingue ma in tutte le lingue lodiamo il Signore. Non vi è certamente alcun ostacolo alla fede e alla dottrina nel cantare la messa o nel leggere il santo evangelo o le lezioni divine del Nuovo e Antico Testamento nella lingua slava”. Questa affermazione di principio dimostra chiaramente che la tradizione del plurilinguismo liturgico non è mai stata negata, neppure nelle Chiese occidentali.
Nell’epoca carolingia (VIII-IX secolo) viene promossa un’importante riforma liturgica voluta da Carlo Magno (742-814), re dei Franchi e, a partire dall’800, imperatore dei Romani. A quel tempo nel regno dei Franchi le Chiese seguivano liturgie spesso diverse tra loro. Carlo Magno aveva intuito che per unificare l’Europa minacciata dagli Arabi (fu suo nonno, Carlo Martello, a fermare nel 732 l’avanzata araba in Francia nella battaglia di Poitiers), uno strumento potente era costituito dall’unità spirituale e liturgica; aveva capito che l’interdipendenza tra il potere politico e quello religioso, già inaugurata da Costantino, costituiva un elemento fondamentale per la compattezza dell’intera società, persino più potente delle stesse armi. Venne così imposto in tutto l’impero l’uso del sacramentario romano e tale decisione sarà poi la chiave per realizzare l’unità dell’impero. La resistenza di alcuni vescovi fortemente attaccati alle liturgie locali consentì però la sopravvivenza di alcuni riti locali come quello ispanico di Toledo, quello ambrosiano di Milano e quello gallicano di Lione, riti che si sono conservati fino ai nostri giorni.
Nella messa della riforma carolingia si amplia ulteriormente la passività dei fedeli, che sono sempre più spettatori inerti delle cerimonie, non possedendo la cultura necessaria per comprendere i complessi riti (solo il clero comprendeva la lingua latina) e per eseguire le raffinate melodie gregoriane. L’altare è unico e volto verso il popolo, ma non è più situato centralmente, essendo spostato sulla parete posteriore dell’abside: pertanto, mentre prima era una tavola posta al centro della chiesa, ora diventa un palco dove si svolge un’azione che il popolo deve osservare da lontano. La Chiesa non è più vista come la comunità dei credenti uniti con Cristo risorto nel corpo mistico, bensì come una società gerarchica nella quale il clero è l’esecutore del potere divino che si manifesta soprattutto nell’atto della consacrazione eucaristica, che viene considerata il momento più importante della messa, durante il quale Dio discende dal cielo sull’altare.
L’adorazione delle specie eucaristiche consacrate diventa assai più importante della comunione eucaristica stessa, ormai quasi totalmente disertata anche nei giorni festivi, soprattutto per lo svilupparsi di un esagerato sentimento d’indegnità. La comunione è ormai limitata alla sola ostia che viene ricevuta in ginocchio alla balaustra e non più sulla mano, ma sulla lingua. La comunione al calice è sempre più rara e sparirà definitivamente nel XIV secolo. L’interiorizzazione della liturgia si sposta pertanto dalla dimensione collettiva a quella individuale: l’insistenza sul raccoglimento individuale ed interiore finisce per vanificare il senso comunitario della messa.
Nel IX secolo il vescovo di Treviri Amalario di Metz (775-850) applica alla liturgia la lettura allegorica della Scrittura introdotta dai padri della Chiesa nei primi secoli, collegando tutti i singoli riti della messa con un aspetto della Passione del Signore. Ad esempio, il passaggio del prete dalla destra alla sinistra dell’altare per leggere l’epistola ed il vangelo rappresenta il trasferimento di Gesù dal pretorio di Pilato al palazzo di Erode, il Prefazio corrisponde all’inno cantato da Gesù nell’Ultima Cena, le tre preghiere del canone corrispondono alla triplice orazione di Cristo nell’orto del Getsemani, il Padre Nostro rappresenta Cristo che scende nel sepolcro, e così via. Questa lettura allegorica si svilupperà ulteriormente per tutto il Medioevo, in particolare nel XIII secolo. Evidentemente non ci si accontentava più dei simbolismi essenziali della liturgia (il pane, il vino, l’acqua, la luce), ma si cercava un senso nascosto in ogni gesto compiuto dal prete celebrante.
1.7. La messa nel Basso Medioevo (XI-XV secolo)
La messa nella quale non si capisce la Parola di Dio, si è quasi sempre privati dell’omelia e non si fa quasi più la comunione, appare ormai sempre più come un’azione esclusiva del prete. La “devozione alla messa” ha un ulteriore sviluppo con la moltiplicazione delle messe private e votive e la conseguente proliferazione degli altari nelle chiese, che ormai vengono eretti anche lungo i muri laterali e negli oratori, mentre i preti incominciano a celebrare con le spalle rivolte verso il popolo. Le messe private (caratterizzate da assemblee spesso costituite da una sola persona e quindi senza la presenza di diaconi, lettori e cantori) diventano ben più numerose delle messe solenni, caratterizzate dalla partecipazione del popolo. I libri liturgici si riducono al solo messale, un unico libro per l’unico celebrante della messa che viene così ridotta ad un atto devozionale del solo prete che celebra la “sua” messa. La liturgia della Parola è sempre più considerata un elemento secondario rispetto all’elemento fondamentale costituito dalla consacrazione.
Tommaso d’Aquino (1225-1274) nei suoi scritti insiste ancora ripetutamente sul significato della messa come un atto pubblico compiuto da tutti i cristiani presenti e sull’importanza di comunicarsi sotto le due specie, ma constata amaramente che purtroppo non è più l’uso generale.
Nel 1047 il filosofo francese Berengario di Tours (999-1088) apre una vasta polemica, affermando che il pane e il vino consacrati sono solo simboli del corpo e del sangue di Cristo e suscitando un profondo scandalo nella cristianità. La condanna delle tesi di Berengario viene decretata nel Concilio di Vercelli del 1050 e in diversi concili successivi e provoca una reazione generale che diede origine al cosiddetto “desiderio di guardare l’ostia consacrata”, reazione che all’inizio del XIII secolo condusse il vescovo di Parigi Eudes de Sully (1166-1208) ad istituire il rito dell’elevazione dell’ostia subito dopo la consacrazione, per esporla all’adorazione dei fedeli, che nel secolo XIV fu seguito anche dal rito dell’elevazione del calice. Con il passare del tempo tali riti divennero il momento centrale della messa, anzi, il suo unico momento fondamentale. Si incominciò inoltre a venerare il Santissimo Sacramento collocato ormai sopra l’altare in un cofanetto prezioso e successivamente nel tabernacolo. La comunione era diventata così rara che nel 1215 il IV Concilio Lateranense dovette imporre ai fedeli almeno la comunione a Pasqua.
Nella prima metà del XIII secolo una religiosa belga, la monaca agostiniana Giuliana di Cornillon o di Liegi (1191-1258) a seguito di alcune visioni sviluppò una profonda devozione all’Eucaristia ed ispirò al vescovo di Liegi l’istituzione di una festa dedicata al SS. Sacramento, festa che Papa Urbano IV nel 1264 estese a tutta la Chiesa d’Occidente e che prese il nome di festa del Corpus Domini, rafforzando così il culto per l’ostia consacrata. Tale devozione condusse al moltiplicarsi delle processioni eucaristiche che diventarono ben presto le principali e più seguite manifestazioni religiose di tutto l’anno liturgico.
In questi secoli, a partire dall’epoca di Carlo Magno, si sviluppa sempre più la filosofia scolastica, che cercava di conciliare la fede cristiana con un sistema di pensiero razionale, specialmente quello della filosofia greca, e che influenzò notevolmente l’evoluzione della teologia eucaristica. Tra le figure di maggior spicco della scolastica ricordiamo Giovanni Scoto Eriùgena, Anselmo d’Aosta, Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio.
1.8. La teologia eucaristica nella Tarda Antichità e nel Medioevo
Già nei primi secoli e per tutto il Medioevo non vi è mai stato alcun dubbio nel riconoscere che l’Eucaristia è il simbolo della Chiesa, il grande atto cultuale dei cristiani, la celebrazione rituale della Passione-morte di Cristo. Al centro dell’eucaristia c’è l’offerta del pane e del vino e la loro trasformazione nel corpo e nel sangue di Cristo, con la ripetizione dei gesti e delle parole dell’Ultima cena.
Perlomeno nei primi secoli, si ritiene fermamente che il pane e il vino consacrati sono realmente il corpo e il sangue del Salvatore. Ci si pone però il problema di capire e di spiegare come accade tale trasformazione: alcuni la spiegano come un cambiamento reale, come una vera e propria conversione che avviene nel pane e nel vino; altri distinguono tra gli elementi visibili (pane e vino) e la realtà che rappresentano (corpo e sangue). Altri ancora affermano che il pane e il vino sono segni di realtà veramente presenti anche se discernibili soltanto mediante la fede. Sant’Ambrogio sostiene che la consacrazione è un’azione quasi creatrice che muta la natura del pane e del vino per farne qualcosa che prima non esisteva. Sant’Agostino scrive in un sermone: “Voi sapete ciò che voi mangiate e ciò che voi bevete, o meglio, chi voi mangiate e chi voi bevete”, mentre in altri sermoni paragona il corpo sacramentale di Cristo con il suo corpo mistico.
Nel secolo IX il monaco benedettino Pascasio Radberto (785-865) sostiene l’identità tra il corpo eucaristico e il corpo storico di Gesù, mentre un altro monaco benedettino Ratramno di Corbie (800-868) la rifiuta, definendo quella del corpo eucaristico “una presenza spirituale” di Gesù.
Alle tesi di Berengario di Tours che, come si è visto nel paragrafo precedente, aveva ridotto il pane e il vino consacrati a simboli del corpo e del sangue di Cristo risponde il vescovo di Canterbury Lanfranco di Pavia (1005-1089) sostenendo che durante la consacrazione avviene una conversione di essenza che coinvolge la sostanza interna della materia, ma non le sue qualità esteriori, che mantengono in apparenza la stessa forma. La condanna delle tesi di Berengario viene decretata in diversi concili fino al Concilio Lateranense IV (1215) nel quale per indicare e definire il mistero eucaristico viene ufficialmente introdotto il termine “transustanziazione” che significa “cambiamento della sostanza”.
Si cerca inoltre di superare la distanza che sembra esservi tra la rappresentazione figurata e rituale della Passione di Cristo, qual è quella data dalla celebrazione eucaristica, e la realtà storica della sua Passione e morte in croce, precisando che è unica la vittima offerta e quindi che è unico l’effetto. San Tommaso d’Aquino (1225-1274) precisa che l’eucaristia ha una duplice dimensione: quella di “sacrificio” e quella di “sacramento”, proprio perché è memoriale della passione del Signore e contemporaneamente presenza reale del suo corpo e sangue. Sarà il Concilio di Trento ad affrontare a fondo il problema del sacrificio della messa sia sul piano dottrinale sia su quello celebrativo.
Un altro aspetto di grande importanza che segna profondamente il rapporto tra l’assemblea e la celebrazione eucaristica è la lingua usata per le orazioni, le letture, la preghiera eucaristica. Come si è visto nei paragrafi precedenti, quando aumenta sempre più il numero di coloro che non comprendono la lingua greca, la lingua liturgica diventa il latino e, perlomeno nelle Chiese orientali, vengono usate varie lingue per consentire ai fedeli di comprendere i riti della messa. Nelle Chiese dell’occidente invece il latino assume il ruolo di unica lingua liturgica e tale rimarrà anche nei secoli successivi, contribuendo ad ampliare sempre più la passività dei fedeli ed il loro ruolo di spettatori inerti della celebrazione eucaristica. Nel XVI secolo il Concilio di Trento, in risposta alle contestazioni della riforma protestante, ribadirà ancora una volta il divieto di celebrare la messa nelle lingue volgari e nel 1794 Papa Pio VI nella Bolla Auctorem Fidei condannerà come “temeraria, offensiva delle pie orecchie, contumeliosa contro la Chiesa e favorevole alle maldicenze degli eretici contro la Chiesa stessa” l’introduzione nella liturgia della lingua volgare e della lettura ad alta voce delle preghiere della messa, stabilita dal Sinodo diocesano di Pistoia nel 1786.
Persino ai giorni nostri vi sono ancora gruppi di cattolici che rifiutano ostinatamente l’uso delle lingue volgari nella celebrazione eucaristica, preferendo la lingua latina, anche se quasi più nessuno la comprende, con il prete che celebra con le spalle rivolte verso il popolo e l’assemblea che svolge un ruolo totalmente passivo. Tali gruppi rifiutano la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, “con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la ‘vera Chiesa’”, come scrive Papa Francesco nella lettera di presentazione della Lettera Apostolica in forma di “Motu proprio” “Traditiones custodes” da lui pubblicata il 21 luglio 2021, nella quale vengono poste alcune condizioni ben precise per la celebrazione della messa secondo il messale tridentino del 1962.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».