Domenica 3-7-2022 – XIV Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
questa domenica 3-7-22, 14^ del tempo ordinario, si apre, ci ricorda Don Giuseppe, ‘con un invito alla gioia per tutti quelli che amano Gerusalemme, perché i tempi del “lutto” sono terminati e il Signore farà “scorrere verso di essa, come un fiume, la pace”’.
Sono le parole del profeta Isaia (il cosiddetto deutero Isaia vissuto nel VI secolo a.C. in concomitanza con il ritorno dall’esilio babilonese), parole che annunciano il dono della pace. Sappiamo che l’esilio passò, che fu possibile tornare a Gerusalemme, ricostruire il tempio. Sappiamo però anche che la vita rimase dura, la fede un cammino difficile e faticoso.
Era dunque un sogno il “fiume di pace”, era un miraggio la gioia annunciata?
Don Giuseppe ci prende per mano e ci dice: “Il tono positivo, ottimista, a volte affettuoso lascia un messaggio di speranza al popolo che deve affrontare la difficoltà di una fiducia che non trova sempre facile motivazione e da allora continua a provocare a una scelta di fedeltà spesso difficile”.
Sovente viviamo nella nostra vita “una scelta di fedeltà spesso difficile”. E’ questa la sfida della fede che è dono, ma richiede volontà di ascolto, fedeltà a un cammino anche nei momenti di buio. Eppure “la mano del Signore si farà manifesta ai suoi servi”. (Isaia 66,14), non resteremo dunque soli.
Paolo ci spinge avanti non con ragionamenti, ma con la sua esperienza diretta: “quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo…” (Gal 6,14). E’ la sfida suprema della fede per la quale rischiamo di sentirci abbandonati da Dio.
San Luca ci ricorda che il nostro cammino di fede non è solo un fatto personale, ma Gesù ci invita ad andare a testimoniare che il regno di Dio è vicino.
Di fronte a questo difficile percorso Don Giuseppe guidandoci ci dice: “Certo, guardando il corso della storia, tanto più nel contesto dei fatti dolorosi di questa stagione di guerra diabolica, viene da domandarci dove si vedano i frutti della venuta di Gesù. Lo preghiamo di farci il grande dono di non perdere la fiducia: nulla va perso; e proprio quando la speranza sembra folle e assurda, ogni atto di sottomissione al volere del Padre ha una fecondità che non percepiamo ma è grande, per il cielo e, già prima, per la terra.”
In questo contesto il Salmo ci invita a cantare il nostro ringraziamento a Dio. Ringraziamento per questa “fecondità” dell’opera di Dio che è per noi e per tutta la terra.
“Acclamate a Dio da tutta la terra, /
cantate alla gloria del suo nome, /
date a lui splendida lode. /
Dite a Dio: ‘Stupende sono le tue opere! /
A te si prostri tutta la terra, /
a te canti inni, canti al tuo nome’. /
Venite a vedere le opere di Dio, /
mirabile nel suo agire sugli uomini. /
Egli cambiò il mare in terra ferma, /
passarono a piedi il fiume; /
per questo in lui esultiamo di gioia. /
Con la sua forza domina in eterno. /
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio, /
e narrerò quanto per me ha fatto. /
Sia benedetto Dio: /
non ha respinto la mia preghiera, /
non mi ha negato la sua misericordia.” (Sal 66/65, 1-4; 5-7; 16.20)
Dobbiamo sentire nel cuore che Dio non respinge la nostra preghiera, non ci nega la sua misericordia.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, uniti nella preghiera, vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
XIV Domenica t. Ord. C
3. 7. 22
Letture – Is 66, 10-14c ; Gal 6,14-18 ; Lc 10, 1-12. 17-20
La parola di Dio oggi inizia con un invito alla gioia per tutti quelli che amano Gerusalemme, perché i tempi del “lutto” sono terminati e il Signore farà “scorrere verso di essa, come un fiume, la pace”. L’immagine profetica (tratte dalle battute conclusive del libro di Isaia) descrive Gerusalemme come una mamma, che nutre al seno i suoi bambini. E, in tema di abbondanza, il dono della pace, che Dio manda come “un fiume… un torrente in piena”. Dio si rivolge al suo popolo “come una madre consola un figlio”. Il tono positivo, ottimista, a volte affettuoso lascia un messaggio di speranza al popolo che deve affrontare la difficoltà di una fiducia che non trova sempre facile motivazione e da allora continua a provocare a una scelta di fedeltà spesso difficile. In modo molto vario questa situazione si produce tante volte sul cammino degli uomini e dei popoli.
Ancora le battute finali di un libro (la Lettera ai Galati) ci vengono incontro nella seconda lettura. San Paolo ha dovuto insistere su principi della fede non comunemente accettati nella Galazia (regione non lontana dall’attuale Ankara) e trae adesso conclusioni determinanti circa i criteri delle sue scelte di insegnamento e di vita. Rinuncia ai ragionamenti per rifarsi alla sua esperienza di vita: “Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo”. E’ uno dei modi più commoventi per descrivere a partecipazione del credente alla vicenda del suo Maestro. Non sappiamo come in concreto si siano manifestate queste “stigmate”, che saranno condivise più volte nell’esperienza dei santi, ma certo hanno portato con sé la partecipazione a una realtà di sofferenza. Ma come quelle di Gesù anche quelle dei discepoli hanno efficacia di salvezza.
Il brano evangelico, desunto da Luca, ci porta a un episodio narrato solo dal nostro evangelista, subito dopo l’inizio del viaggio verso Gerusalemme: l’invio in missione di un numero rilevante alto di discepoli, superiore a quello dei dodici apostoli. Settantadue sono una squadra rilevante, che poteva non destare sospetti solo per il carattere pacifico della predicazione di Gesù. A Luca interessa l’incarico impartito da Gesù: manda degli “agnelli”, dunque con un messaggio puramente religioso. Devono annunciare “pace”, perché “è vicino a voi il regno di Dio”. Sembra un messaggio da illusi, ma contiene tutto il destino di Gesù e il futuro dei credenti in lui. Ancora oggi questo messaggio, se preso sul serio, ha un’influenza unica sul corso della storia, della Chiesa e dell’umanità. Allora, quella prima missione deve aver conseguito un buon successo, a giudicare dall’entusiasmo dimostrato da quei missionari in erba. Gesù condivide questa gioia, ma ne indica una più grande: “rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nel cielo”.
Rallegratevi che i vostri nomi sono scritti nel cielo.
Gesù manda in missione i suoi certamente con l’intenzione che la loro missione abbia effetto. Solo, non sappiamo come e quando giunge questo successo. Egli ci invita a guardare in cielo, che è il punto finale della parabola della nostra vita. Lui ha fatto così: tutto quello che faceva avveniva guardando il Padre, nel Cielo, e lasciando a Lui di decidere il come e il quando del vero successo. Certo, guardando il corso della storia, tanto più nel contesto dei fatti dolorosi di questa stagione di guerra diabolica, viene da domandarci dove si vedano i frutti della venuta di Gesù. Lo preghiamo di farci il grande dono di non perdere la fiducia: nulla va perso; e proprio quando la speranza sembra folle e assurda, ogni atto di sottomissione al volere del Padre ha una fecondità che non percepiamo ma è grande, per il cielo e, già prima, per la terra.
Vostro don Giuseppe Ghiberti