Domenica 24-10-2021 – XXX Tempo Ordinario- Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
questo mio breve e povero scritto che settimanalmente accompagna le riflessioni di Don Giuseppe è la testimonianza di un dialogo intenso e costante proprio con Don Giuseppe il quale ci accompagna, con saggezza e umiltà, all’incontro con la Parola di Dio. Posso così soffermarmi sulle letture che la liturgia domenicale ci offre accompagnato dal lume acceso che Don Giuseppe tiene alto dinnanzi a me. E’ un dialogo nutriente al quale sento unirsi la vostra partecipazione in un cammino di fede, talora arduo, sempre ricco di vita, di orizzonti che si allargano, di speranza.
Don Giuseppe ama la Parola di Dio alla quale ha dedicato tutta la vita e così comincia il suo commento: “… io sono innamorato del racconto evangelico di oggi e vi prego di lasciarmi cominciare di qui (da Marco, che per il racconto del cieco di Gerico è più ricco che Matteo e Luca).”
Allora anche io seguo la riflessione di Don Giuseppe che accompagna il testo di Marco, testo che dice: “… Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.” (Mc 10, 46). Era dunque seduto, fermo, lungo la strada (“parà ten odòn” dice il testo greco, cioè proprio “lungo la strada”) . La strada è il luogo dove il seme che cade non da frutto. Ma l’incontro con Gesù gli ridona la vista, gli cambia la vita.
Marco dice che dopo l’incontro con Gesù e la guarigione: “… lo seguiva lungo la strada.” (Mc 10,52). Non è più fermo, seduto ai margini della strada, ma si è messo in cammino nella strada (il testo greco dice proprio: “en tè odò” cioè nella strada) e la strada è Gesù che è via, verità e vita. Bartimeo, uomo di fede, cammina dunque in Gesù.
Dice Don Giuseppe: “La strada porta a Gerusalemme e quel poveretto diventa così l’ultimo discepolo di Gesù prima della passione.”
Anche noi ci fermiamo, talora, lungo la strada e il seme muore. Dobbiamo invece cercare Gesù, invocarlo, metterci in cammino nella sua strada, in Gesù che è via, verità e vita e che ci libera, accoglie e risana.
Il Salmo di questa domenica è un salmo di ringraziamento, uno dei più belli e al quale si ispira il Magnificat. Andiamo dunque a cantarlo come se fossimo una processione che sale la strada che porta a Gerusalemme dopo la liberazione da Babilonia, dopo aver riacquistato la vista.
“Allora si diceva tra le genti: /
‘il Signore ha fatto grandi cose per loro’. /
Grandi cose ha fatto il Signore per noi: /
eravamo pieni di gioia. /
Ristabilisci, Signore, la nostra sorte, /
come i torrenti nel Nègheb. /
Chi semina nelle lacrime /
mieterà nella gioia. /
Nell’andare, se ne va piangendo, /
portando la semente da gettare, /
ma nel tornare, viene con gioia, /
portando i suoi covoni.” (Sal 126/125 2,6)
Con Don Giuseppe, Suor Maria Clara e tutto il Consiglio Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. Sabato 23-10-2021 l’incontro con Bruno Barberis sulla storia del rito della S. Messa alle ore 15,30 nella chiesa del SS. Sudario (Via Piave angolo Via San Domenico)
XXX dom. t.o. – B
(24 – 10 – 21)
Letture bibliche: Ger 31, 7-9; Eb 5, 1-6; Mc 10, 46-52
Bisognerebbe sempre incominciare dalla prima lettura, dell’Antico Testamento, ma io sono innamorato del racconto evangelico di oggi e vi prego di lasciarmi incominciare di qui (da Marco, che per il racconto del cieco di Gerico è più ricco che Matteo e Luca). Gesù ha terminato la sua predicazione in Galilea e sta indirizzandosi verso Gerusalemme, dove gli verrà subito incontro la dolorosissima passione. Ai margini della strada dove lui passa, c’è un poveretto che ha perso la vista (il vangelo non ci dice né come-quando né perché: è importante che ora è un poveretto, cieco). Solo Marco ci dice il nome, Bartimeo, ma evidentemente il papà, Timeo, non gli era di aiuto. Sente dalla gente che per strada sta accadendo qualcosa di straordinario e ode il nome di Gesù. Lui entra subito in azione e grida: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” (come abbia fatto a sapere che è “figlio di Davide” non importa: di fatto, qualcosa l’ha fatto arrivare a quella consapevolezza). Si prende i rimproveri della gente che accompagna Gesù ed egli aumenta le sue grida. Che servono a qualcosa, perché Gesù si arresta e lo chiama. L’interesse di Gesù diventa interesse della gente, che cambia atteggiamento: “Coraggio, alzati, ti chiama”. Di qui tutto diventa quasi routine: lui getta via il mantello (l’unica cosa che ha, soprattutto per ripararsi un po’ dal freddo notturno) per essere più libero e si lancia verso Gesù, che gli fa la domanda solo apparentemente inutile: “Che cosa vuoi che ti faccia?”. E’ facile capire quel che lui risponde: “Che riabbia la vista” e anche Gesù risponde: “Va, la tua fede ti ha salvato”. Arriva subito la vista e lui non va a riprendere il mantello, perché vuole seguire Gesù: tutto il resto non conta più. La strada porta a Gerusalemme e quel poveretto diventa così l’ultimo discepolo di Gesù prima della passione.
E’ tutto così bello e così impegnativo, nella sua semplicità: quell’uomo è nel bisogno, il bisogno lo orienta a Gesù, e a questo punto lui viene esaudito, ma sembra dimenticare se stesso, perché nel frattempo sembra essersi innamorato di Gesù e lascia tutto il resto, per seguire quel caro Gesù. Si direbbe che la vista riacquistata la usa subito per seguire quel Gesù, con cui c’è stato immediatamente un pieno scambio di affetto. Poi Marco non ci dice più niente di lui e lui in realtà non è riuscito a evitare la crocifissione di quel Gesù figlio di Davide. Ma tutto fa pensare che il rapporto tra di loro abbia avuto vita lunga, fino al loro incontro beato e definitivo. Chi sa se intanto lui, poveretto, aveva ricuperato il suo mantello… Ma penso proprio che il suo Gesù, nel frattempo, non l’abbia mai più perso; e per lui, nel frattempo, il suo Gesù valeva di più che il suo mantello.
Noi possiamo metterci tutti dietro le spalle di Bartimeo e andare anche noi tutti i giorni da Gesù, figlio di Davide, a chiedergli: “che io riabbia la vista”. Anche a noi è capitato di perderla e possiamo dire, purtroppo con verità, che almeno un po’ di colpa l’abbiamo sempre avuta.
Io sono un padre in Israele
Ogni sommo sacerdote è scelto tra gli uomini e per gli uomini
Queste espressioni, tratte dalle prime letture liturgiche di oggi (una dalla profezia di Geremia, profeta dell’Antico Testamento, e l’altra dalla Lettera agli Ebrei, composta alcuni decenni dopo la risurrezione di Gesù), ci danno con espressioni umane, una spiegazione di quanto abbiamo visto nell’incontro di Gesù con quel povero cieco: un’espressione della paternità di Dio (che si esprime attraverso l’opera di Gesù) e poi un esercizio dell’eterno sacerdozio di Gesù (venuto a sconfiggere ogni manifestazione del male). Il miracolo che Gesù compie, secondo il racconto di Marco, non è – a prima vista – collegato a un comportamento peccaminoso del malato, eppure, come tutte le manifestazioni di ogni male, è collegato al male che c’è nell’uomo. Ricordiamo quando Gesù dice a un malato di non peccare più e che gli sono rimessi i peccati, proprio mentre interviene per allontanare da lui un male fisico (cf. Mc 2, 9-12 e i paralleli in Mt 9,5-7 e Lc 5,23-25).
A dir vero, Gesù non dice al nostro cieco nulla di suoi peccati, ma la lode che gli rivolge (“la tua fede ti ha salvato”) suppone proprio il rovescio dell’atteggiamento di peccato: la fede è l’antidoto potente. E’ davanti a Gesù, nella sincerità del ragionamento della nostra coscienza, che si decide e si esprime la scelta fondamentale: in Gesù, solo in Gesù, viene posta la nostra fiducia e solo a Gesù viene indirizzata quella scelta totalizzante della nostra vita. Il nostro cieco non ha fatto tutto questo ragionamento, eppure è riuscito a esprimere a Gesù la preferenza radicale di tutte le sue scelte, senza lasciarsi distrarre da quel povero mantello, abbandonato ai margini di una strada benedetta, che gli aveva fatto incontrare Gesù.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti