Domenica 19-9-2021 – XXV Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
questa domenica 19.9.21 le letture cominciano dal Libro della Sapienza. Libro affascinante che è considerato il più recente dell’ AT. Ricordo che fu scritto in greco e non fa parte del canone ebraico. E’ databile intorno al primo secolo a.C. e rappresenta la condizione difficile degli ebrei in un contesto ellenizzato come quello di Alessandria, culturalmente avanzato. Gli ebrei sono disprezzati e messi alla prova. E’ attribuito letterariamente a Salomone che si rivolge agli altri re della terra e narra come sia arrivato giovanissimo al potere chiedendo a Dio un cuore saggio e intelligente per governare. L’autore del libro si rivolge agli ebrei, suoi compatrioti, ma si rivolge anche a noi. La sapienza di Dio, infatti, è assimilata al suo spirito che è inviato in nostro aiuto. Quante volte anche noi dobbiamo confrontarci con un contesto che ci mette alla prova per giudicarci. “Se infatti il giusto è figlio di Dio, egli verrà in suo aiuto…” (Sap 2,18). Don Giuseppe ci dice con forza: “Per chi ha sentito e accolto predicazione e opera di Gesù c’è la sicurezza dell’aiuto di Dio.” Dobbiamo sentirci sostenuti perché, pur nelle difficoltà, continuiamo a cercare con desiderio il Signore. Ma la sfida che sta davanti all’autore del libro della Sapienza è anche la nostra sfida quella, cioè, di un contesto difficile nel quale rendere comprensibile la nostra fede e la nostra testimonianza. Per questo dobbiamo invocare, con forza la Sapienza di Dio.
L’autore della lettera di Giacomo esprime con senso pratico il significato della sapienza. “… la sapienza che viene dall’alto anzitutto è pura, poi pacificata, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, imparziale e sincera.” (Gc 3,17). Il senso profondo della Sapienza è quello di costruire la pace come dimensione propria dell’umanità. Ed anche questo messaggio è oggi, come allora, particolarmente attuale ed esige capacità e impegno per testimoniarlo.
Gesù, nel Vangelo di Marco, dopo aver parlato della sua morte e resurrezione, si trova di fronte i discepoli che discutono su chi “tra loro fosse più grande”.
Probabilmente non riescono ancora a capire, ad accettare, che Gesù non sia anche un messia politico. Ma Gesù usa il linguaggio del “servo sofferente”, la sapienza di Gesù è la sapienza di Dio ove il Regno è il luogo del servizio gratuito, del dono di sé stessi. E allora Gesù, con pazienza, dice Don Giuseppe quasi con un “sospiro”, riprende pacatamente l’insegnamento diretto ai suoi discepoli: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti…” (Mc 9,35) e pone in centro a loro un bambino da imitare e da accogliere. Don Giuseppe conclude: “Così un insegnamento iniziato nella prospettiva della morte redentrice di Gesù termina ancora nella prospettiva dell’unica grandezza autentica, quella della piccolezza e del servizio.” La grandezza della sapienza di Dio.
Il Salmo, di grande valore anche letterario, si innesta su questo insegnamento, su questa riflessione sulla sapienza di Dio, e ci porta a pregare Dio “per il tuo nome”, ove il “nome” è la persona stessa di Dio. Ci porta a lodare Dio con la preghiera che è “sacrificio” del cuore:
“Dio, per il tuo nome salvami, / per la tua potenza rendimi giustizia. /
Dio, ascolta la mia preghiera, / porgi l’orecchio alle parole della mia bocca. /
…. Ti offrirò un sacrificio spontaneo, / loderò il tuo nome, Signore, perché è buono. “ (Sal 54/53, 3-4; 8)
Con questa preghiera sulle labbra, con il desiderio di vera sapienza, Vi invio anche a nome di Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella e tutto il Consiglio una grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. Ricordo che martedì 5 ottobre 2021, alle ore 18,00 Don Giuseppe celebrerà per noi la S. Messa del 1° martedì di ottobre presso la Chiesa della Confraternita.
XXV dom. t. o. – B
(19 – 9 – 2021)
Letture bibliche – Sap 2,12.217-20; Gc 3, 16 – 4,3; Mc 9,30-37.
Dal libro della Sapienza (dell’Antico Testamento) ci vengono presentati i ragionamenti che fanno gli “empi” (i cattivi che non tengono nessun conto di Dio) ai danni del “giusto”, che non condivide le loro “trasgressioni contro l’educazione ricevuta”. Il loro ragionamento è sarcastico: “Se il giusto è figlio di Dio”; e non hanno proprio nessuna paura che Dio “venga in suo aiuto”. Ma la posta in gioco intanto è: “se il giusto è figlio di Dio”. L’intenzione nel citare questo passo anticotestamentario è di provocare le risposte possibili (“se il giusto è”) e poi di giudicare quale è quella vera: gli empi diranno naturalmente che il giusto non è figlio e quindi Dio non verrà ad aiutarlo. Ma in realtà il giusto è figlio di Dio e dunque Dio accorrerà in suo aiuto. Per chi ha sentito e accolto predicazione e opera di Gesù c’è la sicurezza dell’aiuto di Dio. Ma intanto risuona la decisione sprezzante: “Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà”.
Il brano evangelico (da Marco, che ci accompagna quest’anno) presenta una delle predizioni che Gesù ha fatto della sua fine crudele, seguita però dalla resurrezione “dopo tre giorni”. Ma questa prospettiva non addolora molto, evidentemente, i discepoli, che discutono “tra loro chi fosse più grande”. Gesù rinuncia allora a fare grandi discorsi per passare a un esempio pratico: per dimostrare che “chi vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Per questo chi accoglie “uno solo di questi bambini nel mio nome accoglie me”, cioè, in ultima analisi, “colui che mi ha mandato”. Così un insegnamento iniziato nella prospettiva della morte redentrice di Gesù termina ancora nella prospettiva dell’unica grandezza autentica, quella della piccolezza e del servizio. D’altra parte, più convincente che l’esempio del bambino è l’esempio stesso di Gesù, che ha fatto sistematicamente la scelta di essere “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”.
Essi non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo
Tutto il vangelo è un susseguirsi di parole di Gesù affidate all’incomprensione dei suoi uditori. E lui non si scoraggia mai: al massimo un sospiro e poi la ripresa del tema, eventualmente con qualche variante. Qui, oggi, si assommano due particolari: a) la disponibilità ad affrontare tutta la sofferenza per ottenere il riscatto dalla condanna e b) la scelta di una piccolezza (per chi vuol seguire Gesù) che sembrerebbe contraddire ogni efficacia di un progetto conciliatore.
Quella dell’accettazione della sofferenza come componente fondamentale del discepolato si scontra con un rifiuto istintivo che sembra insuperabile: non si fa niente per mietere insuccesso.
E quella della piccolezza è incompatibile con la tendenza istintiva di ogni essere vivente a inseguire un successo che giustifichi gli sforzi compiuti.
E’ evidente che l’ideale di Gesù non è un comportamento masochista. Egli non progetta l’insuccesso per l’insuccesso. Egli però conosce una pluralità di fattori e di esiti di comportamento: così, non ha mai detto di capovolgere i rapporti tra le varie cause e i vari effetti, perché il suo programma non è innaturale. Ma all’interno di un comportamento e programma naturali il suo valore massimo non è il raggiungimento di un successo “terreno”. Nel perseguire gli obiettivi più spontanei, egli ne fa strumento per un cammino verso un “incontro” che si concede per strade che noi conosciamo e dominiamo solo relativamente.
E poiché nessuno è ‘utile’ solo a sé stesso, gli obiettivi devono perfezionarsi secondo l’insegnamento e l’esempio di Gesù. Egli ci chiede di accettare di essere “l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”, come ha fatto lui, imitando l’esempio che ci ha dato, con la disponibilità a tenere un posto che nell’umiltà trova la sua fecondità. E se ci sembrano cose impossibili o senza senso, pensiamo solo ai santi e alla Regina dei santi, la Mamma di Gesù: alla resa dei conti dobbiamo constatare che l’ideale di Gesù si applica a tutte le nostre situazioni di vita e le nostre imperfezioni (e insufficienze) le affidiamo a quella misericordia che non conosce limiti.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti