Domenica 27-3-2022 – IV di Quaresima – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
mentre rimbomba, drammatico, il suono della guerra, suono di morte e di distruzione, questa domenica 27-3-22 è improntata al tema della gioia. Essa è, infatti, chiamata domenica “Laetare” (“Rallègrativi”). Questo denominazione deriva dall’inizio dell’antifona di ingresso che recita: “Rallegratevi con Gerusalemme…”. Citazione tratta dal terzo Isaia (Is 66,10).
Viviamo sovente percependo questa contraddizione in noi stessi, cioè il senso di gioia e di riconoscenza che deve caratterizzare il nostro essere con Cristo e, insieme, l’angoscia che il quotidiano succedersi dei fatti sovente ci procura.
Nella prima lettura, tratta dal libro di Giosuè, gli ebrei celebrano la prima Pasqua nella terra promessa dopo quaranta anni di pellegrinare nel deserto. L’Esodo che era cominciato con una Pasqua (Es 12) si chiude, dunque, con la Pasqua. Finisce la manna donata dal cielo e gli ebrei iniziano a cibarsi con i frutti della terra. Il pane e il vino sono i segni del dono di Dio e del lavoro dell’uomo, della fatica dell’uomo. Verso questa prima Pasqua nella terra promessa, ci dice Don Giuseppe, conserviamo un affettuoso ricordo “che è potenziato, non estinto, per merito dell’opera di Gesù, che è divenuto “la nostra pasqua” di salvezza.”
Nella seconda lettura, ci ricorda Don Giuseppe: “Paolo ci scongiura: lasciatevi riconciliare con Dio. … E’ un po’ mortificante, ma vero: abbiamo bisogno di riconciliazione, tutti i giorni.” Per cinque volte nel brano che leggiamo ricorre il termine ‘riconciliare/riconciliazione’ e l’Eucarestia è proprio il sacramento ove si celebra questa riconciliazione, nel mistero della Croce e della Resurrezione. Dice Paolo: “perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio.” (2Cor 5,21).
Proprio dedicata alla riconciliazione è la lettura del brano del Vangelo. Don Giuseppe commenta: “uno dei gioielli del solo evangelista Luca è la parabola del “figliuol prodigo… E’ riconosciuta da sempre come una delle vette della letteratura mondiale, e veramente stentiamo a frenare la commozione quando la leggiamo. ”
Non mi soffermo su questo testo meraviglioso che presenta al nostro cuore le braccia aperte del Padre misericordioso che ci attendono nell’amore e nel perdono. Richiamo la vostra attenzione sul termine che definisce il fratello chiamato “maggiore” (in greco “presbùteros”). ‘Presbìtero’ vuol dire il più vecchio, l’anziano ed è anche un titolo d’onore. Presbitero per noi è il sacerdote. Il richiamo di questo testo lucano, a mio giudizio, è anche quello di ricordarci che l’essere “anziani” non ci esime da un costante cammino di conversione. Non basta l’osservanza formale delle norme, è necessaria una continua conversione del cuore che ci apre al comandamento dell’amore. Quel comandamento che il fratello maggiore non riesce a vivere nella sua vita.
Il Salmo ci invita al ringraziamento a Dio. L’Eucarestia è la grande benedizione che Dio ci offre. Il pane e il vino, dono di Dio e del nostro lavoro, diventano sacramento, mistero di salvezza.
“Benedirò il Signore in ogni tempo, /
sulla mia bocca sempre la sua lode. /
Io mi glorio nel Signore: /
i poveri ascoltino e si rallegrino. /
Magnificate con me il Signore, /
esaltiamo insieme il suo nome. /
Ho cercato il Signore: mi ha risposto /
e da ogni paura mi ha liberato. /
Guardate a lui e sarete raggianti, /
i vostri volti non dovranno arrossire. /
Questo povero grida e il Signore lo ascolta, /
lo salva da tutte le sue angosce. (Sal 34/33, 2-3; 4-5; 6-7)
Il Salmo ci invita a ripetere “Ho cercato il Signore: mi ha risposto / e da ogni paura mi ha liberato.” Anche in questi giorni di angoscia, di paura, non dobbiamo cessare di cercare il Signore, di cercare il suo messaggio di salvezza: “i poveri ascoltino e si rallegrino.” Il Signore anche nel buio della notte è la nostra luce e salvezza.
Sapendoci uniti nella preghiera, Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un saluto affettuoso.
Contardo Codegone
P.S. Ricordo ai soci la nostra Assemblea di sabato 26/3/22 ore 15,30 via “Google-meet”. Ci collegheremo con Leopoli (Ucraina) e con l’Armenia.
Ricordo la S. Messa, in presenza, di martedì 5 aprile ore 18,00 presso la Chiesa del Santo Sudario. Stiamo anche organizzando gli Esercizi Spirituali, in presenza, per il 13-14-15 maggio a Susa, Villa San Pietro sul Deuteronomio.
IV domenica di Quaresima C
27. 3. 22
Letture: Gs 5, 9a.10-12; 2 Co 5, 17-21; Lc 15, 1-3.11-32
Giosuè era stato, da giovane, aiutante e fiduciario di Mosè e alla morte di lui divenne suo successore nella guida degli israeliti al di là del Giordano, nella terra promessa (e poi anche autore-ispiratore del libro che porta il suo nome). Giunti alla conclusione di quella impegnativa epopea, gli israeliti videro cessare il dono del cibo quotidiano della manna e incominciò lo sfruttamento di quella terra, che a loro apparve come un prodigio. E in quella nuova (e definitiva) residenza celebrarono la pasqua nella sua forma matura, come la celebrerà Gesù (prima in famiglia e poi con gli apostoli) e come la celebrano ancora i nostri fratelli ebrei. Noi conserviamo verso di essa tutto il senso affettuoso del ricordo, che è potenziato, non estinto, per merito dell’opera di Gesù, che è divenuto “la nostra pasqua” di salvezza.
San Paolo ha scritto parecchie lettere ai suoi cristiani di Corinto: noi siamo a conoscenza di quattro, ma ne possediamo solo più due, la 1 Co e la 2 Co. Da questa seconda Lettera ai Corinzi è ricavata la seconda lettura della liturgia eucaristica oggi. Paolo sta parlando del suo impegno apostolico, come ambasciatore della riconciliazione con Dio in Cristo, e pronuncia quella frase che ci è tanto cara: “Poiché l’amore di Dio ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti”. Il fine di questa vicenda d’amore è dichiarato con commovente semplicità: “perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro”. E solenne suona la dichiarazione che segue: “se uno è in Cristo, è una creatura nuova”, frutto della riconciliazione che egli ha fatto per noi. Paolo ci scongiura: “lasciatevi riconciliare con Dio”. E’ un compito che è stato attribuito a Paolo: di essere “ambasciatore per Cristo”, che si era fatto trattare dal Padre “da peccato in nostro favore”. E’ un po’ mortificante, ma vero: abbiamo bisogno di riconciliazione, tutti i giorni.
Quale sia il clima nella famiglia del Padre e come solo la qualifica di “misericordioso” sia un po’ adeguata al cuore di quel Padre lo leggiamo in modo particolare nel vangelo di Luca: uno dei gioielli del solo evangelista Luca è la parabola del “figliuol prodigo”, offerta dal brano evangelico di oggi. E’ riconosciuta da sempre come una delle vette della letteratura mondiale, e veramente stentiamo a frenare la commozione quando la leggiamo. Certo è un non-senso quella che noi siamo portati a chiamare la debolezza del Padre, ma teniamo presente che la narrazione di Gesù si svolge su una scena che ha un criterio diverso che la guida: qualcuno chiama stupido quel padre, ma è la cecità di un amore senza limiti e logica. E’ tutto di troppo, ma il padre lo trova naturale, quasi dovuto: “non bisognava far festa?” e poi cerca di far capire a quel… testone del figlio cosiddetto buono: “Figlio, tu sei sempre con me”. Chi sa, arrabbiato com’era, che cosa ha capito della verità lapalissiana: “Tutto ciò che è mio è tuo”. Eppure suo fratello l’aveva appena visto realizzato, ma la bontà del padre lui non aveva nessuna intenzione di condividerla.
Bisognava fare festa
Il rischio di questa parabola è che ci venga da obiettare: sarà tutto bello, ma finora dov’è che capitano fatti simili? Eppure i tratti del figliuol prodigo li abbiamo rivestiti un po’ tutti nella nostra vita; e proprio quando pensiamo di essere tanto ‘a posto’, è il momento in cui abbiamo più bisogno di sentire quelle “viscere di misericordia” che solo l’affetto del papà e della mamma ci sanno offrire. Ma noi possiamo essere così stolti da chiudere gli occhi davanti a quell’amore senza limiti, perché dobbiamo affermare la nostra … dignità. Certo vien da pensare: speriamo che il figlio che aveva sbagliato non ritorni al suo stile sprecone. Ma la parabola porta a escluderlo, visto il coraggio che ha avuto quel figlio nel riconoscere il suo torto. Ed è il dono che chiediamo anche per noi: Signore, fammi la grazia di riconoscere tutte le mie sciocchezze e mancanze e che non ti faccia il torto di cadere nuovamente nelle mie colpe: esse sono già costate la vita al nostro Fratello più grande che – a differenza di quello della parabola – ha pagato così caro, di volta in volta, il prezzo del mio ritorno.
Vostro don Giuseppe Ghiberti