Bruno Barberis – Riflessioni su “Significato, struttura e storia del rito della S. Messa” 11^ parte
Cari soci e amici dell’Amcor,
con la 11^ e ultima puntata della “Storia del rito della S. Messa” il carissimo socio e amico Bruno Barberis è giunto a trattare dei “riti di comunione” e dei “riti di conclusione” della Santa Messa.
Abbiamo terminato un percorso che ci ha permesso non solo di vedere lungo la storia della Chiesa come il rito, nella sua struttura essenziale, si è conservato nel tempo, ma anche come si è venuto arricchendo.
Bruno ora ci ricorda con forza che: “Solo con la partecipazione attiva alla comunione si partecipa in modo completo al sacrificio eucaristico.”
Trattando dei riti di conclusione, inoltre, sottolinea come: “La funzione dei riti conclusivi è quella di sciogliere l’assemblea con un saluto cristiano e con l’invito a camminare nella vita di tutti i giorni secondo l’orientamento segnato da quanto è stato vissuto nella celebrazione.”
Ripercorrere il significato e la struttura dei riti di comunione e di conclusione ci porta a una maggiore consapevolezza della loro rilevanza e, soprattutto, ci conferma che la S. Messa non termina il suo significato con la processione di uscita.
La traduzione, infatti, dell’espressione latina “Ite, missa est”, ci conferma Bruno, ha il suo pieno significato nell’invito di “Andate, la vostra missione comincia”.
Credo che sarebbe proprio importante arrivare a pubblicare questo prezioso lavoro del carissimo Bruno perché permanga come un documento rilevante per chi vuole accostarsi al rito della S. Messa con maggiore consapevolezza del suo significato e della sua centralità nel cammino di fede.
Sarà certamente utile anche riprendere con Bruno il dialogo circa l’importanza della Messa oggi, ma anche circa la percepita minore partecipazione dei fedeli sia giovani che meno giovani.
Potrà valere la pena arrivare anche a un incontro più ampio, coinvolgendo altri gruppi, che favorisca una riflessione sull’importanza della S. Messa proprio nel cammino di fede.
Grazie carissimo Bruno per il Tuo lavoro che non intendiamo ancora finito, ma anzi da rilanciare.
Vi invito a vivere questo periodo estivo uniti nella preghiera e nel reciproco ricordo al Signore.
Contardo Codegone
Potete trovare questi articoli di Bruno anche nella sezione:
INIZIATIVE – Approfondimenti -Significato, struttura e storia del rito della S. Messa o cliccando direttamente sul link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/significato-struttura-e-storia-del-rito-della-s-messa/
Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2. LA STRUTTURA DEL RITO OGGI
2.4.4. Il programma: la struttura dei riti di comunione
L’Ordinamento Generale del Messale Romano così introduce i riti di comunione: «Poiché la celebrazione eucaristica è un convito pasquale, conviene che, secondo il comando del Signore, i fedeli ben disposti ricevano il suo Corpo e il suo Sangue come cibo spirituale» (OGMR, n. 80). Pertanto con i riti di comunione la celebrazione eucaristica diventa un vero e proprio “convito pasquale” non solo del sacerdote celebrante, bensì di tutti i fedeli. La comunione eucaristica è il culmine della celebrazione costituendo il complemento indispensabile della preghiera eucaristica. Solo con la partecipazione attiva alla comunione si partecipa in modo completo al sacrificio eucaristico. Per questo San Paolo chiama la messa “cena del Signore” e San Luca la chiama “frazione del pane” (si veda il paragrafo 1.3). Questi riti vennero introdotti solo nel IV secolo perché più anticamente la comunione seguiva immediatamente la preghiera eucaristica.
I riti di comunione – durante i quali l’assemblea sta in piedi – comprendono:
a) La preghiera del Signore o “Padre nostro”. La riforma liturgica ha ridato al “Padre nostro” la voce di tutta l’assemblea, dopo secoli in cui veniva detto sottovoce dal solo celebrante. La sua posizione ne sottolinea il ruolo di collegamento tra la preghiera eucaristica – della quale riprende la lode e il rendimento di grazie – e la comunione, in quanto è evidente l’accostamento tra la richiesta del “pane quotidiano” e il “pane eucaristico” che sta per essere consumato.
Il rito è costituito da quattro elementi strettamente correlati tra loro:
– l’invito del sacerdote a pregare tutti insieme, secondo una delle quattro formule previste dal messale oppure liberamente formulato e opportunamente collegato alla liturgia del giorno;
– la recita del “Padre nostro” da parte di tutta l’assemblea nella sua formulazione più ampia contenuta nel vangelo di Matteo;
– l’embolismo (= aggiunta, inserimento) nel quale il celebrante riprende e sviluppa le ultime parole del “Padre nostro”, sottolineandone l’aspetto penitenziale: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo»;
– la dossologia, ovvero l’acclamazione conclusiva dell’assemblea: «Tuo è il regno, tua la potenza e la gloria nei secoli».
Le quattro parti (o anche i soli interventi dell’assemblea) possono anche essere cantati.
b) Il rito della pace. Questo rito antichissimo era situato subito prima della presentazione dei doni ed è stato spostato qui solo a partire dal IV-V secolo. Ha lo scopo di implorare la pace e l’unità per la Chiesa e per l’intera famiglia umana e di esprimere l’amore vicendevole tra i membri dell’assemblea. È costituito da quattro elementi:
– la preghiera per la pace, recitata dal celebrante, che si ispira alla promessa di pace di Gesù (Gv 14, 27): «Signore Gesù Cristo, che hai detto ai tuoi apostoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e donale unità e pace secondo la tua volontà. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli»;
– l’annuncio della pace, detto o cantato dal celebrante: «La pace del Signore sia sempre con voi»;
– l’invito a scambiarsi un segno di pace, detto dal diacono o dal celebrante secondo una delle quattro formule previste dal messale oppure liberamente formulato;
– lo scambio del segno della pace che tutti fanno, con modalità definite dagli usi locali e dalle eventuali norme sanitarie, e che, in certe occasioni particolari, può essere accompagnato da un breve canto di pace.
c) La frazione del pane. Questo rito è costituito da tre elementi:
– la frazione del pane. È un rito antichissimo durante il quale il celebrante prende l’ostia e la spezza, ripetendo l’azione compiuta da Gesù nell’ultima cena. Anticamente questo gesto era ritenuto così importante da dare il nome all’intera celebrazione eucaristica (si veda il paragrafo 1.3) e aveva una ragione pratica poiché i fedeli portavano da casa il pane per la celebrazione ed era pertanto necessario rompere i pani in molti pezzi prima di distribuirli alla comunione. Il gesto ha però avuto da sempre anche un significato simbolico, essendo segno – come afferma San Paolo (1Cor 10, 16-17) – che l’unico pane, che è Cristo, viene distribuito ai molti perché diventino l’unico corpo di Cristo.
– l’immistione, che oggi è un rito esclusivamente simbolico durante il quale il celebrante lascia cadere nel calice un frammento di ostia, dicendo sottovoce: «Il Corpo e il Sangue di Cristo, uniti in questo calice, siano per noi cibo di vita eterna». Questo rito fu introdotto nella Chiesa romana a partire dal IV secolo, quando il Papa, al termine della messa da lui celebrata, inviava a chi celebrava nelle altre chiese della città un frammento di pane consacrato (il “fermentum”: si veda il paragrafo 1.4), che i riceventi ponevano nel calice, come segno di comunione con il Papa e tra le diverse comunità. Oggi sta a significare simbolicamente l’unità del Corpo e del Sangue di Cristo vivente e glorioso.
– l’“Agnello di Dio”. Mentre il sacerdote compie la frazione del pane e l’immistione, un cantore e, in alternanza, l’assemblea cantano la preghiera litanica dell’“Agnello di Dio”. L’invocazione può essere ripetuta quante volte è necessario; l’ultima termina con le parole «dona a noi la pace». La preghiera può anche essere detta ad alta voce da tutta l’assemblea.
d) La comunione. Il rito si compone di cinque elementi:
– la preghiera di preparazione, un breve momento di preghiera silenziosa di tutta l’assemblea che il celebrante accompagna dicendo sottovoce una delle formule previste dal messale.
– l’elevazione del pane eucaristico. Dopo aver fatto genuflessione, il celebrante eleva l’ostia (volendo, anche il calice), e dice: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo» (Gv 1, 29). «Beati gli invitati alla Cena dell’Agnello» (Ap 19, 9).
– l’atto di umiltà. Tutta l’assemblea prega dicendo: «O Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato», che sono le parole (adattate) pronunciate dal centurione di Cafarnao (Mt 8, 8) e che già nel X secolo venivano usate come preghiera che precede la comunione.
– la comunione del celebrante e dell’assemblea. Il celebrante si comunica per primo con il Corpo e il Sangue di Cristo dicendo sottovoce: «Il Corpo/Sangue di Cristo mi custodisca per la vita eterna». Nel frattempo, i fedeli si accostano alla mensa del Signore per ricevere la comunione dal sacerdote e dal diacono, stando in piedi e formando una processione, segno del carattere comunitario di questo rito. I fedeli possono scegliere tra il ricevere la comunione nella mano (secondo la modalità più antica) o in bocca (secondo l’uso invalso a partire dal secolo IX). In alcuni casi e secondo opportune modalità è possibile anche per i fedeli ricevere la comunione sotto le due specie del Corpo e del Sangue. Mentre il sacerdote e i fedeli si comunicano, si può eseguire il canto di comunione, che ha lo scopo di esprimere la dimensione comunitaria della comunione e l’unione spirituale di coloro che si comunicano.
– la preghiera di ringraziamento, che è il momento dedicato alla preghiera silenziosa o a un canto comunitario per consentire all’assemblea di lodare e rendere grazie al Signore per il dono ricevuto. Nel frattempo il sacerdote o il diacono purifica la patena e la pisside sopra il calice, purifica poi il calice con l’acqua e lo asciuga con il purificatoio.
e) L’orazione dopo la comunione è la terza orazione presidenziale dopo la colletta e l’orazione sopra le offerte. Essa costituisce un ringraziamento per i doni appena ricevuti e la richiesta a Dio che la partecipazione al sacramento si traduca in una vita rinnovata.
2.4.5 Le diverse modalità di ricevere la comunione
La riforma liturgica del Vaticano II ha recuperato due antiche modalità di ricevere la comunione che erano state dimenticate e abbandonate per secoli. A proposito delle ostie da usare per la comunione, l’Ordinamento Generale del Messale Romano così si esprime: «Si desidera vivamente che i fedeli, come anche il sacerdote è tenuto a fare, ricevano il Corpo del Signore con ostie consacrate nella stessa messa e, nei casi previsti, facciano la comunione al calice, perché, anche per mezzo dei segni, la comunione appaia meglio come partecipazione al sacrificio in atto» (OGMR, n. 85). Ovviamente tale indicazione non vieta la comunione al di fuori della messa e la comunione con ostie precedentemente consacrate, ma in pratica consiglia di utilizzare la cosiddetta “riserva eucaristica” solo per casi particolari come la comunione agli ammalati, il viatico e l’adorazione.
A proposito della comunione sotto le due specie, l’Ordinamento Generale del Messale Romano precisa: «A motivo del segno, la santa comunione esprime la sua forma piena se viene fatta sotto le due specie. In questa forma, infatti, risulta più evidente il segno del banchetto eucaristico e si esprime più chiaramente la volontà divina di ratificare la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore ed è più intuitivo il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel regno del Padre» (OGMR, n. 281). Pertanto la comunione al calice non è un semplice sovrappiù, ma è parte integrante del memoriale. Inoltre, relativamente alle modalità, stabilisce: «La comunione al Sangue di Cristo si può fare bevendo direttamente dal calice, per intinzione, con la cannuccia o con il cucchiaino» (OGMR, n. 245). L’Ordinamento Generale del Messale Romano si preoccupa però di ricordare «la dottrina cattolica riguardo alla forma della comunione, secondo il Concilio Ecumenico di Trento» e, in particolare, che «anche sotto una sola specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua verità; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della comunione, coloro che ricevono una sola specie non rimangono privi di nessuna grazia necessaria alla salvezza» (OGMR, n. 282) (a proposito dei decreti del Concilio di Trento sull’eucaristia, si veda il paragrafo 1.9.2). Tali osservazioni sono state successivamente riprese e ribadite nell’Istruzione “Redemptionis sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia”, pubblicata nel 2004 dalla “Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti”.
2.5. I riti di conclusione
La funzione dei riti conclusivi è quella di sciogliere l’assemblea con un saluto cristiano e con l’invito a camminare nella vita di tutti i giorni secondo l’orientamento segnato da quanto è stato vissuto nella celebrazione. La nostra comunione al Corpo di Cristo non si ferma evidentemente all’assemblea di cui siamo stati parte. L’eucaristia è missionaria perché l’unità che essa crea deve essere aperta sul mondo. Non possiamo vivere l’eucaristia senza vivere la missione: la messa non è una cerimonia qualsiasi che al suo termine si conclude definitivamente, ma si apre necessariamente alla vita che la segue e continua nella nostra vita ordinaria.
I riti di conclusione – durante i quali l’assemblea sta in piedi – comprendono:
a) Le comunicazioni all’assemblea, limitate a quelle ritenute più importanti per la comunità, che sono necessarie perché la celebrazione eucaristica domenicale è spesso il solo momento in cui si ritrovano gli appartenenti ad una stessa comunità parrocchiale e, di conseguenza, il solo momento disponibile per far conoscere quelle iniziative comunitarie che possono costituire un modo per concretizzare la parola e l’eucaristia appena celebrate.
b) Il saluto. Il celebrante saluta l’assemblea con il tradizionale augurio: «Il Signore sia con voi» al quale l’assemblea risponde: «E con il tuo spirito». La stessa formula è già stata pronunciata altre tre volte: all’inizio della messa, prima del Vangelo e al prefazio, prima della preghiera eucaristica. La ripresa di questo annuncio al termine della celebrazione riafferma che da questo momento il Signore Gesù si manifesterà attraverso di noi che vivremo nel mondo.
c) La benedizione dell’assemblea che normalmente consiste nella semplice formula: «Vi benedica Dio onnipotente: Padre, e Figlio e Spirito Santo». In alcuni giorni e in certe circostanze può essere bene utilizzare una formula più solenne (eventualmente abbellita con il canto), scelta tra i ventisei formulari proposti dal messale, che prevedono la proclamazione di tre orazioni seguite dalla benedizione solenne: «E la benedizione di Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo, discenda su di voi e con voi rimanga sempre». È la benedizione finale che ci accompagna nell’impegno della vita. Il Signore ci benedice e ci assicura la sua grazia affinché con la nostra vita sappiamo portare nel mondo il suo messaggio e il suo amore.
d) Il congedo dell’assemblea. Il diacono, o in sua assenza il celebrante, congeda l’assemblea dicendo: «La messa è finita: andate in pace» e l’assemblea risponde con l’acclamazione gioiosa: «Rendiamo grazie a Dio». Può anche essere utilizzata una delle altre cinque formule previste dal messale, come, ad esempio: «Glorificate il Signore con la vostra vita. Andate in pace», che sono da preferire onde evitare la traduzione letterale dell’espressione latina “Ite, missa est” che non significa affatto “Andate, tutto è finito”, bensì “Andate, la vostra missione comincia” e che quindi intende sottolineare chiaramente che in realtà la messa inizia proprio quando l’assemblea viene congedata.
e) La venerazione dell’altare e la processione di uscita. Il sacerdote e il diacono baciano l’altare e tornano processionalmente in sacrestia. Lo scioglimento dell’assemblea e l’uscita dei ministri può essere accompagnata dall’esecuzione di un brano musicale o da un canto.
Slider Revolution Options
Attiva/disattiva il pannello: Slider Revolution Options
- Choose Slide Template selected=’selected’default
Page Title
Attiva/disattiva il pannello: Page TitleDefault Custom None
Widgets Row Footer
Attiva/disattiva il pannello: Widgets Row Footer
Churhius Page Options
Attiva/disattiva il pannello: Churhius Page OptionsHeader Style
Choose your header typeSelect an itemDefault Header StyleStyle 1Style 2Style 3Style 4Style 5Default Header StyleSidebar Position
Choose page sidebar positionSelect an itemDefault Sidebar PositionWithout SidebarLeft SidebarRight SidebarDefault Header StyleSidebar Setting
Choose a custom sidebarDefault SidebarShop Widget AreaTeam Members Widget AreaMinistries Widget AreaSide Panel Widget AreaFooter Widget Area Column 1Footer Widget Area Column 2Footer Widget Area Column 3Footer Widget Area Column 4Footer Widget Area Column 5Footer Widget Area Column 6Footer Widget Area Column 7Footer Widget Area Column 8Footer Widget Area Column 9Footer Widget Area Column 10Sermons Widget AreaGiveWP Single Form SidebarPage Content Padding
In pixels ex: 50. Leave empty for default value. Style copyright
Choose style for copyright in footerDefaultCopyrightCopyright With menuComing Soon Boolean: page coming soonHidden Newsletter Hidden newsletter from the footer
- Articolo
- Blocco
8 blocchi270 parole
Tipografia
Dimensione del fontDimensione del fontPredefinitoPersonalizzatoReimpostare
Impostazioni colore
Impostazioni del testo
Capolettera
Attiva per mostrare una grande lettera iniziale.Apri il pannello di pubblicazione
- Documento
about:blank
Seguiranno, con cadenza mensile, ulteriori scritti che ci aiuteranno a fare nostro in modo più consapevole il significato liturgico dell’Eucarestia, comprendendone meglio anche il valore sacramentale e teologico. Bruno ci offre, così, un percorso per approfondire e riscoprire la ricchezza del rito della Santa Messa e per aiutarci a viverla con sempre maggiore intensità e consapevolezza.
Grazie, carissimo Bruno, anche per questo importante servizio che offri a tutti noi.
Un cordiale saluto a tutti.
Contardo Codegone
Potete trovare questi articoli di Bruno anche nella sezione:
INIZIATIVE – Approfondimenti -Significato, struttura e storia del rito della S. Messa o cliccando direttamente sul link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/significato-struttura-e-storia-del-rito-della-s-messa/
Bruno Barberis
SIGNIFICATO, STRUTTURA E STORIA DEL RITO DELLA S. MESSA
2^ Parte
1.2. Le prime comunità giudeo-cristiane
Le prime comunità cristiane erano composte da ebrei, i quali non ruppero immediatamente i legami con il giudaismo e continuarono a frequentare i riti del tempio di Gerusalemme e delle sinagoghe. Ma ad essi aggiunsero la celebrazione della frazione del pane in memoria del Signore Gesù. Lo testimonia San Luca: «Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2, 46).
A poco a poco, però, i cristiani incominciarono a prendere le distanze dalle osservanze giudaiche, a ritrovarsi in propri luoghi di preghiera, nei quali alla lettura della Legge e dei profeti si aggiungevano i racconti della passione e della risurrezione del Signore, dei suoi miracoli, dei suoi insegnamenti. Abbandonarono anche il sabato come giorno dedicato a Dio nel riposo e nel culto, sostituendolo con il primo giorno dopo il sabato, il giorno della risurrezione di Gesù (giorno che i romani chiamavano “giorno del Sole” e che solo nel IV secolo prenderà ufficialmente in tutto l’impero romano il nome di dies dominicus, “giorno del Signore”). La Didachè descrive chiaramente i riti celebrati nel giorno del culto a Dio: «Nel giorno del Signore, riuniti in assemblea, spezzate il pane e rendete grazie dopo aver confessato i vostri peccati, affinché il vostro sacrificio sia puro» (Didachè 14, 1). E riporta anche le preghiere proclamate durante la celebrazione eucaristica: «Per l’Eucaristia rendete grazie in questo modo. Anzitutto per il calice: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la santa vigna di David, tuo servo; tu ce l’hai fatta conoscere per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!”. Poi per il pane spezzato: “Ti rendiamo grazie, o Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai concesso per mezzo di Gesù, tuo figlio. Gloria a te nei secoli!» (Didachè 9, 1-3).
1.3 Le prime comunità greco-romane
Le comunità fondate da San Paolo e da altri discepoli nelle città del mondo greco-romano erano per lo più costituite da cristiani provenienti dal paganesimo e pertanto estranei alla religione e alle usanze ebraiche. Molti di loro praticavano i banchetti sacri legati alle offerte dei sacrifici agli dei, che spesso finivano in grandi abbuffate. Paolo, nella sua prima lettera ai Corinzi, si oppone con vigore all’abuso di mescolare i banchetti pagani con la celebrazione della cena del Signore: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente?» (1Cor 11, 20-22); «Non potete bere il calice del Signore e il calice dei demòni; non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei demòni» (1Cor 10, 21).
Negli Atti degli Apostoli san Luca racconta un’assemblea domenicale presieduta proprio da Paolo: «Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. […] Paolo spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì» (At 20,7.11). Le celebrazioni erano allietate da canti e preghiere, che Paolo stesso raccomanda ai cristiani di Efeso: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore» (Ef 5, 18b-19). Ne parla anche Plinio il Giovane − un avvocato romano che fece condannare a morte molti cristiani − che nel 112 in una lettera all’imperatore Traiano scrive a proposito dei cristiani: «Il loro errore consisteva nella consuetudine di adunarsi in un giorno stabilito prima del levarsi del sole e cantare tra loro a cori alternati un canto in onore di Cristo, come a un dio».
La descrizione più dettagliata di una celebrazione eucaristica, già caratterizzata da una struttura ben definita, è quella tramandataci dal filosofo e martire San Giustino che verso il 153, in un testo indirizzato all’imperatore Antonino Pio, scrive: «Noi allora, dopo aver così lavato chi è divenuto credente e ha aderito, lo conduciamo presso quelli che chiamiamo fratelli, dove essi si trovano radunati, per pregare insieme fervidamente. Finite le preghiere, ci salutiamo l’un l’altro con un bacio. Poi al preposto dei fratelli vengono portati un pane e una coppa d’acqua e di vino temperato; egli li prende ed innalza lode e gloria al Padre dell’universo nel nome del Figlio e dello Spirito Santo, e fa un rendimento di grazie per essere stati fatti degni da Lui di questi doni. Quando egli ha terminato le preghiere ed il rendimento di grazie, tutto il popolo presente acclama: “Amen”. Dopo che il preposto ha fatto il rendimento di grazie e tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi chiamiamo diaconi distribuiscono a ciascuno dei presenti il pane, il vino e l’acqua consacrati e ne portano agli assenti. È carne e sangue di quel Gesù incarnato. Questo cibo è chiamato da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparne, se non a chi crede che i nostri insegnamenti sono veri, si è purificato con il lavacro per la remissione dei peccati e la rigenerazione, e vive così come Cristo ha insegnato. Infatti noi li prendiamo non come pane comune e bevanda comune; ma come carne e sangue di quel Gesù incarnato. Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: “Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo”. E parimenti, preso il calice, rese grazie e disse: “Questo è il mio sangue”; e ne distribuì soltanto a loro. […] E nel giorno chiamato “del Sole” ci si raduna tutti insieme, abitanti delle città o delle campagne, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti, finché il tempo lo consente. Poi, quando il lettore ha terminato, il preposto con un discorso ci ammonisce ed esorta ad imitare questi buoni esempi. Poi tutti insieme ci alziamo in piedi ed innalziamo preghiere; e, come abbiamo detto, terminata la preghiera, vengono portati pane, vino ed acqua, ed il preposto, nello stesso modo, secondo le sue capacità, innalza preghiere e rendimenti di grazie, ed il popolo acclama dicendo: “Amen”. Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a ciascuno degli alimenti consacrati, e, attraverso i diaconi, se ne manda agli assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto. Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per qualche altra causa, e i carcerati e gli stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura di chiunque sia nel bisogno. Ci raccogliamo tutti insieme nel giorno del Sole, poiché questo è il primo giorno nel quale Dio, trasformate le tenebre e la materia, creò il mondo; sempre in questo giorno Gesù Cristo, il nostro Salvatore, risuscitò dai morti. Infatti lo crocifissero la vigilia del giorno di Saturno, ed il giorno dopo quello di Saturno, che è il giorno del Sole, apparve ai suoi Apostoli e discepoli, ed insegnò proprio queste dottrine che abbiamo presentato anche a voi perché le esaminiate» (Apologia I, 65-67).
In questa dettagliata descrizione appaiono già chiaramente presenti e distinte le due parti principali della Messa che sono rimaste le stesse per due millenni fino ai giorni nostri: la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La liturgia della Parola è di origine giudaica poiché le due letture separate dal canto dei salmi e l’omelia facevano già parte dei riti che si svolgevano nelle sinagoghe; la liturgia eucaristica prende spunto dai riti compiuti da Gesù e dalle parole da lui pronunciate durante l’Ultima Cena.
Le celebrazioni si svolgevano nelle case private dei cristiani, ma a partire dall’inizio del III secolo incominciarono ad essere costruite case dotate di un luogo destinato alla preghiera: le domus-ecclesiae, ovvero le antenate delle nostre chiese. La più antica giunta fino a noi è quella costruita nel 232 a Dura Europos in Siria, dotata di un battistero e di una sala per le riunioni dell’assemblea. Risale invece ai primi anni del IV secolo la più antica chiesa cristiana conosciuta, già dotata di navata rettangolare e presbiterio, scoperta a Qirq Bize, sempre in Siria.
Era il tempo delle persecuzioni e celebrare l’eucaristia voleva dire spesso rischiare la vita. Nel 258, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, Papa Sisto II e sette diaconi furono arrestati mentre celebravano l’eucaristia nel cimitero di San Callisto a Roma e poi decapitati: tra di loro vi era anche San Lorenzo. Alcuni decenni dopo, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano (303-304), ad Abitène, in Africa, 49 cristiani, guidati dal prete Saturnino furono sorpresi mentre celebravano l’eucaristia e affrontarono il martirio a Cartagine, proclamando: «Non possiamo vivere senza celebrare il giorno del Signore!».