Domenica 13-2-2022 – VI tempo ord. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
ci accostiamo alle letture di questa domenica 13-2-22 guidati da Don Giuseppe che ci invita a riflettere sul brano del profeta Geremia che “si regge sulla contrapposizione tra due situazioni o tipi di vita: quella dell’uomo ‘benedetto’ e quella dell’uomo ‘maledetto’ ”. Geremia vive intorno al 650 a.C. cioè circa un secolo dopo il profeta Isaia. Conosciamo in parte la sua vita e il suo carattere grazie agli elementi biografici che sono presenti nel suo libro. Conosciamo, dunque, la sua drammatica crisi interiore descritta nello stile dei salmi di lamentazione. Egli si sente abbandonato, come tradito da Dio.
E’ grazie a questa conoscenza che comprendiamo il senso profondo del brano che ci è proposto nelle letture di questa domenica. L’uomo maledetto è quello che confida in sé stesso, egli è come un tamerisco che dimora in luoghi aridi, bruciati dalla salsedine. L’uomo benedetto è quello che confida nel Signore, egli è come un albero piantato lungo un corso d’acqua. Che forza e che efficacia in queste immagini, ci riconosciamo in esse assetati come siamo. Sentiamo il Signore che scruta i nostri cuori ed è pronto all’abbraccio, a non lasciarci soli. Il Signore attende che rivolgiamo lo sguardo a Lui, ponendo in Lui la nostra fiducia.
Il brano della lettera di San Paolo ai cristiani di Corinto, dice Don Giuseppe, “continua l’insegnamento sulla risurrezione di Gesù, che è centro e fondamento dell’evangelo (la buona novella!) di Paolo”. Ecco “il corso d’acqua” che ci disseta. Il cammino faticoso della nostra fede ci porta in questa dimensione di incontro fiducioso con Cristo risorto. Egli è anche la vita che continua dopo la morte per noi e per i nostri cari. Questa è la benedizione di Dio sopra coloro che hanno fiducia in Lui. Questo è l’abbraccio che il Signore dona a tutti perché sa scrutare in profondità i nostri cuori, anche i cuori di coloro che sono nella disperazione, anzi, come per Geremia, il sentirsi abbandonati e traditi, rende vicini al Signore.
Il brano del Vangelo di Luca ci presenta la formulazione delle “beatitudini” secondo questo evangelista. Don Giuseppe ci guida alla lettura di questo brano ricordandoci che per Luca, come per Matteo, con le beatitudine “Gesù fissa una specie di costituzione fondamentale.”
Mi sembra di trovare un filo che lega le Letture di questa domenica. La prima beatitudine “Beati voi, poveri,…” (Lc 6,20) è come carbone ardente, è pronunciata guardando direttamente negli occhi. Poveri perché non possiedono beni che possono far velo allo sguardo verso Dio, poveri perché possono confidare solo in Lui, dunque benedetti. La ricerca della fede nel mistero della resurrezione, anche quando faticoso travaglio interiore, è quella fame che solo il Signore può saziare. La disperazione di Geremia diventa la strada per il regno di Dio, dal pianto al riso.
Il Salmo (Sal 1) da cui sono tratti i versetti che cantiamo è come una introduzione al resto del Salterio. Mi sembra anche come un riassunto che riprende quanto offerto nelle letture e ci porta a ripeterlo come una preghiera che ci accompagna giorno e notte.
“Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, /
non resta nella via dei peccatori /
e non siede in compagnia degli arroganti, /
ma nella lege del Signore trova la sua gioia, /
la sua legge medita giorno e notte. /
E’ come albero piantato lungo corsi d’acqua, /
che da frutto a suo tempo: /
le sue foglie non appassiscono /
e tutto quello che fa riesce bene. /
Non così, non così i malvagi, /
ma come pula che il vento disperde; /
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, /
mentre la via dei malvagi va in rovina. (Sal 1,1-2; 3; 4.6)
Sentiamo rivolto a noi l’invito a meditare la parola del Signore giorno e notte.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un grande, affettuoso, abbraccio.
Contardo Codegone
VI Domenica Tempo ord. C
13.2.22
Letture: Ger 17, 5-8; 1 Co 15, 12. 16-20; Lc 6, 17.20-26
Il piccolo brano tratto dal profeta Geremia si regge sulla contrapposizione tra due situazioni o tipi di vita: quella dell’uomo ‘benedetto’ e quella dell’uomo ‘maledetto’. Merita la qualifica di benedetto l’uomo che confida nel Signore, mentre merita maledizione chi confida nell’uomo. Ma perché questa contrapposizione? I due casi hanno per protagonista l’uomo, ma in realtà ciò che conta è il tipo di rapporto che l’uomo tiene con Dio. La freschezza delle immagini sono frutto della sensibilità poetica del Profeta, il quale trasmette al suo linguaggio un po’ dell’intensità del suo rapporto con Dio. Da una parte vediamo l’illusione di un comportamento che è destinato al fallimento; dall’altra il successo di chi coltiva un rapporto che non teme motivo di paura. Queste due categorie anticipano un po’ quanto sentiremo nel brano evangelico delle “beatitudini” e dei “guai”.
Nel testo della lettera che San Paolo scriveva ai cristiani di Corinto continua l’insegnamento sulla risurrezione di Gesù, che è centro e fondamento dell’evangelo (la buona novella!) di Paolo. Forse l’apostolo incontra proprio in ambiente cristiano qualcuno che nega la risurrezione di Gesù e Paolo è vivacissimo nel mettere in evidenza le conseguenze di questa negazione: negare la risurrezione di Gesù equivale a riconoscere che la nostra fede è vana e che non siamo stati liberati dai nostri peccati e che anche i nostri defunti (“morti in Cristo”) “sono perduti”. Ma Paolo ha appena portato le prove della risurrezione di Gesù, insistendo molto sui testimoni di questo evento ‘beato’, ed è alla sequela di Cristo risorto che è ancorata fermamente la fondatezza della nostra fede e speranza nella risurrezione di ognuno di noi.
Nel brano tratto dal vangelo di Luca leggiamo la formulazione delle ‘beatitudini’ secondo il nostro evangelista. Come per Matteo, anche per Luca Gesù fissa una specie di costituzione fondamentale – ancora durante la predicazione in Galilea! – per quanti vogliono impostare la loro esistenza secondo l’insegnamento del nostro Maestro. Intanto è da notare che immediatamente prima Gesù aveva proceduto alla scelta dei Dodici, “ai quali diede anche il nome di apostoli”, quasi un ‘collegio’ di intermediari ufficiali, che riceve una costituzione fondamentale. Il testo ha un’analogia con Matteo (all’inizio del cap. 5), ma mentre l’evangelista Matteo registra otto volte la parola “beati”, Luca riporta quattro volte “beati” e quattro volte “guai”. A questa grande ‘predica’ di Gesù prende parte “gran folla di discepoli” e “gran moltitudine di gente” e le località di provenienza sono dall’estremo Sud all’estremo Nord. Gesù con chi è disponibile a seguirlo si mostra molto esigente (“amate i vostri nemici, siate misericordiosi”) e conclude poi con la raccomandazione di costruire la casa con buoni fondamenti, che nessuno straripamento di fiume riuscirà a smuovere.
Da lui usciva una forza che guariva tutti
Stiamo camminando con Gesù e fin dall’inizio del suo ministero egli è il ‘totalmente altro’, pur essendo totalmente ‘uno di noi’. Abbiamo già letto, nel capitolo 5, della pesca miracolosa, di varie guarigioni, della chiamata di “peccatori” al suo seguito. Gesù è tanto umano e tanto superiore alle categorie dell’umano, tanto perfetto e tanto superiore a tutte le nostre imperfezioni. Dobbiamo chiedere al Signore di vivere pienamente coinvolti nel nostro mondo e pienamente autonomi nel nostro rapporto con quei valori che si esauriscono nel presente, che tendono anzi a dare attenzione esclusiva a un presente tanto effimero. Questo comportamento non è mancanza di coraggio; al contrario, perché resta di casa con tutto il reale, quello duraturo e quello passeggero, quello che ha le radici in un definitivo ordine di realtà e perciò si sente responsabile ma libero nel presente e quello che oltrepassa gli orizzonti del presente, pur avendo in esse parte delle sue radici. C’è una presenza che supporta e delimita tutto il presente: Lui ha adottato questo criterio e per questo lo sentiamo vero uomo e vero Figlio dell’Eterno. A lui ricorriamo con la preghiera a volerci ottenere una prospettiva di valori che dia il vero significato, e la vera efficacia, al nostro quotidiano, così attuale nella sua non definitività.
Vostro don Giuseppe Ghiberti