Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 6^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
prosegue, con questa sesta puntata, il cammino di studio sul significato, struttura e storia del rito della S. Messa propostoci dal carissimo amico e socio Prof. Bruno Barberis.
Innanzi tutto, dopo aver letto e riletto questo lavoro, mi sale dal cuore un grande e commosso grazie a Bruno per quanto ci offre in termini di contenuti dettagliati e completi, di stile sobrio e accattivante, di valutazioni attente e circostanziate. Grazie anche al Signore per questa ricchezza di dono di grazia che attraverso gli scritti di Bruno ci giunge.
Era terminato il precedente studio (culminato nell’incontro diretto con Bruno del 23 ottobre u.s. nella Chiesa del S. Sudario) con l’esposizione delle principali posizioni degli esponenti della Riforma protestante in merito all’Eucarestia. Erano state poi sviluppate le deliberazioni del Concilio di Trento (1545-1563) in merito al rito della Santa Messa e analizzati i contenuti della edizione del Messale tridentino ad opera di Papa San Pio V (1570), Messale che regolò la celebrazione dell’Eucarestia per i successivi quattro secoli.
Arriviamo con questo sesta puntata alle importanti fasi di studio e di riflessione che precedettero le deliberazioni del Concilio Vaticano II (1962-1965) e la pubblicazione del nuovo “Missale Romanum” da parte di Papa Paolo VI il 26 marzo 1970.
Bruno ci fa gustare il cammino preparatorio al Concilio Vaticano II attraverso l’opera di tanti laici, teologi e Vescovi, con il sostegno dei Papi che si sono succeduti nella prima metà del XX secolo (ricordo tra tutto il 1^ Congresso internazionale di Liturgia Pastorale tenutosi ad Assisi nel 1956. In quella occasione Papa Pio XII definì il movimento liturgico “un segno delle disposizioni provvidenziali di Dio …”).
Nel mese di ottobre del 1962 inizia il Concilio Vaticano II. Il 4 dicembre 1963 viene approvata la Costituzione Dogmatica “Sacrosanctum Concilium” sulla divina liturgia.
Bruno ci guida, con mano sicura, nel cammino del Concilio facendoci vedere il filo rosso che lega la “Sacrosanctum Concilium” con le altre tre costituzioni conciliari riprendendo questa nota formula (tra parentesi il titolo delle Costituzioni Dogmatiche del Concilio):
«La Chiesa (Lumen Gentium) nella Parola di Dio (Dei Verbum) celebra i santi misteri (Sacrosanctum Concilium) per la salvezza del mondo (Gaudium et Spes)».
Bruno ci ricorda che la prima Messa in lingua italiana fu celebrata da Papa Paolo VI il 7 marzo 1965 e il nuovo Messale venne pubblicato il 26 marzo 1970.
Nello studio di Bruno sono anche sintetizzati con completezza e attenzione i criteri che stanno alla base della riforma liturgica e ricordate le successive edizioni del Messale.
Tutti abbiamo vissuto questi momenti, sovente drammaticamente sofferti, di arricchimento del nostro incontro con il Signore attraverso la liturgia il cui “culmen et fons” è costituito dalla S. Messa.
Questo prezioso lavoro di Bruno proseguirà (a metà febbraio) con una settima puntata che svilupperà le caratteristiche del nuovo rito secondo il nuovo Messale romano, con evidenza delle principali novità. Il progetto prevede inoltre una seconda parte suddivisa in tre capitoli dedicati alla descrizione dettagliata della S. Messa secondo il nuovo Messale romano: un capitolo sulla liturgia della Parola, uno sulla liturgia eucaristica e uno sui riti di introduzione e su quelli di conclusione.
Possiamo immaginare e sperare di avere poi un secondo incontro diretto con Bruno per ripassare e approfondire quanto per scritto è stato trattato e per porre le domande che ci stanno più a cuore.
Desidero ancora ringraziare vivamente Bruno per questo suo impegnativo, formativo e sapiente lavoro che lascio con gioia alla vostra lettura e meditazione.
Un grande abbraccio a tutti particolarmente uniti nella preghiera per questo momento così difficile.
Contardo Codegone
Potete trovare questi articoli di Bruno anche nella sezione:
INIZIATIVE – Approfondimenti -Significato, struttura e storia del rito della S. Messa o cliccando direttamente sul link:
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA
DEL RITO DELLA S. MESSA
1. LA STORIA
1.10 La messa nell’Epoca Moderna: dalla nascita del movimento liturgico al Concilio Vaticano II (XIX-XX secolo)
1.10.1 La messa tridentina
Sicuramente nell’arco di venti secoli di storia del cristianesimo non c’è mai stato un periodo di vita liturgica così variegato come quello che ha caratterizzato quest’ultimo secolo e mezzo.
Incominciamo dall’inizio. Dal punto di vista della celebrazione eucaristica la seconda metà del secolo XIX si trova in pieno periodo tridentino. La struttura della ritualità della messa e soprattutto la sua spiegazione e relativa comprensione dipendono da quanto stabilito nel cosiddetto Catechismus ad Parochos del 1566 (il catechismo redatto da una commissione incaricata dallo stesso Concilio e rivolto ai sacerdoti allo scopo di fornire loro un manuale che servisse come base per l’istruzione dei fedeli) e dalla riforma liturgica voluta dal Concilio di Trento e attuata tra il 1568 e il 1614 con l’edizione rinnovata dei sei libri liturgici ufficiali.
Nella messa tridentina la prima parte della celebrazione è la cosiddetta “messa dei catecumeni” o “messa didattica” che ha uno scopo principalmente catechetico. Inizia con il rito dalle preghiere dette dal solo sacerdote sottovoce ai piedi dell’altare di spalle ai fedeli, poi, dopo la recita del Gloria e dell’orazione della Colletta, il suddiacono legge l’Epistola rivolto verso l’altare. Seguono il Graduale (simile al salmo responsoriale), l’Alleluia, la Sequenza, la proclamazione o il canto del Vangelo seguito dalla predica e dal Credo. La seconda parte della messa, detta “dei fedeli”, ed è suddivisa in tre sezioni: l’offertorio, la consacrazione eucaristica e la santa comunione. Nell’offertorio le preghiere sono recitate sottovoce dal prete. Il “canone”, che per circa sedici secoli è stata l’unica preghiera eucaristica del rito romano, viene recitato sottovoce dal sacerdote di spalle ai fedeli, è costellato da 25 segni di croce ed è tutto concentrato sulla consacrazione e la connessa “grande elevazione” (con genuflessioni, suono di campanelli, incensazioni e presenza di candele) per concludersi con la “piccola elevazione” (l’attuale dossologia). Non è previsto lo scambio del segno della pace. L’”Ite, Missa est” finaleprecede la preghiera finale, l’ultima benedizione e la recita del prologo del vangelo di S. Giovanni.
Il libro liturgico per eccellenza, e praticamente l’unico, è il Messale romano, pubblicato in varie edizioni successive: infatti alla prima edizione del 1570 seguirono quelle del 1604, 1634, 1884, 1920 e 1962.
1.10.2 Il movimento liturgico
Nel paragrafo 1.9.3 si è accennato al sorgere, già a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, di varie, anche se isolate, scuole di spiritualità e di studio che invocarono a più riprese una riforma liturgica, senza riuscire però a suscitare nella Chiesa significativi ed ampi consensi.
Il primo concilio successivo a quello di Trento, il Concilio ecumenico Vaticano I (convocato da Papa Pio IX il 29 giugno 1868, celebrato tra l’8 dicembre 1869 e il 18 luglio 1870 e poi definitivamente sospeso a causa della presa di Roma attraverso la breccia di Porta Pia), non trattò il tema della celebrazione eucaristica.
Nella seconda metà del XIX secolo e soprattutto agli inizi del XX secolo si accese comunque un rinnovato interesse e una rinnovata attenzione alla liturgia celebrata e vissuta: inizialmente in Francia, promosso dall’abate benedettino Prosper Guéranger (1805-1875), e successivamente in vari paesi d’Europa (in particolare Belgio e Germania). Nacque così un po’ alla volta il cosiddetto Movimento liturgico che si proponeva di portare la liturgia al popolo e il popolo alla liturgia, sviluppando un insieme di attività formative tali da creare progressivamente una “mentalità liturgica” a tutti i livelli di responsabilità nella Chiesa. In Italia il Movimento liturgico procedette con molta lentezza, anche se degne di nota furono le iniziative di alcuni (anche se pochi) vescovi, tra i quali mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, e il cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano. Espressione del rinnovamento liturgico in Italia non furono solo gli scritti e l’opera di vescovi, ma anche e soprattutto le numerosissime iniziative e pubblicazioni realizzate da singoli, diocesi e associazioni allo scopo di favorire la partecipazione dei fedeli alla Messa. Nel 1934 a Genova si tenne il primo Congresso Liturgico Nazionale.
Durante i pontificati di Pio X, Benedetto XV, Pio XI e Pio XII numerosi furono gli interventi dei pontefici riguardanti, direttamente o indirettamente, la messa, soprattutto al fine di favorirne la conoscenza e quindi la partecipazione, pur senza toccarne la ‘forma’, con la promozione di sussidi come i messalini. I documenti magisteriali più importanti di tutto il periodo postridentino sono stati due: il Motu proprio Tra le sollecitudini di Pio X del 1903, in cui il papa fa propria l’idea – sostenuta dal Movimento liturgico – della liturgia come «prima e indispensabile fonte» della Chiesa e nel quale per la prima volta compare ufficialmente l’espressione «partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia»; l’enciclica Mediator Dei et hominum di Pio XII del 1947, che offrì per la prima volta alla Chiesa una riflessione interamente dedicata alla liturgia.
Anche se la riforma liturgica di Pio XII non produsse cambiamenti significativi, sotto il suo pontificato nacquero diversi organismi e istituzioni che, attraverso un costante lavoro di studio e con un cammino educativo compiuto tramite periodici, congressi e pubblicazioni di sussidi di vario genere, prepareranno e poi animeranno le discussioni conciliari del Concilio Vaticano II. Tra di essi ricordiamo, ad esempio, l’attività di promozione e di apostolato liturgico promossa dall’Opera della Regalità, fondata a Milano da Padre Agostino Gemelli nel 1929, e il Centro di Azione Liturgica, sorto a Parma nel 1947. Un evento di particolare importanza fu il I Congresso internazionale di Liturgia Pastorale tenutosi ad Assisi nel 1956, caratterizzato da una profonda attenzione alla prospettiva pastorale e alla necessità dell’adattamento della liturgia alla mentalità e alle tradizioni dei singoli popoli. In quell’occasione Pio XII definì il Movimento liturgico «un segno delle disposizioni provvidenziali di Dio per il tempo presente, un passaggio dello Spirito Santo all’interno della sua Chiesa, per avvicinare di più gli uomini ai misteri della fede e alle ricchezze della grazia, che emanano dalla partecipazione attiva dei fedeli alla vita liturgica».
In Italia le iniziative di quegli anni produssero numerosissime pubblicazioni di divulgazione, allo scopo di far conoscere le posizioni e le riflessioni del movimento al popolo e alle parrocchie, ma anche al clero, che spesso, seppur persuaso in teoria delle ragioni del Movimento liturgico, nella pratica era portato a continuare secondo quello che si era sempre fatto. Convinzione di fondo degli artefici del Movimento liturgico in Italia era lo stretto legame tra liturgia e vita cristiana, per cui una rivalorizzazione e una rinascita dello spirito liturgico avrebbero favorito la ripresa di una vita cristiana più autentica.
1.10.3 La Costituzione dogmatica Sacrosanctum Concilium sulla liturgia del Concilio Vaticano II
Il 25 gennaio 1959 Giovanni XXIII annuncia un concilio per la Chiesa universale che ha inizio l’11 ottobre 1962. I lavori si incentreranno subito sul tema della liturgia perché lo schema preparatorio su tale argomento era quello già pronto per la discussione e condiviso dalla maggior parte dei vescovi. Nel giro di un anno, il 4 dicembre 1963, la Sacrosanctum Concilium, la costituzione dogmatica sulla divina liturgia, sarà approvata dai padri conciliari a larghissima maggioranza (2147 voti favorevoli e 4 voti contrari). Precisati nel primo capitolo i principi essenziali della liturgia e della sua riforma, il documento conciliare dedica al mistero eucaristico soprattutto il secondo capitolo. Numerosi riferimenti alla messa sono presenti ovunque e tutto il contenuto è sempre rivolto alla comprensione della liturgia e al suo “culmen et fons” che è costituito dalla messa. È nel capitolo II che, dopo aver dato una definizione della messa come «memoriale della morte e risurrezione» (n. 47), si manifesta la preoccupazione per la partecipazione attiva dei fedeli (n. 48). Per questo viene stabilita la necessità di una riforma dell’ordinario della messa (n. 50), si auspica una più abbondante presenza della Parola di Dio nelle celebrazioni eucaristiche (n. 51) e il ritorno dell’omelia alla sua funzione di parte insostituibile della messa (n. 52). Si stabilisce il ripristino della preghiera dei fedeli (n. 53), si incoraggia l’uso della lingua nazionale insieme al latino (n. 54); si raccomanda la partecipazione dei fedeli alla comunione e si concede loro la possibilità di comunicarsi sotto le due specie (n. 55); si ribadisce che la messa va vista come un unico atto di culto dall’inizio alla fine (n. 56); la facoltà della concelebrazione viene estesa a numerose occasioni (n. 57).
La Sacrosanctum Concilium si presenta dunque come la magna charta del culto cristiano, ma i suoi contenuti non sono circoscritti al solo ambito rituale e manifestano uno stretto rapporto con tutti gli altri documenti, soprattutto con le altre tre costituzioni conciliari. La loro visione unitaria è riassunta in una nota formula: «La Chiesa (Lumen Gentium) nella Parola di Dio (Dei Verbum) celebra i santi misteri (Sacrosanctum Concilium) per la salvezza del mondo (Gaudium et Spes)». A questo proposito la Sacrosanctum Concilium ricorda che «la liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa» (n. 9) e tuttavia essa «è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa […] e la fonte da cui promana tutta la sua energia» (n. 10). Per questo «dalla liturgia, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene, con la massima efficacia, quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa» (n. 10).
La prima messa in lingua italiana venne celebrata da Papa Paolo VI il 7 marzo 1965 nella parrocchia di Ognissanti a Roma. In quella storica omelia Paolo VI disse: «Straordinaria è l’odierna nuova maniera di pregare, di celebrare la Santa Messa. Si inaugura, oggi, la nuova forma della Liturgia in tutte le parrocchie e chiese del mondo, per tutte le Messe seguite dal popolo. È un grande avvenimento, che si dovrà ricordare come principio di rigogliosa vita spirituale, come un impegno nuovo nel corrispondere al grande dialogo tra Dio e l’uomo».
Nel quinquennio successivo alla conclusione del Concilio (8 dicembre 1965) e che precede la pubblicazione del nuovo messale (26 marzo 1970) vengono predisposti i primi adattamenti del rito della messa, come la recita ad alta voce di varie parti, le preghiere dei fedeli, la celebrazione rivolta al popolo, i riti per la concelebrazione e per la comunione sotto le due specie, la recita ad alta voce della preghiera eucaristica, la semplificazione delle genuflessioni e dei segni di croce, l’introduzione di nuove preghiere eucaristiche e di nuovi prefazi, la pubblicazione dell’Ordinamento del Lezionario, cioè lo strumento affidato alle Conferenze episcopali per predisporre i nuovi lezionari nelle varie lingue.
In sintesi, i criteri che stanno alla base della riforma si possono così riassumere: a) l’assemblea è il soggetto della celebrazione; b) essa è invitata a realizzare una partecipazione alla celebrazione attiva, consapevole e fruttuosa; c) per questo sono state ripristinate o elaborate le forme più genuine della celebrazione; d) il messale è stato ristrutturato e arricchito di numerosi testi; e) la Parola di Dio ha riacquistato la sua centralità.
Il 3 aprile 1969 Papa Paolo VI promulga il nuovo Missale Romanum voluto dal Concilio che viene pubblicato il 26 marzo 1970, esattamente quattro secoli dopo la pubblicazione nel 1570 del messale del Concilio di Trento. Il 25 maggio 1969 viene pubblicato l’Ordo lectionum Missae, ovvero il nuovo Lezionario. Dopo quasi un millennio, il libro per la messa torna a scindersi in due volumi, non solo per caratterizzare la mensa della Parola, ma soprattutto per rispondere alla volontà espressa del Concilio di aprire ai fedeli con abbondanza i tesori della Parola di Dio. Come sempre capita nella storia dei libri liturgici, dato che essi devono rispondere a una realtà viva qual è la liturgia, si impongono successivi aggiornamenti e aggiunte. Per questo nel 1975 appare la seconda edizione del messale, e nel 2002 la terza edizione, pubblicata nel 2008. Le corrispondenti tre edizioni in lingua italiana vengono pubblicate nel 1973, 1983 e 2019. Anche il messale del Vaticano II è pubblicato in latino, come tutti i libri liturgici del rito romano. Il suo uso in latino è consentito nelle principali chiese e cattedrali: un segno che la messa in latino non è mai stata abolita. La seconda edizione del Lezionario risale al 1981 e la sua versione in lingua italiana al 2006.
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Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
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Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».