Domenica 17-9-23 – XXIV Tempo Ordinario A – Settimanale AMCOR
Cari soci e amici dell’Amcor,
scrivo queste mie brevi righe in questa domenica 17-9-23 con lo sguardo sulla immagine di Don Giuseppe appoggiata sulla scrivania.
La mia commozione umana, il mio smarrimento di fronte al mistero, rimane per la povertà della mia fede.
Proprio San Paolo oggi nella lettera ai Romani ci ricorda: “Sia che viviamo, sia che moriamo siamo nel Signore. Per questo Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.” (Rm 14, 8-9)
Don Giuseppe, dunque, è nella luce, nella gioia, nella pace, è nel Signore. Tante volte nei suoi scritti, nei nostri dialoghi, è comparso il termine mistero, abbiamo parlato della morte.
Ora viviamo il mistero, come compimento della salvezza annunciata, viviamo l’esperienza della morte come essere nel Signore.
Don Giuseppe continua a farci da padre e maestro.
Risuona nel suo commento al brano di San Paolo di oggi, la domanda che nasce dalla difficoltà che abbiamo nella nostra vita a “essere del Signore”: “Ma allora perché, Signore, nella mia vita tutto questo non si vede, non è efficace? Se non vivo adesso per te, come potrò morire per te?”
Ora, attraverso la morte, Don Giuseppe è nella luce svelata di questo mistero.
Il libro del Siracide, da cui è tratta la prima lettura di oggi, è stato scritto da Gesù Ben Sira (da cui il nome) nato probabilmente a metà del III secolo a.C.. Il libro fu poi tradotto in greco nel 132 a.C. dal nipote.
Ben Sira era maestro di sapienza a Gerusalemme, e vide passare varie dominazioni fino ad arrivare a quella dei Seleucidi nel 198 a.C..
Il quel periodo vi fu il forte tentativo di ellenizzazione da parte di Antioco IV Epifane (regnate tra il 175 e il 163 a.C.), Questa violenza provocò la rivolta dei Maccabei. Ben Sira, in questo contesto, vuole rafforzare la coscienza dei suoi confratelli nella fede.
Ben Sira e suo nipote hanno di fronte il tema del destino umano e della retribuzione come premio per i buoni e castigo per i cattivi, le stesse incertezze di Giobbe e di Qoèlet.
Probabilmente in alcune aggiunte posteriori alla stesura del testo anche l’amore di Dio entra nell’atteggiamento religioso.
Per Ben Sira centro della tradizione biblica è la Sapienza che è dono di Dio e la condizione per ricevere questa Sapienza è il timore di Dio.
In questa consapevolezza ci ricorda Don Giuseppe che il Siracide è reciso e severo nel condannare rancore e ira e altrettanto per la vendetta. Non c’è ancora l’amore, il perdono, ma si apre una strada nuova.
Il brano evangelico di Matteo esprime il compiuto superamento della legge della retribuzione. Diecimila talenti sono tonnellate d’oro, cifra enorme, impossibile da restituire.
Il re condona il debito gigantesco, lo cancella. Il servo perdonato però non perdona un piccolo debito, cento denari, a un suo compagno. Allora il padrone fa chiamare il primo servo, condonato del debito enorme, e gli dice: “servo malvagio”.
Il termine greco utilizzato per malvagio è “poneròs” che è lo stesso termine che si trova nel Padre Nostro quando Gesù invita a chiedere “liberaci dal male” (dal maligno) (Mt 6, 13b). Il maligno è colui che non è capace di perdonare.
E’ la mentalità nuova che Gesù è venuto ad annunciarci cioè la misericordia che agisce per prima.
Il Salmo sviluppa alcuni degli attributi di Dio ed in particolare la misericordia e la bontà. Questo inno all’amore di Dio invita angeli e creato a partecipare alla benedizione che l’anima eleva al suo Signore. L’Eucaristia è questa grande benedizione che il Padre riversa sul mondo, benedizione che è il Figlio, che è l’amore.
RIT: Il Signore è buono e grande nell’amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia.
Egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia
su quanti lo temono;
come dista l’oriente dall’occidente,
così allontana da noi le nostre colpe. (Sal 103/102)
Tante volte abbiamo chiesto a Don Giuseppe la benedizione di Dio. Ora ringraziamo Dio che lo ha accolto nelle sue braccia di misericordia e benediciamo il Signore non dimenticando tutti i suoi benefici, non dimenticando il dono che ci ha fatto mettendo sulla nostra strada Don Giuseppe.
Nel ricordo di Don Giuseppe, con Suor Maria Clara, Mariella, Patrizia e tutto il Consiglio, Vi invio un grande abbraccio.
Contardo Codegone
P.S. La Santa Messa di Trigesima per Don Giuseppe verrà celebrata a Santa Rita martedì 3 ottobre alle ore 18,30.
Settimanale AMCOR
17 – 9 – 2023 : XXIV dom. A
Fino a settanta volte sette
Letture: Sir 27, 30 – 28, 7; Rm 14, 7-9; Mt 18, 21-35 – Non possiamo vivere isolati e la compagnia del nostro prossimo è aiuto e anche provocazione. Il Signore conosce tutto e dispone quanto porta aiuto e quanto causa difficoltà. La presenza del fratello è presenza del Signore, ma può essere anche strumento del nemico, che si serve del fratello per far da inciampo al fratello. Le difficoltà della presenza del fratello accanto a noi sono prese in considerazione, oggi, nel brano del Siracide, un autore della fine dell’Antico Testamento, e del vangelo di Matteo nel suo insegnamento alla futura comunità dei credenti in Gesù. La Lettera ai Romani, che ci accompagna in queste settimane, ci richiama al grande principio che deve guidare ogni orientamento delle nostre decisioni: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”.
Qualche insegnamento dalle letture: E’ molto reciso e severo il Siracide nel condannare “rancore e ira”, e altrettanto per la “vendetta”. Dunque “perdona l’offesa al tuo prossimo”, se vuoi “ottenere il perdono di Dio”; ricorda “l’alleanza dell’Altissimo e dimentica gli errori altrui”. Gesù a sua volta, nei consigli che Matteo ha raccolto per le comunità dei credenti, gioca sulla sproporzione che corre tra il perdono di Dio per ognuno di noi e quello che possiamo concedere noi al fratello. San Paolo conclude la grande lettera ai Romani con insegnamenti sul comportamento che deve proporsi il credente nella vita quotidiana; e sono prospettive di infinito: “Nessuno di noi vive per se stesso… viviamo per il Signore”. In vita e in morte siamo del Signore,…che “è ritornato alla vita per essere il Signore dei morti e dei vivi”. Se sono del Signore, dunque non mi appartengo, dunque la motivazione e la forza di tutto quanto sono e faccio è lui. Nient’altro mi deve interessare o ha diritto di prevalere. Ma allora perché, Signore, nella mia vita tutto questo non si vede, non è efficace? Se non vivo adesso per te, come potrò morire per te?
Fino a settanta volte sette
Qualche volta il racconto evangelico fa sorridere: immaginiamo Pietro che si avvicina a Gesù per fargli la famosa domanda: va bene perdonare sette volte al fratello che ha mancato contro di me? Pensa già di esagerare, ma Gesù gli toglie l’illusione: non sette ma settanta volte! E dice sul serio, perché il modello che dobbiamo guardare è nientemeno che il Padre e questi non esita a perdonare a ognuno di noi infinitamente di più, nei nostri debiti. Il che vuol dire che i debiti ci sono e che ci fanno perdere l’amicizia del Padre: non gli daremo mai vera soddisfazione dei nostri torti. Da soli la sua amicizia non siamo in grado di riconquistarla; ma lui cancella il debito, tutto! Il discorso può sembrarci un po’ enfatico o astratto, ma ha nel comportamento di Gesù riscontri convincenti e commoventi. Pensiamo a quella parola “Amico!” con cui Gesù accoglie Giuda che viene per consegnarlo nelle mani della soldataglia ostile. Gesù dà peso a ogni parola e quell'”Amico” gli nasce dal cuore ed è un vero tentativo di ricuperare con l’amore e il perdono l’amico traviato. Non riesce a ricuperarlo in quel momento, ma penso proprio che il suo cuore non l’abbia abbandonato neppure nel momento in cui pose fine tragicamente alla sua vita. Sarebbe bastata un’ombra di fiducia, come ebbe – non molte ore dopo – il povero delinquente crocifisso, che agonizzava accanto a Gesù. Riconobbe i suoi torti e l’innocenza di Gesù e nella risposta di Gesù non ci fu nemmeno un’ombra di rimprovero, ma soltanto un arrivederci presto – in paradiso!
Ma tutta questa bontà del Signore richiede almeno uno sforzo di imitazione, perché Gesù esige che la bontà del Padre e sua si diffonda. Eppure proprio questo non viene da sé: troviamo sempre una scusa per essere severi ed esigenti con fratello e molto indulgenti con noi stessi. Invece qui l’esempio e l’insegnamento di Gesù ci dicono di non fare calcoli: ho ricevuto tutto senza misura e gratis, anche tante volte il perdono: devo adottare lo stesso sistema. Devo proprio abbandonare la risposta “ma io”, “ma lui”, e pensare solo a quell’altro “Lui”, che ha perso i conti dei miei torti. Il mio preteso desiderio e proposito dell’imitazione incomincia a essere serio solo quando mi oriento allo stesso modo.
Certo, è una delle battaglie più impegnative e costanti di ogni giorno. Ma io non chiedo sovente “Rimetti a noi i nostri debiti COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI”?
Vostro Don Giuseppe
Trovate tutte le omelie di don Giuseppe al seguente link:
http://www.amcor-amicichieseoriente.org/approfondimenti/il-settimanale-di-don-giuseppe/