Domenica 24-7-2022 – XVII Domenica T.O. – Anno C – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
le letture di questa domenica 24-7-22 ci propongono come filo conduttore il tema del rapporto tra i buoni e i cattivi rispetto alla salvezza. Saranno i primi a salvare i secondi o saranno i cattivi a portare in rovina anche i buoni? La risposta ultima è che basterà il “servo” del Signore per riscattare tutta una nazione (v. Isaia 53). Gesù, infatti, da solo, redimerà tutta l’umanità, ma a prezzo della sua vita e in una dimensione di mistero, il mistero della redenzione.
Intrecciato a questo primo filo ve ne è un secondo che vede l’importanza della richiesta di salvezza, della costante e assetata domanda rivolta a Dio.
Abramo cerca di salvare Sodoma e Gomorra, non cessando di interrogare Dio. Don Giuseppe soggiunge: ”il castigo venne inflitto, perché la perversione purtroppo era totale.” E’ terribile non solo la condanna, ma anche la considerazione che non c’erano “buoni” in grado di fermare la rovina.
San Paolo ai Colossesi afferma che siamo stati perdonati dalla “circoncisione di Cristo”, il suo essere cioè inchiodato sulla croce. Anche il documento della nostra condanna è stato tolto di mezzo perché esso stesso pure inchiodato sulla Croce. Don Giuseppe ci dice: “E’ certo una descrizione figurata, ma anche tanto efficace, della nostra situazione, che è disperata, ma redenta dalla croce di Gesù…”. Un unico giusto ha portato la salvezza per tutti.
San Luca ci offre come preghiera il “Padre nostro”. Don Giuseppe ci ricorda che Gesù con il “Pater” ci dona “il suo modello di preghiera”. San Luca, ci ricorda ancora Don Giuseppe, aggiunge la parabola dell’ “amico importuno” che alla fine, bussando e ribussando, ottiene che la porta si apra.
Riprendendo i fili iniziali, troviamo un solo giusto per la nostra salvezza e reiteriamo la preghiera a Dio perché ci ascolti, ci salvi attraverso il mistero di Gesù.
Il Salmo è proprio la risposta del nostro cuore alla salvezza che ci viene da Dio.
“Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: /
hai ascoltato le parole della mia bocca. /
A te voglio cantare davanti agli angeli, /
mi prostro verso il tuo tempio santo. /
Rendo grazie al tuo nome /
per la tua fedeltà e la tua misericordia: /
hai reso la tua promessa più grande /
di ogni fama. /
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, /
hai accresciuto in me la forza. /
Ti loderanno, Signore, tutti i re della terra /
quando udranno le parole della tua bocca. /
Canteranno le vie del Signore, /
perché grande è la gloria del Signore; /
eccelso è il Signore e guarda verso l’umile, /
ma al superbo volge lo sguardo da lontano. /
Se cammino in mezzo alla sventura, /
tu mi ridoni vita. /
Il Signore completerà per me l’opera sua. /
Signore, la tua bontà dura per sempre: /
non abbandonare l’opera delle tue mani.” (Sal 138/137,1-2; 2bcd-3; 4-6; 7ab-8)
“Non abbandonare l’opera delle tue mani.” Non abbandonare o Dio questa nostra umanità alla cui salvezza hai sacrificato Tuo figlio.
Risuona forte, anche in questi giorni, come lungo tutta la storia, la domanda “Perché la guerra?”, perché violenza, sangue, morte, disperazione.
Einstein e Freud si posero questa domanda nel loro scambio di riflessioni. Ma la domanda presentò e continua a presentare una costante eccedenza sulle possibilità di risposta. Non solo, ma la guerra è tante volte esaltata, vista come soluzione, legittimata per la difesa e per portare valori. Per ampliare il proprio spazio vitale.
Molti filosofi ne hanno esaltato il ruolo, molti uomini di cultura ne hanno cantato l’importanza. La terra è stata vista come un immenso altare sul quale la vita viene immolata all’infinito (vedi nota). La guerra è uno dei segni più vistosi del peccato e ci circonda.
Signore, non abbandonare l’opera delle tue mani. Questa preghiera continua a salirmi sulle labbra e la condivido con Voi tutti.
Insieme a Don Giuseppe, Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio Vi invio un grande abbraccio uniti nella preghiera per la pace.
Contardo Codegone
XVII Dom. t. Ord. C – 24. 7. 22
Letture – Gn 18, 20-32; Col 2, 12-14; Lc 11, 1-13
Il racconto della Genesi ci presenta un capitolo, l’ultimo, della storia di Sodoma e Gomorra. Si tratta di città dove trionfa il male (il vizio contro natura) e il Signore decide di cancellarle dalla terra, non senza però aver prima informato Abramo, l’amico, che risiede nelle vicinanze. Questi è impietosito per la sorte di tanta gente e intercede presso Dio. Bisogna però che ci sia motivo per l’indulgenza: che insieme ai cattivi ci sia un numero di buoni che non facciano pendere la bilancia del giudizio di Dio dalla parte del castigo. Con un patteggio progressivo Abramo ottiene che non giungerà il castigo se tra tutta quella gente sia possibile trovare almeno dieci “giusti”. Dio si lascia impietosire e abbassa il peso delle richieste: da almeno cinquanta buoni si induce a scendere fino ad almeno dieci. Qui si arresta il racconto, per farci vedere quant’è buono il Signore e quanto è potente l’intercessione degli amici di Dio. Il racconto biblico non riferisce la finale della vicenda (oggi non riportata): il castigo venne inflitto, perché la perversione purtroppo era totale.
Il brano della Lettera ai Colossesi sembra quasi continuare il ragionamento precedente, perché parla della condizione in cui tutti eravamo “a causa delle colpe” e San Paolo afferma che contro tutti noi era scritto “un documento… che ci era contrario”. Nonostante questo Paolo afferma anche che siamo stati perdonati di tutte le colpe. Dando la vita a Gesù, inchiodato alla croce (la “circoncisione di Cristo”), Dio l’ha voluta dare anche a noi. Paolo immagina proprio che quel documento, scritto contro di noi, fu “tolto di mezzo, inchiodandolo alla croce”. E’ certo una descrizione figurata, ma anche tanto efficace, della nostra situazione, che è disperata, ma redenta dalla croce di Gesù, per quel prezzo che egli ha pagato con tanta sofferenza, dando tutto se stesso, senza risparmio.
Nel brano evangelico (da Luca) leggiamo due insegnamenti di Gesù sulla preghiera: il testo lucano del “Padre nostro” e una commovente assicurazione sulla efficacia delle richieste che noi figli rivolgiamo nella preghiera al Padre. E’ commovente che Gesù si lascia pregare a dare il suo modello di preghiera (il ‘Pater’) a partire dall’insegnamento che Giovanni (il Battista) ha dato ai suoi discepoli: per Luca Giovanni si accommiata dal suo insegnamento come maestro di preghiera. E Gesù si inserisce in questo insegnamento con la preghiera del “Padre”, che Luca riporta in forma un po’ abbreviata. In compenso aggiunge una stupenda parabola, dell’“amico importuno”. Si direbbe che Gesù sorrida mentre riporta la storia del dibattito fra i due: uno, padrone di casa e padre di famiglia, ha tutti i diritti di dire di no alla richiesta del pane a quell’ora, l’altro ha solo la sfacciataggine della necessità. E vince lui, anche presso il Signore, perché Lui ha il cuore di padre.
Per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono
Diciamo subito quello che ci diceva la mamma, quando chiedevamo qualcosa e lei lo negava: perché “non ti fa bene”. Ma fuori di questo caso l’esaudimento è certo. Luca però è attento a fornire ancora un chiarimento: “quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”. Questo non è un discorso per l’altra vita, quasi un invito ad aspettare e basta. Il dono più importante, e dunque il primo da chiedere, è lo Spirito Santo. Questo dono il Padre lo concede a chiunque lo chiede, sempre; ed è il dono più grande, il segreto di ogni dono. Insieme a questo dono, in accordo con esso, vengono tutti gli altri. Proprio lo Spirito intercede per noi, affinché ci venga concesso il dono dell’amore del Padre e della fecondità di ogni pensiero e azione dei figli. Lo garantisce – come abbiamo sentito – la parola stessa di Gesù.
Vostro Don Giuseppe Ghiberti